Fantasia

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La brama della scrittura arde come una fiamma in un cuor propenso. Vivì

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domenica 27 dicembre 2020

La vecchina del Vicolo dei Librai


  

Genova, la Superba! La mia città ricca di fascino e di saggezza, come un’anziana e fiera nobildonna di altri tempi.

Una città marinara, dal passato glorioso e dal centro storico immenso, che si erge e si allunga in una lingua di terra stretta tra i mari e i monti, sferzata dal vento di tramontana.

I “caruggi” di Genova sono famosi in tutto il mondo. Vicoli stretti come budelli, che si intersecano gli uni con gli altri e su cui si affacciano piccole botteghe artigianali o antiche residenze nobiliari.

Si narrano molte leggende riguardo queste viuzze ma, una su tutte è quella della vecchina di Vico dei Librai.

Occorre fare molta attenzione quando si transita per le vie del centro storico perché, pare, che la città sia infestata di fantasmi e, ai malcapitati che perdono l'orientamento in quel dedalo di vicoli, potrebbe capitare di incontrare una vecchina dall' abbigliamento desueto.

                    

La leggenda narra che l'anziana donna si sia smarrita e che fermi i viandanti che incontra con modi garbati, per domandarle informazioni su come raggiungere Vico dei Librai. La vecchina afferma con aria desolata di essersi persa e di non conoscere il modo per tornare a casa.

Negli anni molte persone hanno testimoniato che l'anziana sparisse mentre loro cercavano di capire dove la signora fosse diretta perché, in realtà, la via indicata da lei non esisteva più da molto tempo essendo stata bombardata e distrutta dai tedeschi, nel corso della Seconda guerra mondiale.

Una delle ultime testimonianze è stata quella di una ragazza, che ha dichiarato di essere stata fermata da una bizzarra vecchietta che le domandava informazioni. Mentre stava cercando di capire e di aiutare l'anziana dai modi raffinati e cortesi, venne interrotta da un'amica che le chiese perché stesse gesticolando e parlando da sola. Quando, inebetita, la giovane donna si volse per mostrare la sua anziana interlocutrice, si accorse che si era, inspiegabilmente, volatilizzata tra un vicolo e l'altro.

                   

Un'altra testimone afferma che, un giorno, nel suo bar, entrò un’anziana signora dall'aria antiquata, che le chiese cortesemente un caffè. Mentre la barista serviva un'altra cliente, la vecchietta lasciò il suo locale, senza nemmeno bere la bevanda ordinata e dimenticando sul bancone un vecchio borsellino con all'interno antiche monete. La giovane esercente corse all’esterno e inutilmente cercò nei vicoli circostanti la vecchina.

Se doveste venire a Genova a visitare il nostro centro storico, non vi spaventate se incontrate la vecchina del Vicolo dei Librai. Lei vorrebbe soltanto ritrovare la strada di casa. 

                                             

                           

 

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martedì 15 dicembre 2020

Il tesoro del castello di Graines

 






Mia bella Val d’Ayas! Quanti ricordi dell'infanzia suscita in me quel pezzetto meraviglioso della Valle d’Aosta! 

Ero in colonia e le signorine ci conducevano a fare escursioni  sui  sentieri rocciosi, ai bordi di freschi ruscelli gorgoglianti, e passeggiate  sui prati fioriti odorosi di muschio e di erbetta, dove pascolavano mandrie di mucche pacifiche, dallo sguardo paziente e comprensivo verso lo schiamazzare querulo di un'orda di fanciulli scatenati.  E, infine, le tante, tante scorpacciate di mirtilli. Così tanti, da sporcarsi la bocca e le guance di rosso scarlatto.

Ricordi che sfumano lentamente lasciando spazio alla leggenda!

La bella Val d’Ayas, si stende ampia e colma di sole ai piedi di un monte che, alla sera, per effetto del tramonto, si dipinge magicamente di rosa. La vallata si restringe all’improvviso e si insinua tra due ripide pareti rocciose  ricoperte di vegetazione e da un’aura misteriosa.                      

                         

Tra le tante leggende fiorite tra quei monti, una delle più suggestive è quella del maniero di Graines, uno dei castelli più affascinanti di quella regione montana.

