Fantasia

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La brama della scrittura arde come una fiamma in un cuor propenso. Vivì

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lunedì 29 giugno 2020

La favola di Amore e Psiche


Amore e Psiche sono i due protagonisti della favola narrata nell’opera di Apuleio “Le Metamorfosi” anche se, sembrerebbe, tramandata da un’epoca antecedente l'autore. 

Nella leggenda Psiche, mortale dalla bellezza comparabile ad Afrodite, la dea della bellezza e dell'amore, non riusciva a trovare un marito e vagava di villaggio in villaggio venerata come fosse stata l'incarnazione della dea e indicata con lo stesso nome.

Afrodite, venuta a conoscenza della giovane che usurpava il suo nome, inviò sulla terra suo figlio Eros, Cupido o Amore per i romani, perché la facesse innamorare dell'uomo più brutto e avaro del pianeta.                                     

Ma, Amore, nello scagliare la fatidica freccia, sbagliò mira e ferì se stesso a un piede, di conseguenza fu lui a innamorarsi perdutamente della giovane donna.

Nel frattempo, i genitori di Psiche, consultarono un oracolo per conoscere il destino che attendeva la loro figliola e il responso fu questo in rime:

Come a nozze di morte, vesti la tua fanciulla

ed esponila, o re, su un’alta cima brulla.

Non aspettarti un genero da umana stirpe nato

ma un feroce, terribile e malvagio drago alato

che volando per aria ogni cosa funesta

e col ferro e col fuoco ogni essere molesta.

Giove stesso lo teme, tremano gli dei di lui,

orrore ne hanno i fiumi d’Averno e i regni bui.

Di seguito a questa terrificante profezia, Psiche venne abbandonata dai genitori su una rupe, ma fu Amore, con l'aiuto di  Zephiro, a salvarla e a condurla nel suo palazzo imponendo però alla giovane che i loro incontri d'amore avvenissero soltanto nelle ore notturne e immersi nella totale oscurità in modo tale che, Psiche non riuscisse mai a rendersi conto della natura divina del suo amante.                              

Psiche diventò prigioniera di una passione che la incatenò anima e corpo e che le travolse i sensi.

Ma una notte, spinta da un’ardente curiosità di conoscere il volto dell'innamorato e, con la complicità delle sorelle, la giovane si avvicinò alla figura di lui, che dormiva profondamente, protendendo una lampada a olio.  Ma il destino era in agguato. Prima che la giovane riuscisse a distinguere il volto dell'amato,  una goccia di olio ardente cadde, ustionando Amore.

“... Colpito il Dio si risveglia; vista tradita la parola a lei affidata, d'improvviso silenzioso si allontana in volo dai baci e dalle braccia della disperata sposa.”

Affranta e scoraggiata la giovane tentò più volte il suicidio ma gli dei glielo impedirono.


Psiche inizierà un vagabondaggio alla ricerca del suo innamorato, vendicandosi delle sorelle e addossando loro la colpa di quanto le era accaduto. In seguito, tentò di conquistarsi il favore degli dei offrendo loro doni e fiori in ogni tempio che incontrava lungo il cammino. Ma quando arrivò al tempio dedicato ad Afrodite le si consegnò, confessandole di aver tradito la fiducia del figlio, nella speranza di rabbonirla.

Per appurare la genuinità del pentimento della giovane, la dea la sottopose ad alcune dure prove. Nella prima le chiese di suddividere un mucchio di granaglie in tanti mucchietti uguali e Psiche ci riuscì soltanto con l'aiuto insperato di alcune formiche. La seconda prova consisteva nel raccogliere la lana d'oro di un gruppo di pecore e Psiche ci riuscì ma solo dopo essere stata consigliata da una Verde Canna di farlo dopo il tramonto del sole. Nella terza doveva raccogliere acqua da una sorgente che si trovava in un luogo impervio tra le montagne a strapiombo. Qui Psiche riceverà l'aiuto dell'Aquila di Zeus.             

Per l'ultima prova, quella più estrema, la giovane avrebbe dovuto scendere fino agli inferi, alla ricerca della dea Proserpina, per domandarle di cederle un po' della sua bellezza.  

Presa dallo sconforto per l'immensità della sfida, la giovane tentò il suicidio gettandosi da una delle torri di roccia ma, di fronte a tanto dolore, la torre stessa si impietosì e animandosi le impedì di compiere il gesto fatale. In seguito, prese a consigliarla su come affrontare la prova e di come uscirne indenne.

