Fantasia

Fantasia
La brama della scrittura arde come una fiamma in un cuor propenso. Vivì

Pages - Menu

sabato 27 marzo 2021

Tuya, Raggio di sole della Tundra (5a)

 

                                                  



Dopo pochi minuti, entrambi i giovani erano immersi nel marasma di cavalieri, che lottavano in sella ai loro destrieri perdendosi di vista e inutilmente il principe tibetano tentò di riunirsi alla compagna.

Il clangore delle armi che sbattevano sugli scudi era divenuto assordante e predominava sul caos delle urla dei feriti.

Tuya lanciò uno sguardo circolare ad abbracciare tutto il campo di battaglia e fu allora che notò uno strano movimento. Un gruppo di guerrieri mongoli non combatteva, se non per sbarazzarsi dei guerrieri che ostacolavano la loro avanzata e si muovevano guardinghi tenendo d’occhio soprattutto la sua figura. Era chiaro che fosse lei il loro obiettivo e in quel momento ne intuì le intenzioni. Stavano tentando di circondarla e lei doveva lottare strenuamente perché la loro manovra non riuscisse. Era evidente che Timughe Khan, intuendo l'importanza della sua persona agli occhi dei guerrieri tibetani, ne aveva ordinato la cattura.

                                         


«Non ci riuscirete, cani!» urlò in loro direzione, quindi, raddoppiando la foga, si liberò facilmente di un paio di cavalieri nemici. In quei pochi minuti di combattimento aveva potuto appurare che i guerrieri mongoli non era addestrati e disciplinati come quelli tibetani. Combattevano dimostrando grande sprezzo del pericolo e molta energia, ma da come utilizzavano le armi, si intuiva che l’addestramento militare ricevuto era inferiore.

Inoltre, sembrava che non seguissero una strategia specifica, ma si comportavano come un’orda di lupi affamati dilagando sul campo di battaglia senza rispettare nessuna regola e nessuna logica.

I due nemici feriti da Tuya erano stati sbalzati da cavallo e in quel momento la guardavano, aspettando che lei mettesse a segno il colpo mortale. Erano entrambi alla sua mercé, ma lei li ignorò e proseguì incontro a un altro cavaliere.

In realtà, anche se era una guerriera addestrata sin da piccola a combattere e a difendersi, il cuore della vestale rifiutava di infliggere la morte.

Tuya non si era mai sentita una vera guerriera. Solo ora aveva modo di rendersene conto. In quel momento. Lì sul campo di battaglia. Quello che era sempre stato solo un dubbio era finalmente diventato certezza. Prima di allora erano stati solo duri addestramenti e non le era mai capitato di dover affrontare un nemico con la possibilità di uccidere o di morire. Ed era per quel motivo che le sue armi, quel giorno, non avevano mai colpito mortalmente. Qualcosa aveva sempre frenato la sua mano e questo qualcosa era la sua coscienza.                              



Tuya esitò, scrutando con attenzione la sua spada.

venerdì 26 marzo 2021

Le streghe di Benevento

                                    


Unguento unguento

mandame alla noce de Benevento

supra acqua et supra vento

et supre omnes maltempo ... 

La formula magica delle streghe di Benevento, una leggenda che pare risalga ai tempi degli antichi Sanniti e Romani.

Nel secolo quarto a.C.  Ovidio narrò le orrende stragi e lo scorrere infinito di sangue innocente, anche se poi la leggenda si diffuse in tutta Europa intorno al 1600.

Il mito di queste streghe si fuse con i misteriosi riti orgiastici dei Longobardi, che avevano eletto la città di Benevento come capoluogo del loro vasto Ducato nel meridione.

Nel periodo rinascimentale a Benevento vivevano alcune delle più famose streghe italiane come Violante da Pontecorvo, maga Menandra, maga Alcina e molte altre ancora. Una delle più famose era Matteuccia da Todi, detta anche l' Arcistrega del Sannio, che fu processata dal Santo uffizio di Roma perché arruolava e addestrava alle arti magiche le più belle e affascinanti fanciulle dei dintorni. Si narra che le addestrasse al volo spalmandole sul corpo un unguento magico, che oltre a permettere il volo le rendeva invisibili.