La leggenda narra che nel castello sia nascosto da millenni un fantomatico tesoro protetto da una formula arcana.

Nei secoli, molti cercatori avrebbero tentato di appropriarsene ma delle loro disavventure si è poi persa la memoria.

E passata invece alla storia affascinante del maniero il racconto di un ardimentoso e giovane pastore. Una voce misteriosa ne avrebbe interrotto il sonno suggerendogli il luogo e il punto esatto dove, si narra, fosse nascosto il tesoro.

La voce misteriosa gli avrebbe raccomandato anche di non attardarsi nel locale sotterraneo, oltre il terzo canto del gallo, perché ciò avrebbe costituito la fine di tutti i suoi sogni e i progetti di vita.                                         Il pastore seguì alla lettera le istruzioni, fino a rinvenire la botola che lo avrebbe condotto nella stanza del tesoro.

                                   

                                                    

Lo stupore del giovane fu immenso quando si ritrovò circondato dalle gemme più preziose al mondo, oro e gioielli a profusione.

Perso dalla malia di quella miriade di pietre luccicanti e dalla cupidigia, si dimenticò dell’ammonimento o, forse, non udì nemmeno il triplico canto del gallo.

Al terzo richiamo, la botola si richiuse misteriosamente con un tonfo fragoroso e purtroppo, il poveretto, per quanto si sforzasse, non riuscì più a risollevarla e rimase sepolto vivo nel sotterraneo.

Nessuno ne seppe più nulla e la sua scomparsa contribuì ad accrescere il mistero sul maniero di Graines. 

                                         

                            


Leggenda popolare rielaborata dall'autrice del blog

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giovedì 10 dicembre 2020

La leggenda del ponte coperto di Pavia

 

           


Nel lontano passato e più precisamente nel 999, la città di Pavia non aveva nessun ponte sul Ticino. Qualche anno prima, l'antico ponte romano che permetteva il transito da una sponda all'altra era crollato e i cittadini erano costretti a usufruire di un servizio di chiatte per attraversare le acque.

Accadde che, la vigilia del Natale di quell'anno, molti pellegrini desiderassero assistere alla messa di mezzanotte e per questo si diressero al fiume per la traversata.

Ma sia per la nebbia che per il numero delle persone presenti sulla sponda, il servizio di imbarco rallentò molto.                                      

In quel momento, nella nebbia si materializzò uno sconosciuto vestito di rosso, che indicò ai pellegrini l'ombra nebulosa di un ponte che si stagliava da sponda a sponda. “Questo ponte è fatto di nebbia” disse con una voce cavernosa “ma diverrà di pietra se il primo che lo attraverserà mi assicurerà la sua anima in eterno! “         

In viandanti rimasero interdetti. A quel punto era facile intuire che si trattava di una figura demoniaca ma nessuno di loro poteva immaginare che fosse Belzebù in persona. Come, del resto, nessuno aveva ancora notato, semi nascosta tra la folla, la figura di un altro sconosciuto.

Si trattava dell'Arcangelo Michele accorso dalla chiesa vicina, appena percepita la presenza del signore del male.

Fu l'angelo a prendere la parola per rispondere a tono: “Quello che ci chiedi è un grosso sacrificio. Abbiamo bisogno di tempo per riflettere. Comunque, tu inizia a costruire il ponte di pietra e se davvero lo realizzerai solido e indistruttibile, ti terrai il primo che lo attraverserà! “

       

Il diavolo non esitò un istante e accettò la proposta dello sconosciuto, poi, costruito il ponte si mise in attesa, sul pilone centrale, del primo viandante.

L'angelo allora si fece portare un caprone costringendolo a passare per primo e il demone, quando si rese conto essere stato raggirato, s’infuriò e si vendicò, scatenando un terrificante nubifragio. Nonostante la violenza con cui si abbatterono gli elementi, il ponte resistette alla furia devastatrice e non crollò.

I cittadini pavesi, per tenere il male lontano, edificarono sul pilone centrale una cappella dedicata a Giacomo Nepomuceno, il santo protettore dei fiumi.

Ancora oggi, nelle giornate più uggiose di nebbia, i viandanti che transitano nei pressi,  possono avere l'illusione di scorgere un ponte nebuloso, così come era apparso ai pellegrini ben più di mille anni prima.