Secondo le istruzioni, Psiche doveva recarsi all'ingresso dell’Ade portando con sé due focacce di miele e due oboli. Una focaccia da offrire a Cerbero, il terrificante guardiano degli inferi e l’obolo da offrire a Caronte, il traghettatore delle anime. Le stesse donazioni avrebbe dovuto offrirle al ritorno per poter uscire dagli inferi. La torre le raccomandò, inoltre, di non aprire la boccetta contenente gocce di bellezza della infernale regina.

Psiche seguì diligentemente le indicazioni e riuscì a portare a termine la sua quarta prova ma, sulla via del ritorno, non seppe resistere e aprì la boccetta con l’intenzione di rinfrescare la sua avvenenza.

Quel gesto le costò caro: dalla malefica boccetta fuoriuscì una nuvola soporifera che la indusse a un sonno profondo, all'apparenza mortale.


Fu ancora una volta Amore che, spazientito dalla lunga attesa dell'amante, partì alla sua ricerca e a salvarla, sollecitandola poi di consegnare la boccetta ad Afrodite.

Per perorare la causa della giovane donna, Amore si recò da Zeus raccontando tutte le vicissitudini e le dure prove affrontate dall'amata e il signore dell'Olimpo, riconoscendo la buona volontà e l'amore che intercorreva tra loro, fece salire Psiche all'Olimpo facendole bere una coppa dell'elisir che donava l'eterna giovinezza e l'immortalità elevandola tra gli dei. 

In seguito, tra danze e canti e la partecipazione di tutti gli dei, si celebrarono le nozze tra i due innamorati  e da quella divina unione nacque una figlia che venne chiamata  Voluttà.

                                                                           










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venerdì 26 giugno 2020

La leggenda di Amaltea e della Cornucopia




La leggenda di Amaltea e della Cornucopia ha origini molto antiche e riguarda le divinità preolimpiche.

Si narra che Crono, padre di Zeus, divorasse i figli appena partoriti dalla moglie Rea, perché nessuno degli eredi potesse avanzare pretese di successione e detronizzarlo. 

Tuttavia, la moglie, riuscì tramite uno stratagemma, a salvare il suo ultimogenito inviandolo sotto scorta dei Cureti, detti anche Coribanti, sull'isola di Creta.

Il neonato venne chiamato Zeus e, secondo una delle mitiche versioni, venne allevato in una grotta dalle  ninfe Naiadi e allattato da una capra chiamata Amaltea. 

Il piccolo Zeus veniva inoltre nutrito con il miele, che alcune api distillavano apposta per lui, da ambrosia, il cibo speciale degli dei trasportato sull'isola da alcune colombe e il nettare, bevanda divina che donava l'eterna giovinezza e l'immortalità, trasportata da un'aquila. 


I Cureti, nominati custodi del neonato, per evitare che il pianto del piccolo giungesse alle orecchie del famelico padre, improvvisavano danze assai rumorose accompagnate dal battito assordante delle armi contro gli scudi. 

Nella prima infanzia Zeus, ricevette in dono dalla ninfa Adrastea una palla formata da cerchi d'oro costruita per farlo divertire e quando fu un po' più grande  i Ciclopi gli fornirono le saette per allenarsi, le stesse che divennero il simbolo del signore dell'Olimpo.

Un giorno mentre Amaltea si prestava a fargli da cavalcatura, Zeus, attaccandosi con troppo vigore alle corna della sua nutrice, gliene spezzò una, che gli rimase tra le mani. La povera capretta venne curata dalla giovane ninfa Melissa e Zeus, grato per le cure prestate alla sua balia, fece dono alla ninfa del corno, dopo averlo colmato di fiori e di frutta assicurandole che, da quel momento dall'oggetto miracoloso, sarebbe sortita ogni cosa che il suo possessore avrebbe desiderato. Nacque così il mito della Cornucopia o, altrimenti definita, Corno dell'Abbondanza, simbolo appunto di ricchezza e fertilità del suolo.

      

In un'altra leggenda Amaltea viene indicata come la ninfa custode della capra nutrice di Zeus.

Una volta diventato signore dell'Olimpo, Zeus, per riconoscenza donò il potere straordinario alle corna della capretta e fu allora che nacque il mito del Corno dell'Abbondanza detto anche corno di Amaltea.

La dea dell'Abbondanza è quella figura mitologica che incarna la prosperità e la ricchezza, nonché la custode della cornucopia con cui elargiva viveri, oro e denari.

Secondo una narrazione di Ovidio, la dea, seguì Saturno quando fu cacciato dall'Olimpo.