L'Arcistrega, durante uno dei fantomatici processi che subivano queste giovani donne, sotto tortura raccontò ai suoi aguzzini, che gli incontri avvenissero sotto l'albero di noce, che in seguito uno dei giudici fece abbattere e che, misteriosamente, si narra per opera del diavolo, venne ritrovato al suo posto. 


La leggenda che nacque in seguito ai vari processi subiti dalle giovani donne, conferma la narrazione estorta a Matteuccia con la violenza. Le streghe si riunivano nelle notti tra il sabato e la domenica, attorno a un grande noce e iniziavano un sabba demoniaco, dove, si narra, si unissero carnalmente con Satana in persona. L'arrivo sul luogo avveniva rigorosamente in volo su scope di saggina.

Pare che, dopo qualche tempo, le streghe fossero in grado di assumere una forma più evanescente, inconsistente tanto, da riuscire a entrare nelle case sbarrate attraverso gli spiragli delle porte, causando un panico enorme. 

Queste giovani donne erano molto temute dal popolo. Alcune credenze narravano che fossero in grado di causare aborti e creare deformità nei neonati. 


                             


                                                                                                

                                  

 Ricerca effettuata sul web

immagini Phoneky

giovedì 18 marzo 2021

Tuya, Raggio di Sole della Tundra (4a parte)

 



                           Le prime scaramucce

Tutto ebbe inizio durante una delle quotidiane esercitazioni con i rapaci.

Mentre galoppava, Tuya lanciò il suo falco simulando un inseguimento e lasciandosi alle spalle il nutrito gruppo di falconieri.

I suoi ordini spinsero il rapace a librarsi per aria e a volare a qualche decina di metri dal suolo.

L'amazzone, galoppando, aveva messo una certa distanza tra lei, Saikhan e gli altri cavalieri e si ritrovò isolata nel momento in cui il suo rapace precipitò al suolo, perché trafitto da un quadrello nemico lanciato da un balestriere.

Tuya trasecolò dalla sorpresa e dall’orrore e, per istinto, frenò l'andatura del cavallo.

Non si era ancora resa conto della presenza tra le colline e, ben nascosto tra gli anfratti, di un plotone di guerrieri mongoli che, con una manovra repentina, la stavano assediando ed erano quasi riusciti a circondarla. La ragazza si accorse di loro solo quando uscirono dal riparo delle rocce e degli arbusti sparsi nella steppa.

L'attacco fu fulmineo e Tuya, ancora frastornata dall’accaduto, non ebbe la prontezza di reagire voltando il destriero. Furono le urla di allarme dei suoi compagni a riscuoterla e a spronarla a fuggire, solo allora impose una rapida giravolta al cavallo lanciandolo in una folle galoppata, incontro ai compagni che si stavano affannando per raggiungerla.

Gli inseguitori la pressavano e lei rendendosi conto che, da lì a poco, i primi cavalieri mongoli l'avrebbero raggiunta, spronò il suo destriero ad aumentare l'andatura. Un nugolo di frecce le piovve intorno e si trovò costretta a sdraiarsi sul collo del cavallo per non offrire troppo bersaglio.

Purtroppo, uno dei dardi colpì i garretti posteriori del destriero, che nitrì di dolore, s’imbizzarrì, disarcionandola e infine, stramazzò al suolo. Tuya si ritrovò per terra, imprigionata dal peso del cavallo e in balia dei suoi inseguitori.

Un attimo prima di essere raggiunta, Shine, lanciata dal suo addestratore, attaccò il primo dei guerrieri, che guidava la pattuglia mongola, artigliandolo sulla testa.

I falchi tibetani seguirono l'esempio attaccando ognuno uno dei guerrieri e creando un parapiglia tra gli assalitori.

Nel marasma che si venne a creare, uno dei mongoli raggiunse la fuggitiva e piegatosi dal cavallo tentò di catturare la ragazza al volo.