                                                

                             

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giovedì 3 dicembre 2020

Nessie, il mostro di Loch Ness




“Piovigginava leggermente, il lago era grigio e il colore della creatura era grigio scurissimo e in netto contrasto con lo sfondo più chiaro dell'acqua e del cielo. Il mostro era immobile in superficie, rivolto in direzione di Inverness. La lunghezza era di quasi dieci metri; è difficile valutare la distanza esatta che ci separava, tuttavia, era abbastanza vicino a noi perché potessimo vederlo distintamente. C'erano tre gobbe, la più grande nel mezzo e la più piccola dietro il collo, che era lungo e snello, con una testa piccola e priva di tratti visibili. Immergeva spesso la testa nell'acqua, come per mangiare o, forse, semplicemente per divertirsi. “

Questa è la testimonianza della signora Majory Moir risalente al 1936 e riguardante uno degli innumerevoli avvistamenti del mostro.  

Non so voi ma a me piace credere che Nessie esista e che sia anche una creatura fantastica. Mansueta, considerato che, nonostante le numerose denunce di avvistamenti anche a distanza ravvicinata, mai nessuno ha lamentato aggressioni o comportamenti minacciosi. Eppure, tanti testimoni hanno descritto una creatura dalle dimensioni gigantesche. Qualcuno le ha dato confidezialmente un nome e pare, che qualcun altro sia anche riuscito a fotografarlo. Pare, perché alcune immagini si sono dimostrate dei falsi, mentre altre sarebbero poco chiare. Gli avvistamenti, comunque, sono iniziati nel lontano 1930.

Loch Ness è un lago lungo 37 km caratterizzato da profondità quasi abissali e avvolto da un clima freddo e uggioso, spesso immerso nelle nebbie più fitte.

 

Quando il tempo tende al bello, però e la nebbia si dirada, agli occhi dei visitatori appare un panorama mozzafiato. Le acque si colorano di un verde smeraldo, lo stesso delle montagne che lo circondano e vi si specchiano.

Il mito della misteriosa creatura, o lucertolone, come lo chiamano alcuni, ha alimentato la fantasia di parecchi scrittori, turisti e appassionati del mistero rendendo Loch Ness il luogo più visitato della Scozia.

                   

Personalmente ne ho fatto cenno anche io a questa mitica creatura dedicandole un intero capitolo nel mio romanzo “Un Highlander per amico “ edito da Delos Digital.

Mitica Nessie! Realtà o leggenda, ti sei meritata l’attenzione di milioni di persone, compresa la mia, naturalmente.

                                         

                           


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sabato 28 novembre 2020

La leggenda della Mary Celeste



Vittime di una nave pirata? Sbranati dagli squali o attaccati da un mostro marino? O forse erano stati rapiti dagli alieni?

Che fine aveva fatto l'intero equipaggio del brigantino Mary Celeste?

Il 5 dicembre del 1872 la nave inglese “Dei Gratia” entrò nel porto di Gibilterra trainando un veliero abbandonato.

I marinai inglesi giurarono, che sia l'avvistamento che il recupero del brigantino, ritrovato al largo delle Azzorre, che fosse avvenuto in circostanze assai misteriose.

L'abbordaggio da parte dei marinai inglesi era avvenuto dopo svariati tentativi di richiamare l’attenzione di chiunque si fosse trovato a bordo del veliero, ma a quei richiami nessuno aveva risposto.

Eppure, il brigantino appariva in buone condizioni con quasi tutte le vele spiegate al vento. Gli uomini notarono che la nave procedeva in modo strano, con la vela maestra piegata e quella di gabbia stracciata dal vento. Il veliero era chiaramente alla deriva, in balia del vento e delle onde e tendeva a straorzare, come se non ci fosse nessun nocchiero a governarne il timone.

Gli inglesi misero in mare una loro scialuppa e raccontarono che accostare la nave fantasma non fu affatto facile, dato le condizioni del mare e tantomeno semplice fu la manovra di abbordaggio.

Occorsero molti tentativi prima che i marinai riuscissero a salire a bordo.