Una volta adulto, Zeus ricoprì il suo corpo con la pelle magica di Amaltea, l’Egida, che lo rese invulnerabile durante la lotta contro il padre Crono e i suoi fratelli, i Titani.

                                                                     


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lunedì 22 giugno 2020

La leggenda del Pomo della Discordia

                                              

Eris, sorella di Ares, il dio della guerra, e figlia illegittima di Zeus e di Era, veniva considerata la dea della discordia. Una divinità molto violenta e sanguinaria, talmente crudele che, Omero, nelle sue opere la denominò “la signora del dolore.”

Ad Eris, Zeus affidò il compito di fomentare gli animi dei guerrieri, in modo da renderli violenti e sanguinari sul campo di battaglia. In alcune leggende, la dea accompagna spesso suo fratello Ares durante i combattimenti e si compiacerà per i fiumi di sangue versati sui campi di battaglia.

Forse per il titolo e la cattiva nomea che portava, la dea non venne invitata a partecipare al banchetto di nozze in onore di Teti e di Peleo e fu quello il motivo scatenante la sua collera e la sua sete di vendetta.                               
                                                                    

           

Per rivalersi dell’affronto subito, Eris si recò ugualmente al banchetto sotto mentite spoglie e recando con sé una mela d'oro che, si narra, fosse stato raccolta da un albero situato nel giardino delle Esperidi. Frutto sul quale la dea avrebbe inciso “alla più bella” e  che lanciò sul tavolo del banchetto.

Il gesto causò una lite furibonda tra Era, la regina degli dei, Afrodite, la dea della bellezza e dell'amore, e Atena dea della saggezza.

Le tre bellezze olimpiche si contesero il pomo e, non riuscendo a risolvere la questione tra di loro, si recarono da Zeus perché decidesse.                                               

Ma il signore dell'Olimpo, per evitare la collera perpetua delle escluse, prese una decisione salomonica incaricando Ermes, il messaggero degli dei, di scortare le tre dee sul monte Ida da Paride, un pastore troiano che portava la nomea di essere un giusto e saggio, molto abile nel risolvere casi complicati e ad  emettere infine giudizi equi.

Le tre bellissime divinità, per ingraziarsi il giovane, gli fecero promesse allettanti. Atena gli promise onori e gloria in guerra e molta saggezza. Era gli promise il conferimento di poteri immensi, oltre al dominio assoluto dell’Asia Minore.                                      

Paride, però, scelse Afrodite che gli aveva promesso l'amore di Elena, la donna mortale più bella della terra moglie di Menelao, re di Sparta.

In seguito, sarà proprio il rapimento della bella Elena da parte del giovane la causa scatenante della guerra di Troia, il catastrofico conflitto a cui furono dedicati svariati poemi epici, tra cui l’Iliade del poeta Omero.

                                                                             


Vivì Coppola

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domenica 21 giugno 2020

Creature mitologiche: Licantropo e lupo mannaro




Lupo mannaro e licantropo non sono necessariamente sinonimi. Il primo viene descritto come un grosso lupo, muta-forma, con abitudini antropofaghe, che si trasforma contro il proprio volere e possiede poco discernimento. Il licantropo si trasforma ogni volta che lo ritiene opportuno mantenendo il suo raziocinio umano.

In medicina viene riconosciuta una sindrome psichiatrica rarissima, in cui la persona colpita assume atteggiamenti da lupo, in particolare durante un plenilunio.

                                                       

La figura di questa creatura feroce viene narrata in diverse mitologie antiche, ma anche nella Bibbia, dove il profeta Daniele narra la storia di Nabucodonosor, il re di Babilonia, che sarebbe stato maledetto e poi trasformato in lupo addirittura dall'Altissimo. Il profeta narra l'episodio in questo modo: "Ehi fu cacciato dal consorzio umano, mangiò l'erba e il suo corpo fu bagnato dalla rugiada del cielo: il pelo gli crebbe come le penne dell'aquila e le unghie come agli uccelli."

In questo brano, però, viene specificato, che dopo sette anni guarì e poté tornare a governare il suo popolo.

Nel poema epico l’Epopea di Gilgamesh, si racconta del re sumero che la dea Ishtar, signora della Bellezza e della Fecondità, avrebbe trasformato un pastore in un lupo.

Si tratta dunque dei primi due esempi di metamorfosi indotte, in seguito a maledizioni, da volontà divine. 


