Chrisell urlò di dolore, e se non fosse stato
per il sostegno di Mark, sarebbe precipitata nel vuoto.
Le tre orripilanti creature accerchiarono il
pegaso costringendolo a scendere, ma proprio in quel momento apparve Alyser.
Il gracchiare sonoro delle arpie, seguito
dall’urlo di Chrisell, si era espanso nel cielo che si stava schiarendo, ed era
stato udito dalla giumenta e da Silvestre.
«Deve essere accaduto qualcosa di terribile!
Torniamo indietro amica mia!» l'aveva esortata l’amazzone.
«Tieniti forte, mia signora!» le aveva
raccomandato Alyser, quindi, fatta una rapida giravolta, si era diretta verso
gli strepiti provocati dalle arpie.
“Per tutte le stelle!” pensò Silvestre nel
ravvisare la situazione drammatica che stavano vivendo i suoi protetti.
“Gylldor sembra allo stremo, quanto tempo potrà resistere?”
Spronò Alyser ad accelerare, tuttavia, prima di
raggiungerli, la figura mitica del sovrano a cavallo di un mastodontico pegaso
s’interpose tra loro.
«Dove credevi di andare, mia bella signora?»
Silvestre frenò la corsa della giumenta e avvolse in uno sguardo di fuoco il
suo acerrimo nemico. «Togliti di mezzo, se non vuoi finire male!» lo minacciò.
Zephar si lasciò andare in una risata satanica,
quindi le rispose: «Fossi in te non farei tanto la baldanzosa, piuttosto mi
guarderei alle spalle!»
Silvestre subodorò un tranello, ma sbirciò
all’indietro e intravide una schiera di sgherri a cavallo di altrettanti
pegasi.
«Non credi sia il caso di arrendersi?» domandò
il sovrano, caustico.
«Mai!» sibilò la dama «Piuttosto che finire tua
prigioniera, preferisco la morte!»
Quella risposta imperiosa colpì come una
sferzata Zephar, che indietreggiò impercettibilmente, quasi fosse mortificato.
«È un vero peccato!» rispose, nascondendo la
delusione. «Sappi che non ti avrei mai considerata una schiava, ma la regina
del mio castello e» sospirò con una pausa a effetto «la regina del mio cuore»
aggiunse, con una mano sul petto.
Silvestre lo derise, sprezzante: «Impossibile!
Tu non possiedi un cuore!»
«Ora basta! Se non posso averti è inutile che tu viva!» urlò spazientito il Malefico attaccando per primo. Dalle sue mani partì una miriade di strali di fuoco, ma la dama fu lesta ad alzare uno scudo difensivo su cui andò a infrangersi la pioggia di scintille.
Tuttavia, anche se all’esterno appariva
indomita e determinata, la Dama del bosco era profondamente preoccupata. Poco
distante riusciva a vedere Gylldor e i suoi amici in grande difficoltà. Mark
era impegnato a sostenere e a difendere la silfide, per quanto gli era
possibile nella sua posizione, e il pegaso lottava con la forza della
disperazione per non soccombere agli artigli, ma soprattutto alla stanchezza,
che s’indovinava nei movimenti forzati.
“Cosa gli è successo? La trasformazione avrebbe
dovuto infondere più vigore ai suoi muscoli. Perché è così esausto?” si chiese
difendendosi da un nuovo attacco, costretta a concentrarsi sul nemico. “Non
posso fare nulla per loro, e per me è giunta l’ora della verità. Se voglio
salvare queste creature e quelle del mio regno, questo demonio deve morire. O
me o lui!” terminò con amarezza, quindi sferrò il suo attacco.
Mentre il sole riappariva lentamente dall’ombra
della luna, nel cielo si moltiplicarono gli scoppi e le deflagrazioni, come
tanti tuoni e fulmini durante un temporale. I riverberi che ne derivavano
misero in luce le onde placide del Lago Smeraldo che si stendeva decine e
decine di metri sotto il punto dello scontro.
Presi dalla foga del combattimento, i
contendenti non si erano accorti di essere sullo spartiacque tra i due regni.
