Chrisell urlò di dolore, e se non fosse stato
per il sostegno di Mark, sarebbe precipitata nel vuoto.
Le tre orripilanti creature accerchiarono il
pegaso costringendolo a scendere, ma proprio in quel momento apparve Alyser.
Il gracchiare sonoro delle arpie, seguito
dall’urlo di Chrisell, si era espanso nel cielo che si stava schiarendo, ed era
stato udito dalla giumenta e da Silvestre.
«Deve essere accaduto qualcosa di terribile!
Torniamo indietro amica mia!» l'aveva esortata l’amazzone.
«Tieniti forte, mia signora!» le aveva
raccomandato Alyser, quindi, fatta una rapida giravolta, si era diretta verso
gli strepiti provocati dalle arpie.
“Per tutte le stelle!” pensò Silvestre nel
ravvisare la situazione drammatica che stavano vivendo i suoi protetti.
“Gylldor sembra allo stremo, quanto tempo potrà resistere?”
Spronò Alyser ad accelerare, tuttavia, prima di
raggiungerli, la figura mitica del sovrano a cavallo di un mastodontico pegaso
s’interpose tra loro.
«Dove credevi di andare, mia bella signora?»
Silvestre frenò la corsa della giumenta e avvolse in uno sguardo di fuoco il
suo acerrimo nemico. «Togliti di mezzo, se non vuoi finire male!» lo minacciò.
Zephar si lasciò andare in una risata satanica,
quindi le rispose: «Fossi in te non farei tanto la baldanzosa, piuttosto mi
guarderei alle spalle!»
Silvestre subodorò un tranello, ma sbirciò
all’indietro e intravide una schiera di sgherri a cavallo di altrettanti
pegasi.
«Non credi sia il caso di arrendersi?» domandò
il sovrano, caustico.
«Mai!» sibilò la dama «Piuttosto che finire tua
prigioniera, preferisco la morte!»
Quella risposta imperiosa colpì come una
sferzata Zephar, che indietreggiò impercettibilmente, quasi fosse mortificato.
«È un vero peccato!» rispose, nascondendo la
delusione. «Sappi che non ti avrei mai considerata una schiava, ma la regina
del mio castello e» sospirò con una pausa a effetto «la regina del mio cuore»
aggiunse, con una mano sul petto.
Silvestre lo derise, sprezzante: «Impossibile!
Tu non possiedi un cuore!»
«Ora basta! Se non posso averti è inutile che tu viva!» urlò spazientito il Malefico attaccando per primo. Dalle sue mani partì una miriade di strali di fuoco, ma la dama fu lesta ad alzare uno scudo difensivo su cui andò a infrangersi la pioggia di scintille.
Tuttavia, anche se all’esterno appariva
indomita e determinata, la Dama del bosco era profondamente preoccupata. Poco
distante riusciva a vedere Gylldor e i suoi amici in grande difficoltà. Mark
era impegnato a sostenere e a difendere la silfide, per quanto gli era
possibile nella sua posizione, e il pegaso lottava con la forza della
disperazione per non soccombere agli artigli, ma soprattutto alla stanchezza,
che s’indovinava nei movimenti forzati.
“Cosa gli è successo? La trasformazione avrebbe
dovuto infondere più vigore ai suoi muscoli. Perché è così esausto?” si chiese
difendendosi da un nuovo attacco, costretta a concentrarsi sul nemico. “Non
posso fare nulla per loro, e per me è giunta l’ora della verità. Se voglio
salvare queste creature e quelle del mio regno, questo demonio deve morire. O
me o lui!” terminò con amarezza, quindi sferrò il suo attacco.
Mentre il sole riappariva lentamente dall’ombra
della luna, nel cielo si moltiplicarono gli scoppi e le deflagrazioni, come
tanti tuoni e fulmini durante un temporale. I riverberi che ne derivavano
misero in luce le onde placide del Lago Smeraldo che si stendeva decine e
decine di metri sotto il punto dello scontro.
Presi dalla foga del combattimento, i
contendenti non si erano accorti di essere sullo spartiacque tra i due regni.
In lontananza erano appena visibili le cime degli alberi più alti del reame
della boscoso, che si protendevano verso il cielo e sembravano indicare la via
del ritorno alle creature silvestri. “Dobbiamo arretrare!” si disse Zephar “Nel
caso dovessimo sconfinare, la dama acquisirebbe troppa energia dalla sua terra
e dai suoi elementi e rischierei di perdere tutto” realizzò tra sé, mentre lo
scontro proseguiva alla pari.
Mark, non potendo combattere, si limitava a difendere
il corpo inerme della silfide e, ogni tanto, lanciava un’occhiata verso i due
contendenti.