Anche nella nostra penisola, presso l'antico popolo etrusco, si venerava un dio che incarnava la figura dell'uomo lupo. Si chiamava Aita ed era il signore dell'oltretomba. Veniva raffigurato con indosso un'intera pelle di lupo e con la testa della belva a fargli da copricapo.

Figura analoga, nell'antico Egitto, si può dire che fosse Upuaut. Questa divinità, da non confondersi con Anubis, il dio dalla testa canina, era la guida per i morti e veniva raffigurato come un lupo.

La creatura licantropa più celebre nella mitologia greca era Licaone, figlio di Pelasgo e re di Arcadia.

Su questa figura mitologica sono state scritte varie leggende, ma la più nota narra che Licaone, avendo sacrificato un bambino a Zeus, venne punito e trasformato in lupo.

Anche in questa versione viene specificato che la mutazione poteva non essere definitiva se la bestia avesse rinunciato a nutrirsi di carne umana per almeno nove anni. Se al contrario, l’avesse assaggiata, sarebbe rimasto bestia per sempre.        
                                                         

Ovidio, nel suo Libro Primo delle Metamorfosi, narra del signore dell'Olimpo che si era recato come ospite dal re di Arcadia. Licaone, dubitando dello stato divino di Zeus, fece uccidere un prigioniero e ne servì le carni al dio. Quando se ne accorse Zeus si adirò talmente da far crollare la dimora e punì il sovrano mutandolo in lupo.

Nel leggendario popolare, nei racconti moderni e nel cinema fantastico e dell'orrore, viene narrato che la belva si possa uccidere soltanto con una lama d'argento o, altra ipotesi fantastica, che la creatura possa trasmettere la sua condizione feroce a un altro essere umano attraverso un semplice morso. 




Smarrita ha l’anima nel disumano limbo

seppur gli fu culla un materno grembo;

leva in ciel maledetta luna piena,

tossica è la linfa che scorre nella vena.

 

Zanne, artigli e irto è il pelo

calato sull’ego è sudario di gelo!

Brama di sangue appanna la mente,

artiglia, dilania la carne fremente.

 

Invoca l’algida luna perché interceda

a trovar ristoro con l'ignara preda.

Bava mannara e fameliche fauci

s’arrossa lo sguardo di ardenti braci.










Poesia pubblicata sul sito Scrivere
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sabato 20 giugno 2020

Creature mitologiche:le Ninfe




Le Ninfe sono divinità della religione greca, protettrici delle acque e dei boschi. Abitatrici dei fiumi, dei laghi e delle fonti sono le Naiadi che, tra l’altro, sono anche guaritrici di mali e di ferite; abitatrici delle foreste sono invece le Driadi, e dei monti le Oreadi.

In alcuni idiomi, il termine Ninfa, che deriva dal greco Ninphae, significa sia fanciulle da marito che spose e identifica una giovane donna di particolare avvenenza, grazia e leggiadria, oltre che musa ispiratrice di arte, poesia e nobile sentimento.

La loro bellezza statuaria è incantevole e le fa’ comparare alla dea della caccia Diana, Artemide per i greci, della quale erano compagne e con cui condividevano l'amore per la natura e per la purezza.

 


Vengono raffigurate con coroncine di fiori tra i lunghi capelli e con indosso lunghe vesti impalpabili e fluttuanti intorno ai corpi esili.

Queste splendide creature sono molto numerose e vengono suddivise in tre massime categorie: le ninfe terrestri, le acquatiche e le celesti.

La leggenda narra che quando Pan, il Dio dei boschi suonava il flauto, le ninfe, abili danzatrici, si muovessero in modo sinuoso accompagnando la melodia, seducenti e aggraziate e cantando con voci armoniose.

Tra le ninfe più famose viene ricordata Eco, la ninfa del monte Elicona.

Era, Giunone per i romani, le tolse la facoltà della parola ed allora la ninfa non poté fare altro che ripetere più volte le ultime parole pronunciate da altri.

Molto nota è la ninfa Calipso che nell’Odissea, trattenne Ulisse sull'isola di Ogigia per molti anni.

Euridice, moglie di Orfeo, era invece una ninfa mortale.

 

                                                        

Il poeta Dante Alighieri le identifica una volta con le stelle: 

La luna ride tra le ninfe eterne

che dipingono lo ciel per tutti i seni.

Con le quattro virtù Cardinali:

noi siamo qui ninfe

e nel ciel siamo stelle.

E con le virtù cardinali e teologali insieme:

in cerchio lo facevan di sé  claustro Le sette ninfe.