In lontananza erano appena visibili le cime degli alberi più alti del reame
della boscoso, che si protendevano verso il cielo e sembravano indicare la via
del ritorno alle creature silvestri. “Dobbiamo arretrare!” si disse Zephar “Nel
caso dovessimo sconfinare, la dama acquisirebbe troppa energia dalla sua terra
e dai suoi elementi e rischierei di perdere tutto” realizzò tra sé, mentre lo
scontro proseguiva alla pari.
Mark, non potendo combattere, si limitava a difendere
il corpo inerme della silfide e, ogni tanto, lanciava un’occhiata verso i due
contendenti.
La dama
era ammirevole: combattiva e coraggiosa. Una splendida amazzone, una vera
guerriera! Silvestre non mostrava alcun timore verso la figura imponente del
sovrano e non indietreggiava davanti ai ripetuti attacchi ma, al contrario,
approfittava di ogni momento favorevole per sferrare i propri colpi. Vi erano
momenti in cui i due erano costretti a uno scontro ravvicinato, ed entrambi si
erano creati, con la loro magia, lunghi bastoni che emettevano una luce
abbagliante. Silvestre e Zephar combattevano come due schermidori, con parate e
stoccate, e ambedue davano prova di essere provetti spadaccini.
Uno scarto improvviso di Gylldor riportò Mark
alla loro delicata situazione. I fianchi del pegaso tremavano. Le arpie
attaccavano da tutti i lati cercando qualche spiraglio per colpire ed evitando
il temibile corno che svettava sulla fronte del pegaso, il cui manto era già
striato di sangue. Le ferite non erano profonde, ma dovevano essere assai
fastidiose. Mark tentò in tutti i modi di sostenere l’amico parlandogli e
spronandolo moralmente, ma la discesa diventava sempre più veloce, e il ragazzo
iniziò a pregare che non precipitassero.
Le sue preghiere non servirono molto.
Il sole spuntava ormai per metà da dietro la
luna, e a Mark sembrò di assistere a una nuova aurora. Ma, con la luce, anche
la sua visuale sul mondo sottostante si schiarì, e così si accorse che stavano
sorvolando il Lago Smeraldo.
Mark rabbrividì, ma forse era meglio
precipitare nelle acque gelide del lago piuttosto che schiantarsi a quella
velocità sul terreno.
In quel momento, una delle arpie riuscì a
sfiorarlo, e gli artigli rimasero impigliati in una delle maniche della sua
camicia. Si udì uno strappo, e un lembo di stoffa svolazzante mise a nudo la
pelle dall’avambraccio fino alla spalla.
Il ragazzo sospirò di sollievo per non essere
stato ferito e combatté per liberarsi, ma per riuscirci fu costretto ad
abbandonare la presa sulla silfide. Quel movimento brusco fu fatale. Un’arpia
ne approfittò e, con un’agile mossa, afferrò con gli artigli la ragazza inerme,
strappandola dal dorso del pegaso.
«No!» l’urlo accorato del giovane si propagò
per tutto il cielo arrivando fino a Silvestre, che inorridì.
«No! Non è ancora finita!» si disse, osservando
il lago e l’arpia che iniziava la sua ascesa verso il cielo trasportando la
ragazza stretta tra i suoi artigli. Era già qualche minuto che la Dama del
bosco sentiva rinnovare energie positive nel suo corpo e nella sua mente.
La vicinanza alla sua terra, ai suoi elementi e
al suo popolo contribuiva a rinforzare la sua natura magica.
Silvestre abbandonò per qualche istante la
lotta con il nemico, non prima però di aver sollevato una barriera protettiva,
quindi puntò il suo bastone magico, e un lungo serpentone infuocato scaturì in
direzione del mitico volatile. L’arpia, colpita, emise alte strida di dolore,
mentre le penne della sua coda presero fuoco spandendo intorno uno sgradevole
odore di bruciato e un tortuoso pennacchio di fumo grigio. L’orripilante
creatura lasciò andare la sua preda, buttandosi a capofitto nel lago.