                                                 

Le condizioni in cui gli inglesi trovarono la nave contribuì a infittire il mistero. Sulla coperta non vi era anima viva e, a parte un po' di confusione, non vi erano segni di violenza né di furiosi combattimenti. Il ponte era deserto e lo erano anche le cabine e la cambusa. Trovarono un po’ di acqua nelle sentine, ma nulla che non si potesse eliminare facilmente con le pompe idrauliche.

Anche i viveri e le scorte di acqua potabile erano al loro posto e non mancavano nemmeno gli effetti personali dell'equipaggio.

Il libro di bordo, nella cabina del comandante, era aperto e vi era annotato di essere appena usciti illesi da una tempesta. A parte la confusione che regnava un po’ dappertutto, dovuta probabilmente alle condizioni del mare in burrasca, le uniche cose che mancavano, erano un sestante e una scialuppa di bordo.

Gli inglesi raccontarono di aver trovato dei piatti pieni di zuppa ancora calda e persino un sigaro acceso. Significava che qualsiasi cosa fosse accaduta, era recente e aveva costretto l’intero equipaggio all’abbandono precipitoso della nave. Allora, perché mancava solo una scialuppa? Se davvero erano stati costretti a fuggire, di natanti ne sarebbero occorsi molti di più per il numero dei marinai presenti a bordo. Inoltre, il mare intorno al mercantile inglese era deserto e non si vedeva ombra di naufraghi e di relitti.

          

I soccorritori avevano raccontato tutta la verità o avevano arricchito il loro resoconto donando un'impronta misteriosa al ritrovamento? 

Comunque il dubbio rimaneva: che fine aveva fatto l'equipaggio del veliero?

Al loro arrivo a Gibilterra, il procuratore capo aprì un'inchiesta, che non approdò a nulla.

Furono vagliate parecchie ipotesi e persino il comandante inglese del mercantile venne sospettato e indicato dall’investigatore come l’artefice della scomparsa dell’equipaggio, con la complicità dei suoi marinai. E tutto per appropriarsi del diritto di possesso della nave recuperata, come indicato dalla legge del mare, ma l’accusa decadde miseramente quando si scoprì che il capitano era già compartecipe di quel bene.

Il mistero di quella collettiva sparizione rimase irrisolto e ogni tanto torna ancora alla ribalta servendo da ispirazione per scrittori e sceneggiatori cinematografici.   

            

                                                                



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giovedì 19 novembre 2020

Lohengrin, il Cavaliere del cigno

 

Nell’opera omonima di Wagner, Lohengrin, figlio di Parsifal, leggendario cavaliere della tavola rotonda, era uno dei custodi del Sacro Graal.

Per ordine di re Artù, il cavaliere partì in difesa di Elsa di Brabante, una damigella accusata ingiustamente da Telramunt, un vassallo di suo padre, di avere ucciso suo fratello per impossessarsi del titolo di erede alla successione.  

L'accusa indirizzata alla giovane donna era del tutto falsa e le era stata rivolta per vendetta dal vassallo, infuriato per avere ricevuto un rifiuto alla sua offerta di matrimonio.

Il sovrano domandò spiegazioni alla figlia ed Elsa rispose che lei non era in grado di difendersi ma che in un sogno aveva visto l’arrivo di un misterioso cavaliere, che sicuramente avrebbe trovato il modo di scagionarla e che lei, per gratitudine lo avrebbe sposato.

Lohengrin, mantenendo segreta la sua identità, come richiesto dal padre, arrivò al maniero in modo suggestivo su di una piccola imbarcazione trainata da un cigno, ma deciso a salvare la damigella in pericolo, fino a sfidare in duello l'accusatore.  

I due si batterono con grinta e coraggio ma fu il cavaliere a prevalere sull'altro, poi, in modo magnanimo, risparmiò la vita al suo rivale. 

Quando il duello ebbe fine Lohengrin domandò in sposa la bella Elsa.

Il padre della fanciulla concesse al misterioso cavaliere la mano della figlia, ma Lohengrin, prima delle nozze, volle porre una condizione alla giovane donna e si fece promettere solennemente che lei non gli avrebbe mai domandato di svelare le sue origini e il suo vero nome, perché nessuno al mondo doveva conoscere la sua vera identità di cavaliere e custode del Santo Graal.