 


                                                                                        



 

Vivì Coppola



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giovedì 18 giugno 2020

Creature mitologiche:le Amazzoni

                                                                         
                                                                                  
Sulle Amazzoni, mitiche figure di donne guerriere, con l’andar dei secoli sono fiorite un'infinità di leggende e di nozioni, molte volte campate in aria.

Anche il nome greco, Amazon, è di dubbia etimologia.

Si narra che le guerriere si mutilassero la mammella destra, con lo scopo di tendere al meglio l'arco durante i combattimenti a cavallo e durante le battute di caccia.

Non si sa di preciso da che luogo provenissero e nemmeno dove vivessero, si sa soltanto che sono molti i popoli che si fregiano della paternità della loro leggenda e della loro allocazione. 

                                       

Città importanti dell'Asia Minore come Efeso e Smirne attribuivano alle Amazzoni le loro fondazioni.

Per tradizione, le donne guerriere venivano governate da due regine, una della pace, politica interna, e una della guerra, politica estera. Tra i nomi più conosciuti ci sono Myrina, Ippolita e Pentesilea.

Secondo lo storico Strabone le Amazzoni si accoppiavano due volte all'anno con gli uomini di un villaggio vicino e con il solo scopo di generare figli.                                



Anche la sorte della prole non è molto chiara e varia secondo le diverse leggende. Strabone racconta che i maschi venivano restituiti ai rispettivi padri, mentre, in un altro mito, si narra che i neonati venivano uccisi o mutilati rendendoli inabili ai combattimenti. Le femmine nate da quelle unioni venivano cresciute e addestrate alle armi e alla caccia proprio come le madri.

Le Amazzoni avevano formato una collettività del tutto matriarcale e per questo motivo erano considerate nemiche dei greci in quanto, in una società del tutto maschilista come quella greca, non era per niente concepibile una realtà politica, sociale e antropologica come quella che le guerriere avevano costituito.

Le Amazzoni erano un popolo bellicoso, la cui principale attività era la guerra.                                                   

Combattevano soprattutto a cavallo e da qui è derivato il termine amazzone, che in italiano sta a indicare una donna cavallerizza.

Oltre a Marte, il Dio della guerra, veneravano Diana, la dea della caccia.

Ercole, Eracle per i greci, le affrontò in una delle sue fatiche, quando Euristeo gli ordinò di impadronirsi della cintura magica, che donava forza alla regina Ippolita. Collaborò all'impresa il mitico Teseo, re di Atene, il quale avrebbe rapito la regina amazzone.

Per vendetta le donne guerriere assediarono la città dell'acropoli, ma sarebbero state sconfitte dallo stesso re di Atene.


                                                      

Nella mitica guerra di Troia  viene narrato di un intervento delle Amazzoni in favore di Priamo.

Pentesilea, la regina che le guidava venne uccisa da Achille. L'eroe leggendario di quella  guerra e, protagonista dell'Iliade, pianse accanto alla Amazzone morente, commosso e affascinato dalla bellezza statuaria della regina guerriera. 


                                                                                        



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martedì 16 giugno 2020

I quattro poteri elementali



                                                                                 


Acqua, Terra, Aria e infine Fuoco,
amalgama di energia di cui si narra poco,
sono quattro poteri arcaici ed elementali
con posto all’apice  il massimo spirituale.



Acqua cristallina scorre, nutre e monda,
generando vita purifica ed esonda,
scende dal cielo trovando eque dimore
tra rupi, fiumi, laghi e infine mare.


Aria effimera, eppur cotanto sfiora,
in eterno errante e scevra di dimora;
gentile, irruente s’insinua capricciosa,
silente si posa o impazza disastrosa.


Terra che scura, soffice o rocciosa
è sempre culla vitale, materna e ubertosa,
concreto elemento sinonimo di sostanza
e dispensatrice atavica di energia e potenza.

                                                                       

Fuoco che dona luce con un bagliore,
energia indomabile che dilaga con furore,
forza e coraggio in essenza che avvampa,
marchio indelebile dagli albori del tempo.




Poesia pubblicata sul sito Scrivere
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lunedì 15 giugno 2020

Creature mitologiche: Il Minotauro





Un’antica leggenda greca narra di una creatura mostruosa denominata Minotauro, per metà dalla forma umana e per metà dalla forma taurina, frutto dell’innaturale unione tra Parsifae, moglie di Minosse il re di Creta, con un bellissimo toro bianco inviato dal dio Poseidone perché il re lo offrisse in sacrificio. Il sovrano, però, rimasto incantato dalla bellezza e dalla possanza dell’animale, decise di tenerlo nelle sue mandrie sostituendolo con un altro bovino sull'altare del sacrificio.