Chrisell precipitò come una bambola senza vita.
L’impatto con l’acqua gelida fu doloroso e
traumatico. La silfide riprese i sensi nel momento stesso in cui il suo viso
cominciò ad affondare. La sua bocca si aprì per urlare e, di conseguenza, si
riempì d'acqua. La ragazza era a un
passo dall’annegare.
Mark aveva assistito alla scena. “È colpa mia!
Non sono riuscito a proteggerla” si rimproverò mentre, ancora a cavalcioni del
pegaso, precipitava. Le due arpie avevano rinunciato all’inseguimento e si
limitavano a osservarne la caduta.
Mark prese una decisione, e a pochi metri dal
pelo dell’acqua, rinsaldando la presa sulla folta criniera di Gylldor, si
sollevò in equilibrio sul dorso, quindi si tuffò a piombo nel lago.
Chrisell annaspava a pochi metri di distanza,
ma quando il giovane raggiunse quel punto, il corpo della fanciulla era già
sparito alla vista, e Mark, dopo aver preso un lungo respiro, fu costretto a
tuffarsi nelle profondità.
Il fondo era torpido, ma per fortuna la veste e
i lunghi capelli fluttuavano intorno alla testa e al corpo della silfide, e lo
guidarono come la luce di un faro in mezzo all’oscurità di una tempesta. Le sue gambe spinsero al massimo e, raggiunta
la sua amica, l’afferrò per le braccia e la riportò in superficie. “L’ho
raggiunta in tempo! “constatò con sollievo vedendola espellere l’acqua ingoiata
e sostenendola con attenzione.
Quando la crisi di tosse si fu calmata,
Chrisell spalancò i suoi incredibili occhi verdi sul suo salvatore e il respirò
di Mark gli si mozzò in gola. Incapace di parlare, lui allungò una mano scostandole
dalla fronte una ciocca di capelli intrisi d’acqua. La diafana fanciulla gli
sorrise, poi accostò il suo viso a quello di lui e con le labbra gli sfiorò le
sue.
Il mondo scomparve intorno a Mark.
Gylldor, invece, nuotò a lungo sott’acqua. Un
po’ per nascondere alle arpie la sua posizione, e un po’ perché sentiva il
bisogno di schiarire le idee. Il pegaso aveva notato che più la luce del sole
filtrava dalla copertura dovuta all’eclissi e più tornava a essere la creatura
razionale che era sempre stato. Il plenilunio e il recente oscuramento gli
avevano carpito gran parte della ragione e dei sentimenti, oltre ad averlo
privato delle sue forze.
Al culmine del fenomeno astrale si era sentito debole come un cucciolo appena nato e totalmente incapace di difendersi. “Per fortuna sta finendo!” si disse nuotando con più vigore. “E quando la luce sarà tornata, potrò risalire a combattere come non mi è stato possibile finora.”
Scontro celeste
Nel frattempo, in qualche punto del cielo, lo
scontro tra Zephar e Silvestre proseguiva sotto lo sguardo attento dei Pegasi Oscuri
e dei loro cavalieri.
La dama era un’abile guerriera. Abituata sin
dalla più tenera età a lottare a mani nude e a combattere con le armi anche
affrontando avversari di stazza più imponente della sua. Ma, in quel momento, era
in ansia per i suoi protetti, che aveva appena visto precipitare, e per poco
non aveva pagato a caro prezzo la propria distrazione.
Il fascio di luce incandescente emesso
dall’arma del Malefico le sfiorò la manica bruciandola, e lo squarcio che ne
conseguì mise a nudo la pelle serica fino alla spalla e parte della scollatura.
Silvestre trasalì per il bruciore, e quando tornò a guardare l’avversario,
questi aveva lo sguardo incatenato su di lei, come avesse avuto una visione.