La giovane s’impegnò, suggellando il patto ma Telramunt, che non era affatto disposto a perdere per sempre l’oggetto del suo desiderio, lanciò nuove accuse di stregoneria, questa volta contro il misterioso cavaliere.             

Lohengrin si trovò a sua volta costretto a doversi difendere ma, non potendo svelare la sua identità, i cortigiani e il sovrano stesso iniziarono a dubitare della sua moralità e a sospettare che le accuse del vassallo avessero fondamento.

Ignorando la promessa fatta, Elsa venne meno al patto e supplicò il promesso sposo perché si difendesse, svelando a tutti la sua identità e i motivi che l’avevano condotto al maniero.

Lohengrin, per evitare la condanna, fu obbligato a dichiarare davanti alla corte e a tutti i cavalieri presenti di essere il figlio di Parsifal e uno degli eroici custodi del Santo Graal.                 




Ormai privo della copertura dell'anonimato, il cavaliere sentì suo dovere partire alla volta della Montagna Sacra e, risalito sulla suggestiva imbarcazione trainata dal cigno, si allontanò sulle acque dello Schelta, svanendo lentamente nella nebbia che avvolgeva il panorama, lasciando Elsa affranta.                   

                   


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lunedì 16 novembre 2020

Il ciliegio del sedicesimo giorno

                                 

Nel lontano Giappone, nel distretto di Wakegori, esiste un ciliegio antichissimo e molto famoso chiamato Jiu-raku-zakura, che tradotto vuol dire “ciliegio del sedicesimo giorno.”

Pare che questo leggendario albero fiorisca tutti gli anni il sedicesimo giorno del primo mese di gelo, secondo il vecchio calendario lunare.

Il periodo della sua fioritura, dunque, non avverrebbe durante la stagione primaverile come sarebbe normale che accadesse ma, piuttosto nel periodo di estremo gelo, così come pare che accadde la prima delle volte documentate.      La leggenda narra che nell'albero alberghi lo spirito di un uomo morto tanto, tanto tempo fa.  

Il suo nome è rimasto sconosciuto, ma pare che fosse un samurai e che il ciliegio crescesse rigoglioso nel suo giardino accudito, per più di un secolo, dal padre prima di lui e prima ancora dal nonno e dagli antenati.

Il nobile guerriero, ormai diventato anziano e avendo perso negli anni l'intera famiglia, dedicava molto del suo tempo alla cura del ciliegio portando avanti un'antica tradizione tramandata dai suoi avi, che era quella di appendere tra i rami strisce di carta colorata, su cui erano scritti versi poetici.                                                               

Accade che un giorno d'estate, il ciliegio si avvizzì e l'anziano samurai ne soffrì talmente da deperire in modo graduale.

Inutilmente i suoi vicini si prodigarono, donandogli persino un giovane ciliegio e piantandolo per lui nel suo giardino. L'anziano samurai mostrò loro molta gratitudine, ma quel generoso gesto non servì a portargli conforto, perché ormai sentiva la morte nel cuore.

I mesi passarono veloci e arrivò l’inverno con il gelo e con la prima neve e l’uomo, sempre più malinconico e depresso, teneva lo sguardo sempre puntato sull’albero, che non aveva voluto fosse sradicato dal terreno. Considerava sacro il ciliegio perché era stato piantato dagli antenati e, rappresentando la storia della sua famiglia, riteneva sacrilego estirparne le radici.  Per lui sarebbe stato come strappare dal suo cuore il ricordo di tutti i suoi cari.                     

Esiste un'antica credenza giapponese che dice, nel caso si ritenesse necessario, una persona può sacrificare la sua vita per salvare quella di un'altra creatura vivente, che sia umana, animale o vegetale.

Il samurai pensò che fosse giusto immolare la sua vita per salvare quella dell'antico albero e, un giorno, steso un telo candido accanto all’amato ciliegio, fece karakiri, come era in uso tra nobili guerrieri.                                    

Nel momento stesso in cui l'anziano esalò l'ultimo respiro, la sua anima trasmigrò nel ciliegio e quei rami rinsecchiti fiorirono nel medesimo istante.

Da quel lontanissimo giorno e grazie al nobile sacrificio del guerriero giapponese, pare che quel ciliegio fiorisca misteriosamente il sedicesimo giorno del primo mese della stagione della neve.  