Poseidone scoprì la sostituzione e decise di vendicarsi per l’oltraggio subito, facendo in modo che la moglie del sovrano s’innamorasse del toro, fino a desiderare l’immorale accoppiamento.

Da quell'unione nacque la mostruosa creatura con il busto umano e con la testa, la coda e gli zoccoli taurini.

Minosse rimase inorridito dall'evento e intuì che si trattava della vendetta del dio e, per la vergogna, decise di nascondere la creatura alla corte e al popolo. Ordinò allora a Dedalo, l’architetto di corte, di costruire un labirinto in cui rinchiudere per sempre il mostro che, oltre a risultare di natura selvaggia, si scoprì che prediligesse nutrirsi di carne umana.


                                                                   

Si narra che la costruzione progettata da Dedalo e realizzata con l'aiuto del figlio di lui, Icaro, fosse talmente intricata e ben congegnata, da risultare impossibile trovare la via di uscita anche al suo ideatore. Dedalo,  fu costretto a progettare le ali posticce realizzate con la cera, con le quali spiccarono il volo dal labirinto verso la libertà. In quel frangente, per aver desiderato troppo avvicinarsi al sole, le ali di Icaro si sciolsero a causa del troppo calore e  il giovane  precipitò, inabissandosi nelle acque del mare, che poi assunsero il suo nome. 

Nel frattempo, Androgeo, figlio di Minosse, si recò ad Atene per partecipare ad alcuni giochi tauromachici e, purtroppo, rimase ucciso dal Toro di Maratona, proprio quello gigantesco che Ercole aveva affrontato, battendolo, e poi liberandolo, in una delle sue dodici fatiche.

Il re di Creta, accecato dal dolore e dalla collera, accusò gli ateniesi del drammatico misfatto e, per vendicarsi, stabilì che ogni anno Atene doveva fornire sette fanciulli maschi e altrettante femmine da offrire in pasto al Minotauro.

La leggenda continua narrando che Teseo, figlio di Egeo, re di Atene, s’imbarcò verso Creta con i ragazzini destinati al sacrificio. Teseo era determinato ad affrontare il Minotauro, per mettere fine agli orrendi sacrifici dovuti alle abitudini alimentari della creatura mostruosa.

Egeo, prima della partenza, lo obbligò a issare delle vele nere a sottolineare la drammaticità della traversata e domandò inoltre al figlio di portare anche delle vele bianche che, al ritorno, avrebbero annunciato agli abitanti della città il successo della missione.                  


Giunto a Creta, Teseo incontrò Arianna e tra i due nacque un tenero idillio.

Conosciute le intenzioni dell’innamorato Arianna gli consegnò un gomitolo di filo che il giovane, per evitare di perdere l’orientamento e smarrirsi, fermò all'ingresso svolgendolo man mano che si addentrava nel labirinto.

Teseo incontrò il Minotauro e lo affrontò a mani nude. Dopo una lotta che lo stremò fisicamente, riuscì a prevalere spezzandogli il collo quindi, seguendo il filo a ritroso, tornò sano e salvo da Arianna.

Radunati i fanciulli, i due innamorati s’imbarcarono per fare ritorno ad Atene ma, intuite le intenzioni di lei di convolare a nozze, Teseo escogitò uno stratagemma per liberarsene.


Con la scusa dell’approvvigionamento di cibo e acqua approdarono all'isola di Nasso quindi, in piena notte e mentre la giovane dormiva profondamente, Teseo riprese la via del mare abbandonando l’innamorata alla sua sorte.

Al risveglio Arianna cadde nella disperazione e urlò il suo dolore e la sua rabbia per giorni fino a quando, il suo pianto giunse fino al dio Dioniso che se ne innamorò e la prese in sposa. Come dono di nozze le offrì un diadema formato da Efesto, il dio del fuoco e della metallurgia, talmente bello e prezioso da essere tramutato nella costellazione dell’aurora boreale.

Teseo, nel frattempo, giunto nelle vicinanze del porto di Atene, dimenticò di issare le vele bianche, come concordato con il padre ed Egeo, ritenendo dalla velatura nera che il figlio fosse rimasto vittima del Minotauro, si gettò dalle rocce su cui sorgeva l’acropoli, in quello stesso mare che porta ancora oggi il suo nome.  

                                                             



                                                                                                       


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