Fu allora che Silvestre reagì e, con scatto
fulmineo, assestò una stoccata con la sua lama incandescente, riuscendo a
colpire il sovrano sulla guancia. Zephar urlò dal dolore. Un urlo inumano
salito dal profondo del cuore, quindi con le dita si sfiorò l’ustione, che
dalla bocca saliva fino alla tempia. «Cosa hai… fatto? Mi hai… deturpato!»
esclamò con frasi sconnesse, mentre il suo volto si trasformava in una maschera
d’incredulità e di orrore.
Seguirono attimi di silenzio attonito. I due
contendenti si studiarono, immobili come statue, poi la collera ebbe il
sopravvento e Zephar si catapultò come una furia sulla rivale.
Con un colpo violento assestato sui fianchi
costrinse il suo pegaso a scontrarsi con Alyser, che presa alla sprovvista
barcollò, caracollando per alcuni metri.
Purtroppo, il fianco della sua amazzone rimase
scoperto, e Zephar ne approfittò, affondando la sua arma nel punto indifeso.
Silvestre sbiancò, quindi, con un urlo
strozzato in gola, il suo corpo si afflosciò sul dorso del pegaso.
«Mia signora!» Alyser lanciò invano il suo
richiamo «Mia signora!» ripeté con il cuore colmo di angoscia mentre tentava
una rapida discesa.
Il corpo esanime della dama pendeva
pericolosamente su un lato, ed Alyser disperò di poterla salvare. “No! Non può
finire tutto così!” pensò con angoscia “Forse la dama è già morta, la silfide è
annegata e Mark e Gylldor sono spariti! Maledetta… maledetta luna nera!”
In quel
momento le acque sottostanti ribollirono e, come un miraggio, riemerse la
mitica figura di un candido pegaso. La creatura si sollevò scrollando con
vigore le magnifiche ali, poi, con uno scatto poderoso, raggiunse Alyser e
aggiustò con il muso la posizione della dama. Lì per lì la giumenta rimase
basita, ma quando incrociò lo sguardo della creatura alata, riconobbe il suo
caro amico.
«Gylldor, com’è possibile?» domandò scrutando
con attenzione il lungo corno elicoidale che spiccava sulla fronte del pegaso.
«Sei tu, è un prodigio!»
«Non so se si tratti di un prodigio, ma
finalmente sono tornato me stesso» fece una pausa allargando le sue candide,
morbide ali e scrutandole con curiosità «…o quasi! Ma basta chiacchiere! Ho
lasciato una cosa in sospeso. Prenditi cura della dama mentre vado a sistemare
una questione!»
«Sta attento, mio principe!» raccomandò Alyser,
abbassando lo sguardo in modo pudico. «Sta tranquilla! Tornerò da te!» la
rassicurò. Gylldor si volse verso un punto lontano, laddove sapeva di trovare
il suo acerrimo nemico.
Gli
zoccoli del pegaso graffiarono l’aria, le sue zampe divorarono la distanza che
li separava, e solo quando lo ebbe vicino Zephar si accorse della sua presenza.
Il sovrano rimase abbagliato dal candore, dalla
bellezza e dall’armonia della creatura alata. Prima di affrontare il re,
Gylldor squadrò i Pegasi Oscuri con sguardo glaciale. Gli sgherri sussultarono,
ma le cavalcature indietreggiarono.
Zephar non gradì affatto la manovra remissiva,
ma l’ignorò, e con grande baldanza, si rivolse al pegaso: «Devo ammettere che
in questa candida versione sei ancora più attraente, principe degli schiavi!
Che cosa bizzarra! Noto che hai mantenuto quel notevole baluardo sulla fronte.
Ti sei trasformato in una nuova, splendida creatura! Né pegaso né unicorno,
bensì un amalgama armonioso di entrambi. Così renderai pregiata la mia
collezione e tutto il mondo m’invidierà per questo!»
Gylldor non rispose subito, limitandosi a
scrutare con attenzione la terrificante ustione che deturpava il viso del re.
Sbatté le ali per mantenersi in stasi, quindi
sibilò con lo stesso tono: «Io invece noto che la Dama del bosco ha colpito nel
segno e di conseguenza hai perso gran parte del tuo fascino. Quello sfregio
farebbe inorridire il più orripilante degli orchi!»