Quel gesto atletico venne fermato da una freccia scoccata dall'arco di Ramroch. Il cavallo proseguì la sua corsa trascinando per un piede, imprigionato nella staffa, il mongolo ferito a morte.

Ramroch balzò dal suo destriero ancora in corsa e raggiunse la vestale, ancora intontita per la caduta.

«Stai bene?» le domandò con aria preoccupata, ma lei non rispose, non avrebbe potuto. Il trauma subito per la caduta e il peso del suo destriero sulle gambe, l’avevano lasciata inebetita e con un lieve ottundimento dei sensi a causa del colpo ricevuto.

Mentre Saikhan e gli altri li proteggevano, il giovane principe sollevò la ragazza trasportandola sulle sue braccia e caricandola sul suo destriero, quindi montò lui stesso e tenendola ben salda contro il suo petto, spronò il cavallo portandola al riparo.

I suoi compagni ebbero la meglio sugli assalitori e solo quando anche l’ultimo dei mongoli fu eliminato, il gruppo si riunì ai due giovani.

«Come sta?» domandò Saikhan smontando da cavallo.

«È ancora intontita, deve aver battuto la testa. La caduta è stata rovinosa, ma non mi pare che abbia qualcosa di rotto.»

                        

giovedì 11 marzo 2021

Tuya, Raggio di Sole della Tundra (3a parte)

 


Lo scontro

 

Gansuk e Saikhan le cavalcavano ai fianchi e Tuya si sentiva sicura e protetta in loro compagnia.

Il suono lugubre dei corni tibetani, situati sulle varie colline che affacciavano sulla steppa pareva scortare e, a volte precedere, annunciando il passaggio del piccolo plotone di guerrieri a cavallo.

Ogni tanto, in lontananza, , appariva un cavaliere, che seguiva e poi si univa in coda al drappello incrementandone il numero dei componenti. In pochi giorni la quantità dei cavalieri centuplicò e il rimbombo degli zoccoli dei cavalli si fece assordante. Gansuk e Saikhan presero il comando del piccolo esercito creatosi spontaneamente e lo organizzarono gerarchicamente in plotoni ponendovi al comando i guerrieri che sembravano più esperti e autorevoli.

I due monaci guerrieri approfittavano di ogni sosta per impartire lezioni di lotta e addestrare tutti coloro che erano inesperti dell’uso delle armi.  Esercitazioni di tiro con l’arco a piedi o a cavallo, di giavellotti e di spade iniziarono a diventare un’abitudine quotidiana.

Un piccolo stormo di rapaci seguiva dall'alto, senza mai perdere il contatto visivo con l'esercito.                                

Due falchi addestrati a quel compito, si alternavano nell’esplorazione e ogni tanto tornavano dal loro addestratore indicando la via, gli ostacoli o i corsi d’acqua che scorrevano nei dintorni.

Tuya non si meravigliava di questo. Frequentando Saikhan aveva avuto modo di appurare personalmente le doti straordinarie di quelle creature molto intelligenti. In assenza del falconiere era lei stessa che accoglieva i rapaci sul suo braccio e ne riceveva le indicazioni.

La ragazza rivolgeva una domanda semplice e precisa e il falco rispondeva scuotendo il capo positivamente o negativamente.

Il viaggio proseguì per due settimane fino a che un improvviso nubifragio fermò l'avanzata dell’esercito costringendolo ad accamparsi.

Si trattava di un attendamento di fortuna, ma sia Gansuk che Saikhan pretesero un ordine marziale nella logistica.

In poco tempo le tende vennero montate e tutti i guerrieri si misero al riparo.

Solo allora Tuya si concesse un po' di respiro. Il viaggio era stato lungo ed estenuante e lei avvertì il bisogno di purificare il corpo e la mente. Appena la pioggia concesse una tregua e un pallido sole si affacciò tra le nubi, la ragazza si allontanò dall' accampamento.