                                                 


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venerdì 13 novembre 2020

La leggenda del lago della Ninfa


                                     


Una leggenda che diventa favola e che ha origine da un'altra antica leggenda. Questa è la storia di una bellissima ninfa dai glaciali occhi verdi, tonalità del tutto simile alle acque del lago in cui viveva e in cui si specchiavano le rigogliose montagne e gli abeti dei boschi che lo circondavano.

La leggenda narra che la ninfa, il cui nome rimane tuttora sconosciuto, possedesse il dono del canto con una voce armoniosa e che ogni giorno intonasse una melodia dedicandola alle montagne circostanti.

Cacciatori e pastori, ma anche semplici viandanti, ne rimanevano incantati.

Pare che la ninfa fosse molto maliziosa e che si divertisse a far innamorare chiunque passasse nelle vicinanze del lago, invitandolo poi, con lusinghe e promesse, a raggiungerla attraverso un ponte di cristallo, che lei stessa aveva ideato con l’inganno.                         


Quando i malcapitati erano ormai a un passo dalla conquista, il ponte si spezzava sotto i loro in piedi e gli illusi precipitavano nelle acque annegandovi.

Una fine terribile, dunque, ma pare che la storia prenda spunto da un'altra leggenda in cui il re dei Gorghi s’invaghì di una giovane pastorella, tanto da volerla conquistare, ma pare che lei respingesse le sue attenzioni.

Il sovrano non prese bene il rifiuto della fanciulla e tramò in gran segreto per impedirle di vivere qualsiasi altra storia d'amore.

Accade che un giorno, un giovane cacciatore che passava da quelle parti, rimase colpito dalla bellezza della pastorella, tanto da innamorarsene e a domandarla in sposa.

Il re venne a conoscenza del loro amore e, folle di gelosia, mise in giro la voce che lei fosse una ninfa maligna. Da quel momento, gran parte dei viandanti si mantenne distante dal lago presso il quale viveva la pastorella, ma il giovane non diede credito alle maldicenze e volle a tutti i costi raggiungere l'innamorata.

                                   


Quel giorno anche il destino sembrò accanirsi contro il loro amore, difatti, per raggiungere la sua promessa sposa il giovane cacciatore avrebbe dovuto transitare su un vecchio ponte che attraversava il lago, ma prima che riuscisse ad abbracciare la fanciulla, che lo attendeva con ansia dall’altra parte, la fragile passerella si spezzò ed entrambi annegarono nel lago.

Oggigiorno c'è chi sussurra che, durante le notti più serene, sarebbe udibile il lamento della ninfa, che cerca disperatamente il suo bel cacciatore.

                                               

                                                                      

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martedì 10 novembre 2020

Cassandra, la profetessa inascoltata

 


Cassandra, figura della mitologia greca, figlia di Ecuba e di Priamo, re di Troia, compare già nell’Iliade pur senza avere un rilievo importante mentre, in epoca successiva a Omero, una leggenda narra che il dio Apollo si fosse invaghito della bella Cassandra ed essendo stato da lei illuso di essere corrisposto, le donò il potere della profezia.

La giovane, appena si rese conto dell’immensità del suo potere, iniziò a respingere tutte le attenzioni e Apollo, per vendicarsi dell’affronto le sputò sulle labbra. In seguito a quell’oltraggioso gesto a Cassandra rimase il dono ma, da allora in poi, nessuno mai avrebbe più creduto alle sue previsioni.                                  

Virgilio, nella sua “Eneide” narra che, durante l’assedio di Troia, Cassandra tentò di dissuadere i troiani a introdurre nella città il gigantesco cavallo di legno inviato in dono dai greci, avvertendoli del pericolo, ma nessuno la ascoltò.

Nel cuore della notte e, mentre la maggior parte degli ignari cittadini dormiva tranquillamente, i soldati greci nascosti nel capace ventre del cavallo di legno, uscirono furtivamente e spalancarono le porte d'ingresso della città al resto dell'esercito.

Troia venne così conquistata con l'inganno dagli assedianti, che poi le diedero fuoco massacrando tutti gli abitanti.