Gylldor pronunciò quelle parole ben sapendo che
avrebbero colpito il punto debole del sovrano: la sua vanità!
Difatti, Zephar digrignò i denti: «Farai la sua
stessa fine! Te lo giuro!»
«Sbagli a credere che sia morta. L’hai soltanto
ferita, e quando si riprenderà, tornerà a combatterti!» ribatté Gylldor.
Il corno tortile catturò un raggio di sole e
parve incendiarsi. Il pegaso nitrì, scuotendo la folta criniera e impennandosi
su due zampe, quindi partì all’attacco.
Zephar riuscì a scansarsi per un soffio e
imbracciò lo scudo riposto al lato della sella.
«È la prima volta che combatto contro un
pegaso, sono curioso di conoscere il tuo metodo!» Gylldor non perse tempo a
rispondere e schivò a sua volta una sferzata. “Sarà anche l’ultima, principe
del male!” pensò.
Da quel momento Zephar le provò tutte per
sorprendere l’avversario, ricorrendo a molti trucchi, anche scorretti, imparati
durante la lunga carriera di mistificatore, ma ogni volta il pegaso riusciva a
indovinare, prevenire e scansare le mosse.
Pian
piano le cose cambiarono, e Gylldor se ne accorse. Lo scontro sostenuto contro
la Dama del bosco aveva messo a dura prova la resistenza del sovrano, che non
lo dava a vedere, ma già accusava i primi segni di stanchezza, mentre il pegaso
sembrava aver acquisito nuovo vigore da quella trasformazione avvenuta con la
luce del sole. I movimenti del tiranno si fecero ben presto pesanti e i suoi
attacchi sempre più sporadici e inefficaci.
Gylldor decise di cambiare tattica. “È inutile
rischiare avvicinandomi troppo. Sta per cedere” si disse, rimarcando finti
attacchi con rapide ritirate.
Ormai le braccia del sovrano mulinavano
inutilmente in aria, prima con la frusta, poi con il bastone magico. Alcuni
colpi erano andati a vuoto. Troppi. Se ne rese conto anche Zephar, che così
decise di imbracciare l’arco e tentò di scagliare un dardo a distanza
ravvicinata. Forse fu la stanchezza, o forse un miscuglio di sensazioni mai
provate prima, fatto sta che la mano del Signore del male tremò talmente, che
anche a quella minima distanza la freccia non sfiorò nemmeno il suo bersaglio.
Il suo respiro si fece affannoso e la mente, affaticata
come il corpo, non fu più lucida, né in grado di ragionare in modo obiettivo.
“Cosa mi sta succedendo?” pensò turbato e, per la prima volta in vita sua,
esitò e indietreggiò davanti a un suo rivale.
In quel momento ebbe la terribile consapevolezza
di essere a un passo dal fallimento. Gylldor lo squadrò sprezzante, ancora
pieno di voglia di combattere.
«Cosa fai, ti arrendi? Non ce la fai più,
principe del male?»
«Maledetto! La tua è solo fortuna!» urlò in
risposta ormai esausto, quindi si guardò intorno alla ricerca di aiuto.
Tuttavia, i suoi stessi sgherri sembravano in
difficoltà con i loro pegasi che, da qualche minuto, rifiutavano di assecondare
e di ubbidire agli ordini dei propri cavalieri. Inutilmente i miliziani
spronavano e spingevano, ma i pegasi s’impennavano e stronfiavano risoluti e
caparbi, come mai era accaduto prima. Ed era pericoloso per gli sgherri cercare
di pungolarli con cattiveria, poiché rischiavano di essere disarcionati e di
precipitare quindi nel vuoto. “Che sta accadendo? Possibile che sia una
rivolta?” si domandò il sovrano, e nel frattempo modulò un fischio per
richiamare le sue arpie. Solo due delle mitiche creature accorsero al richiamo,
la terza non era più in grado di volare correttamente a causa del piumaggio
incenerito dal fuoco di Silvestre. L’arpia in questione rimase a galleggiare
nelle acque del lago come una papera in una tinozza.