Il falco esploratore aveva indicato la presenza di un laghetto naturale nelle vicinanze e lei vi si diresse, con l’intenzione di spogliarsi e immergersi nelle acque.
Le rocce intorno alla grande pozza formavano un paravento provvidenziale, garantendole un minimo di intimità.

Tuya iniziò a slegare i lacci che tenevano chiusa la camiciola, quando una voce irridente risuonò alle sue spalle fermandone il gesto.

venerdì 5 marzo 2021

Tuya, Raggio di Sole della Tundra (2o episodio)

                           






                                       

Il Cavaliere del Falco

 

Le scimmiette alate saltellavano giocose tra il colonnato dell’antico tempio quasi del tutto ricoperto e soffocato dalla vegetazione. Erano felici di rivedere il loro principe.

E Ramroch, così si chiamava il ragazzo, era felice di rivedere loro.

Conosceva bene quella radura. Vi si recava da sempre, soprattutto quando aveva bisogno di pace. Nessuno avrebbe disturbato la sua meditazione in quel luogo ritenuto sacro nell’antichità, ma ora abbandonato, perché considerato per superstizione, abitato da spiriti maligni. Ramroch, in questo caso, era grato per l’ignoranza dimostrata dal genere umano.

«Salute a te Principe Ramroch! - lo salutò quella che sembrava la più autorevole tra le scimmie presenti - È molto tempo che non ti vediamo in questi luoghi!»

Ragghin era molto diversa dalle altre creature della sua specie, innanzitutto perché era molto intelligente e possedeva il dono della comunicazione. Aveva inoltre comportamenti del tutto simili alla stirpe umana e amava coprire il suo corpo con abiti comodi e pratici. Ramroch si era sempre chiesto da dove fosse arrivata quella strana creatura che gli aveva sempre dimostrato affetto e simpatia. Aveva dubitato che venisse da un altro pianeta o, forse da una dimensione sconosciuta, ma alle sue domande, Ragghin aveva sempre opposto un ferreo riserbo. 

«Salute a te, Ragghin la Saggia e la testarda! Ti ho ripetuto innumerevoli volte che non sono un principe!»

«Per me lo sei ragazzo! Il più temerario, il più ardito di tutti i principi che io conosca!»

«Va bene Ragghin! In fin dei conti, so che non conosci poi molti! Sono venuto per riprendere gli allenamenti. Sei pronta?»

La scimmia guardò con grande tenerezza quel giovane dai riccioli e dagli occhi neri come l’ebano tagliati a mandorla, che spiccavano in un volto ardito e fiero. Ragghin lo conosceva da quando era uno scricciolo alto meno di un metro e lo aveva visto crescere, maturare e diventare adulto e ora ne ammirava la figura aitante. Per la indole ribelle e dinamica, che il ragazzo aveva mostrato sin da piccolo, alla scimmietta era occorsa una pazienza infinita per allenarlo alla Sacra Lotta ma, alla fine Ramroch aveva imparato ogni trucco e memorizzato ogni segreto diventando lui stesso un maestro di quell’arte marziale.  

Col tempo, il giovane era diventato veloce come solo una scimmia poteva essere e le sue mosse erano talmente rapide, che un occhio umano quasi non riusciva a cogliere. Il ragazzo era uscito vincitore parecchie volte dai loro ultimi combattimenti.

Ragghin si posizionò al centro del piazzale del tempio con le zampe divaricate e le mani a taglio, in attesa del suo avversario, che prendeva tempo studiandola e girandole lentamente attorno. La scimmia, veloce come un lampo sferrò il suo attacco balzandogli addosso. Lui scansò il colpo e, con una velocissima capriola in aria riuscì a evitare la presa.

Ragghin sorrise tra sé: l’allievo aveva superato la maestra.

Lottarono per un po’, in un susseguirsi di attacchi e parate, calci volanti e pugni e alcune mosse segrete di cui solo loro erano a conoscenza, perché ideate da Ragghin. Seguì una pausa di riposo e di meditazione quindi, un’altra ora di ginnastica tutti insieme e quando infine si sedettero circondati dalla fresca quiete della radura solitaria, la creatura della foresta ruppe il silenzio e parlò con tono grave:

«Ti aspettavo da tempo, mio principe, per parlarti di gravi presagi e ammonimenti.»