Durante la devastazione, Cassandra, rifugiatasi nel tempio di Athena in cerca di salvezza, subì la violenza del greco Aiace di Oileo, che la strappò a viva forza dalla statua della dea a cui si era aggrappata.

Divenuta prigioniera di guerra, la profetessa venne assegnata come schiava ad Agamennone, vincitore acclarato della guerra di Troia e proclamatosi re, in seguito alla morte di Priamo.  

Venuto a conoscenza del potere della giovane donna il sovrano la rese sua concubina e la volle al suo fianco durante il suo trionfale rientro a Micene.                                

                                                

Ad attenderlo vi era Clitennestra, sua moglie infedele, che lo accolse con false dimostrazioni d'affetto. In realtà, la donna, che aveva già in mente l'assassinio del marito, invitò anche Cassandra a entrare nella Reggia, forse con identiche e oscure intenzioni. Ma la giovane profetessa presagì la morte imminente del sovrano e lo avvertì, anche questa volta senza essere creduta.

Agamennone morirà per mano della moglie così come Cassandra aveva previsto.

Oggi giorno si usa dare l’appellativo di “Cassandra” a coloro che, pur prevedendo eventi catastrofici non vengono creduti, mentre la sindrome di Cassandra si dà alle persone convinte di non poter evitare in nessun modo di cadere in disgrazia.                                                                      

                                                  


                                                                                 

                                                       
                                             

      

                

                                                                    


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sabato 7 novembre 2020

Area 51: tra miti e leggende

                                                                                         


Gli appassionati di fantascienza e di tutto ciò che riguarda gli ufo conosceranno bene la storia di questa famosa area di 26.000 mq, situata nel sud del Nevada e a circa 150 km da Las Vegas.

Oggi si tratta di una moderna base militare, che si è conquistata l'onore delle cronache di tutto il mondo, per un incidente verificatosi nello spazio aereo che sovrasta la zona e che ancora tutto oggi è avvolto nel mistero.

Il disastro è accaduto nei primi giorni di luglio del 1947 quando, un oggetto volante non meglio identificato, si schiantò al suolo spargendo detriti per centinaia di metri.

                                     


I militari, allertati da parecchi testimoni, accorsero sul posto per raccogliere ed esaminare il materiale. In seguito, furono proprio quei militari a rilasciare un comunicato stampa in cui dichiaravano che i detriti sparsi nella zona erano quelli di un disco volante. Quella affermazione suscitò scalpore sull'intero pianeta e costrinse i vertici a una decisa smentita dopo nemmeno 24 ore. I militari, rettificando la prima versione, dichiararono che i detriti erano quelli di una sonda spaziale.

Ma, ormai, il primo comunicato aveva fatto il giro del mondo e già circolava la voce di alcuni alieni rimasti uccisi nello schianto e tenuti nascosti in un luogo segreto e poi trasferiti nella base dell'Area 51. Vennero divulgate anche le foto di qualche autopsia effettuata su alcuni dei cadaveri alieni, tuttavia, esiste tuttora il dubbio sulla autenticità delle foto.

                                  


La segretezza in cui è sempre stata blindata la base militare, al cui interno vengono studiate e sperimentate avveniristiche tecnologie aeree e velivoli atti alla difesa della nazione ha fomentato, nei decenni trascorsi dall'incidente, decine di leggende.

Secondo alcuni testimonianze, più o meno veritiere, non tutti gli alieni sarebbero deceduti nello schianto, ma tenuti prigionieri e nel tempo, sarebbero stati soggetti a studi continui. Secondo altri, all'interno della base, avverrebbero incontri occulti tra alcuni politici statunitensi e delegazioni di extraterrestri giunti sul nostro pianeta in gran segreto.

Tra le tante tecnologie aliene, che interesserebbero i vertici militari, ci sarebbero il teletrasporto, alcune armi laser e bizzarri macchinari per effettuare ipotetici viaggi nel tempo.

Si sussurra, inoltre, di un Governo Occulto Mondiale. Un'associazione di uomini e alieni che controllerebbe nella massima discrezione la vita sull'intero pianeta.