Sotto lo sguardo attento di Zephar, le altre
due attaccarono in simultanea, ma Gylldor non si fece sorprendere e si difese
con il corno e con gli zoccoli.
Ben presto, l’aria si riempì delle sgradevoli
strida dei giganteschi rapaci dalle sembianze femminili.
Ma che non potesse continuare all’infinito
Gylldor lo presagì sulla sua pelle. Sentiva gli artigli delle arpie sfiorargli
pericolosamente il manto. I due orripilanti uccellacci lo attaccavano su due
fronti: una mirava alla testa e al collo, mentre l’altra lo colpiva ai fianchi
e ai posteriori. Il pegaso era costretto a rapide e continue sgroppate e
giravolte, e ben presto si trovò in difficoltà.
Poco distante, Zephar se ne compiacque. Le sue
creature stavano mettendo a dura prova la resistenza del pegaso, e appena lui
stesso avesse ripreso fiato, sarebbe intervenuto per mettere fine a quella
farsa.
Ma il re non poteva prevedere quello che
sarebbe accaduto da lì a pochi minuti.
Poco distante, gli sgherri sostenevano una
lotta per rimanere in sella alle loro cavalcature. I Pegasi Oscuri, dopo anni
di totale sottomissione, seguendo l’esempio di Gylldor, si erano finalmente
ribellati e lottavano contro i loro cavalieri per riottenere la libertà. Come
cavalli selvaggi o imbizzarriti s’impennavano e sgroppavano, e già qualche
pegaso era riuscito a disarcionare il proprio cavaliere facendolo precipitare
nel vuoto.
Le urla disperate dei malcapitati si sommarono
ben presto ai sonori nitriti e alle strida delle arpie.
Zephar osservò attonito l’evolversi
catastrofico degli eventi presagendo l’imminente disfatta.
«Maledetti! Vi pentirete di esservi ribellati!»
esclamò, poi scagliò alcune frecce in direzione dei ribelli ferendone a morte
uno e causandone la caduta.
Ma il re non ebbe mai il tempo di scoccare un
altro dardo. I pegasi senza cavaliere lo freddarono con una luce assassina
nello sguardo e digrignando la temibile dentatura. Zephar indietreggiò. Il
tempo parve dilatarsi e quei pochi istanti sembrarono infiniti.
Il despota sentiva che anche il suo pegaso era
a un passo dall’impazzire, e tratteneva con ancora più forza le redini e il
morso provocando delle serie ferite alla bocca del povero animale “Devo
scendere. Se resto qui mi faranno precipitare!” pensò mentre la paura dilagava
nella sua mente, poi piantò la punta di un dardo in un fianco del pegaso e
questi schizzò in avanti, in una galoppata precipitosa nell’aria.
Tuttavia, quella corsa sfrenata durò solo pochi
secondi. Tre dei Pegasi Oscuri, lanciati all’inseguimento, raggiunsero in breve
il fuggitivo e costrinsero il loro simile a una frenata talmente brusca che
solo per un soffio Zephar evitò di piroettare malamente oltre il collo eburneo
della propria cavalcatura.
«Per tutti i demoni!» riuscì a imprecare sconvolto poi, con il
cuore che batteva all’impazzata, fu testimone di un silenzioso quanto
incredibile dialogo tra gli animali.
Il re non seppe mai cosa si comunicarono le
creature che fino allora erano state al suo servizio, poté solo indovinarlo da
quello che accadde subito dopo: il suo pegaso sembrò imbizzarrirsi, quindi
prese a scalciare e a sgroppare come un mulo furioso. Zephar dovette lottare
con tutte le forze per rimanere in sella, ma per le repentine rincorse,
alternate alle impennate e alle frenate, perse la presa sulle redini e infine
scivolò dal dorso dell’animale, emettendo un urlo disumano.
I pegasi osservarono gelidi la sua caduta ma,
richiamati dai nitriti di Gylldor, tornarono sul luogo dello scontro.