Ramroch si volse a guardarla: «Hai consultato le stelle, dunque! E qual è il responso?»

Ragghin era una creatura straordinaria, dotata non solo del dono della parola ma anche quello della preveggenza. 

Lei ne ricambiò lo sguardo e Ramroch ne ammirò gli occhi dorati, profondi e arcani. Quello sguardo lo aveva sempre messo a disagio e anche in quel momento tentò di evitarlo, spostandolo altrove, ma lei non glielo permise. Gli prese il mento tra le dita e lo costrinse, con estremo garbo, a volgere il capo: «Guardami, principe Ramroch e ascolta. Venti di guerra soffiano, minacciando questa terra gloriosa. Gli spiriti del male devono essere fermati se non vogliamo che s’impossessino di queste terre.»

Ramroch aveva ascoltato con attenzione, sapeva che quello poteva essere solo il prologo del discorso che la sua amica aveva certo intenzione di fare. La conosceva bene. Se parlava in quel modo, dovevano essere ben oscuri i presagi ricevuti.

«Cosa possiamo fare?» domandò semplicemente.

Lei gli liberò il mento: «I popoli che abitano queste terre devono unirsi e compattarsi in un unico intento. Combattere le forze del male fino a distruggerle, ma sarà un compito arduo. Nel responso ricevuto dalle stelle ho letto morte e desolazione.»

Ramroch rabbrividì. La sua amica e maestra le aveva predetto il futuro tante altre volte, anche per avvertirlo che gli sarebbero accadute cose spiacevoli, ma mai aveva usato quel tono.

Ragghin percepì il suo disagio e ammorbidì il tono: «Hanno anche lasciato un piccolo spiraglio di luce. Se non perdiamo di vista quella luce, se combattiamo con tutte le nostre forze, ebbene, forse esiste ancora una speranza di salvezza. Ti ho addestrato e preparato per anni, in previsione di un momento come questo, perché avevo già letto nelle stelle il tuo destino.»

Ragghin fece una pausa lasciandogli il tempo di metabolizzare quella brutta notizia.

«Non mi hai mai parlato del mio destino, Ragghin. Perché? Cosa mi hai tenuto nascosto finora?»

«Vuoi sapere il vero motivo per cui mi ostino a chiamarti principe?»

Il ragazzo rimase in attesa, con lo sguardo intento su lei, che riprese: «Sei destinato a diventare il Signore di questo popolo e il Capo Supremo dell’esercito difensore.»

Ramroch trasalì dalla sorpresa: «Cosa? Io Capo Supremo dell’esercito? Di quale esercito parli. Sono anni che non si vede un guerriero da queste parti!»

Ragghin annuì: «Vero! Sono anni che non si vede un guerriero e il tuo compito sarà proprio quello di formarne uno, che sia in grado di affrontare quello dell’usurpatore con coraggio e determinazione.»

«No! Stai scherzando! Se anche riuscissi a racimolare un manipolo di pazzi e li convincessi a seguirmi, cosa credi riusciremmo a fare contro un intero esercito?» obiettò Ramroch.

La scimmia si sollevò e lo fulminò con uno sguardo duro: «Ti ho allenato per renderti un uomo forte e coraggioso, pronto a sfidare il mondo intero pur di difendere la tua vita, la tua libertà e la tua gente. Tu riuscirai là dove molti altri hanno fallito finora, perché è stato scritto nelle stelle e non puoi rifiutarti di ubbidire.»

Poco convinto Ramroch annuì, ma solo perché aveva visto una luce selvaggia accendersi negli occhi dell’amica.

«Il mio non voleva essere un rifiuto, Ragghin, te lo posso giurare.»

«Ti credo, mio principe, ma ora che sai, è giunta l’ora di svelarti i segreti di queste rovine. Seguimi e ti consegnerò quello che è tuo di diritto e ti attende da innumerevole tempo.»