                                     


La realtà, per fortuna, sarebbe ben diversa e si spiegherebbe nel fatto che la base militare è stata, fin dalla sua nascita, utilizzata per sperimentare le tecnologie più all'avanguardia nel campo bellico e che, persino i numerosi avvistamenti di ufo sopra la zona, sarebbero stati motivati con le prove di velivoli ultramoderni utilizzati durante le ricognizioni e alcuni conflitti, tra cui la guerra del golfo.

Nonostante le numerose spiegazioni, il mistero avvolge tutt'ora l'area 51, anche perché la zona è circoscritta e sorvegliata militarmente ed eventuali visitatori importuni rischierebbero multe salatissime e addirittura alcuni mesi di carcere.

                                            

                                       

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mercoledì 4 novembre 2020

Excalibur e la Dama del lago

                                      


Excalibur era la spada magica di re Artù, il sovrano più mitizzato, che la letteratura fantastica abbia mai portato alla ribalta.

Re Artù e i cavalieri della Tavola Rotonda, mago Merlino, fata Morgana e infine Nimue la Dama del lago, sono i personaggi legati alla sorte della spada Excalibur.

Si narra che le spade di Artù fossero due, che la prima gli si spezzò durante un feroce combattimento e che la seconda, la vera Excalibur, gli fu donata da Nimue, la Dama del lago.                                 

La misteriosa dama sembra vivesse in un regno incantato circondato da un lago, le cui acque sarebbero state soltanto un’astuta illusione ottica, per mascherare l'ingresso dell’arcana dimora agli importuni o malintenzionati. E pare proprio che l’inganno funzionasse, considerato che nessun cavaliere e nessun viandante aveva l’animo di attraversare quelle acque.

In opere diverse, a questa magica protagonista entrata di diritto nella leggenda arturiana,  vengono attribuite anche gesta differenti. Sarebbe lei a consegnare ad Artù Excalibur, e ancora lei a portare il re morente, dopo la battaglia di Camlann, all'isola di Avalon. Sarebbe ancora Nimue ad allevare ed educare il giovane Lancillotto rimasto orfano del padre e, infine, ancora lei a sedurre mago Merlino, a ingannarlo e imprigionarlo.                                        

La leggenda della Dama del lago trova molte analogie con quella delle Nereidi. Teti, uno spirito dell'acqua presente nella mitologia greca, allevava un grande eroe, dal nome risonante: Achille. Tra le altre similitudini con Nimue, Teti era moglie di Aleo, e la Dama del lago, secondo qualche versione, aveva un amante che si chiamava Pelleas.

Nella mitologia greca Teti dona l’invulnerabilità ad Achille, compresi l'armatura e lo scudo forgiati da Efesto, il Dio del fuoco, mentre Nimue dona a Lancillotto un anello dalle proprietà magiche e protettive.

Nel romanzo di Excalibur, invece, Nimue era una giovane bellezza dagli occhi scuri e capelli neri destinata a diventare una schiava, ma la nave che trasportava tanti altri disgraziati come lei naufragò e la ragazza fu l'unica superstite.

Questo particolare indusse mago Merlino a credere che la giovane fosse predestinata a compiere grandi imprese e che su di lei fosse scesa la benevolenza e la protezione degli dei.                                   

Questa arcana figura femminile è stata sempre e comunque associata alle fonti dell'acqua e dei laghi. Difatti anche il suo nome deriverebbe, in ogni versione letteraria, da divinità associate sempre all’elemento acquatico.

Nimue sarebbe una diminuzione di Mnemosine, la madre delle nove Muse e delle Ninfe dell'acqua. In altre opere, la protagonista viene chiamata Vivien, che deriverebbe da Coventine, divinità celtica delle acque.

Una degli adattamenti più conosciuti della Dama del lago è quello nel film “Excalibur” del 1981. Nella pellicola non si vede mai chiaramente il volto della misteriosa creatura, mentre ben visibile e in primo piano è il braccio che emerge dalle acque del lago e che porge in dono la spada al giovane Artù.

Nel momento in cui il re di Camelot, ormai anziano, spezzerà la lama buttandola nelle acque, Nimue la raccoglierà, riparandola e riconsegnandola al sovrano.

Comunque, in tutte le fantasiose versioni conosciute, la dama è sempre la custode di Excalibur, simbolo di potere assoluto e in grado di riunire i cavalieri sotto il comando di colui in grado di brandirla.

                                                  



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