Gylldor era esausto. Il suo manto candido era
intriso di sudore e di sangue. Le due arpie non gli concedevano tregua e
infierivano senza pietà quando arrivavano a tiro, artigliando e lacerandogli la
pelle. Gelidi e implacabili come cavalli da guerra, i Pegasi Oscuri si
gettarono nella mischia costringendo infine i due uccellacci a una rapida
ritirata.
Fu allora che una delle due si accorse del
corpo del sovrano in caduta libera e, senza esitazioni, si gettò a capofitto
nella sua scia.
Mentre precipitava, Zephar disperava di
salvarsi. Il grande mantello, che sempre indossava, si era gonfiato come un
paracadute alle sue spalle, ma per quanto rallentasse la caduta, non gli
avrebbe impedito di sfracellarsi al terreno.
Quando il suo corpo trapassava i candidi cirri
di cui era cosparso il cielo, questi si dipanavano come batuffoli di cotone e
si dissipavano come neve al sole. Il
sibilo del vento gli fischiava nelle orecchie e gli sferzava il volto
facendogli lacrimare gli occhi, così si accorse dell’arpia solo quando gli fu
vicino.
Il mitico uccello, più veloce e più esperto nel
volo, manovrò in modo da precederlo, e all’improvviso, approfittando di una
corrente calda, planò e si trovò parallelo rispetto al corpo del sovrano.
Zephar ne intuì le intenzioni e si posizionò in modo orizzontale, e seppure a
fatica, riuscì ad afferrarla e a mettersi cavalcioni sul collo del volatile.
Vi furono attimi concitati di sbandamento; il
peso dell’uomo sbilanciò il volo planante, ma l’arpia resistette e riuscì
presto a ritrovare il giusto assetto affidandosi di nuovo alla corrente. Zephar
respirò di sollievo. L’arpia lo aveva strappato a una morte certa. Calde lacrime
scivolarono sul suo volto martoriato, e lui non si seppe spiegare se quel
pianto fosse dovuto all’asprezza del vento o alla forte emozione appena
vissuta. Fatto sta che la sua gratitudine per quella creatura così devota fu
immensa. «Grazie, mia cara» farfugliò con voce rotta accarezzandole il
piumaggio morbido del collo «Ma ora riportami a terra.»
Lei stridette di contentezza, quindi con una
dolce virata puntò verso lo stadio.
Pochi minuti dopo, alla vista del sovrano sul
dorso dell’arpia, dall’anfiteatro si levò un forte brusio che divenne presto
boato.
Supportato dai Pegasi Oscuri, Gylldor si era
liberato dell’ultima arpia guardandola precipitare, colpita più volte dal suo
corno e dagli zoccoli. Ma in quel momento si era anche accorto della manovra
spericolata messa in atto per salvare il suo nemico e, incurante delle sue
ferite, aveva affrettato la sua discesa.
Quando atterrò nel centro dell’arena, il re era
circondato dai suoi sgherri, pronti a dare battaglia pur di difenderlo. O
perlomeno, così sembrò in un primo momento.
Taresh e Norok in prima fila sostennero lo
sguardo del giovane unicorno con grave cipiglio, poi le gigantesche creature si
spostarono di lato, subito imitate dal resto della compagnia e lasciando
intravedere la figura del sovrano.
Zephar trasalì dalla sorpresa. Quale altra
novità aveva in serbo per lui quel giorno così nefasto? Non solo aveva dovuto
sostenere un duro scontro contro la dama dei suoi sogni, in aggiunta si era
trovato ad affrontare un avversario che si era rivelato molto pericoloso e solo
per un soffio era riuscito a sfuggirgli. Poi c’era mancato poco che non
perdesse, oltre l’onore, addirittura la vita. E ora? Si trovava scoperto in un
momento di grande debolezza. Perché i suoi uomini non lo proteggevano? L’ansia,
il dolore, la collera, un miscuglio di emozioni che lo fecero infuriare:
«Stupide bestie! Serrate i ranghi intorno al
vostro sovrano!» ordinò sprezzante e furioso.
I miliziani ignorarono l’ordine e anzi, a un
cenno del loro comandante si allargarono lasciando più spazio.
I primi dubbi e il sentore del tradimento
iniziarono a farsi strada nell’animo di Malefico, che inutilmente si guardò
intorno alla ricerca di sostegno.
La sua attenzione si spostò poi sul fido
Taresh, che scosse la testa in un cenno inequivocabile di diniego. «Mi dispiace! Ma credo che sia più giusto che
risolviate da solo i vostri problemi e che dimostriate al popolo e ai vostri
soldati il vostro valore. Solo così otterrete quel rispetto e quella devozione
che merita un vero sovrano» disse con tono neutro.
Gylldor avanzò e i miliziani sgombrarono il
campo.
«Ora siamo soli, io e te, e finalmente sapremo
se veramente hai diritto di governare questa terra e questa gente. Difenditi se
puoi, principe del terrore.»
«Certo che mi difenderò, ma a modo mio!» urlò
Zephar, ormai in preda all’isteria e correndo all’impazzata nei pressi della
biga reale.
Le serpi erano rimaste attorcigliate intorno
alle spranghe laterali e balzarono all’improvviso sulle braccia del loro
padrone, che forse, non si accorse nemmeno che una delle sue creature lo aveva
involontariamente sfiorato con i denti colmi di veleno lasciando una stria
rossastra, confusa tra le tante ricevute durante lo scontro.
La gente sugli spalti rumoreggiò. Evidentemente
disapprovavano quella che consideravano una prova di vigliaccheria.
«Sei solo un codardo. Non sai combattere
lealmente nemmeno davanti a quello che consideri il tuo popolo! Ma questa gente
ha sempre saputo quello che sei, e oggi te lo ha dimostrato!» esclamò Gylldor.
«Non m’importa quello che pensi tu o quello che
pensano loro. Tutto quello che è accaduto oggi è solo colpa tua. Devi morire e
al più presto!» urlò Malefico lanciando il groviglio di serpi addosso al
pegaso.
Gylldor si scansò in tempo e venne solo
sfiorato, e mentre le serpi rovinavano a terra, s’impennò e ricadde con gli
zoccoli sull’ammasso di creature striscianti.
Sotto lo sguardo inorridito del loro padrone,
Gylldor continuò a calpestarle con gran vigore, fino a ridurre il tutto in una
poltiglia sanguinolenta.
«Bastardo! Sei solo un gran bastardo!» mormorò
Zephar. Ma la sua voce era incerta, come del resto il suo passo.
Il re
abbassò le braccia. Iniziava a sentire uno strano malessere, mentre il gelo si
faceva strada nel suo cuore e nella sua mente. La vista gli si appannò e la
figura del candido pegaso divenne evanescente davanti a lui, come un miraggio
che pian piano sfuma.
Il respiro diventò affannoso, e Zephar si portò
le mani alla gola. «Che mi… succede?» Gylldor lo squadrò gelidamente, e forse
non si accorse nemmeno del cambiamento, o forse lo valutò come l'ennesimo
trucco dell’avversario. Ormai era in preda alla collera, troppo preso dalla
voglia di mettere fine alle ingiustizie subite.
Graffiò il terreno con gli zoccoli e raccolse
le ultime energie per portare il suo attacco, quindi abbassò il capo e caricò.
Il lungo corno catturò i raggi del sole e
subito dopo affondò nel cuore del principe del male, strappandolo a una fine
atroce dovuta all’avvelenamento. Nell’anfiteatro scese un attonito silenzio.
Epilogo
Il lago Smeraldo si stendeva placido, emanando
bagliori alla luce del sole.
Gylldor e Mark, di nuovo insieme, si concessero
un lungo sorvolo su quelle terre ancora sconosciute.
Il male era stato sconfitto e il regno, diviso
per molto tempo in due parti distinte, era stato riunificato sotto la guida del
pegaso, che ne era il legittimo sovrano, e la supervisione di Dama Silvestre,
ormai guarita.
Le ali
del pegaso carezzavano l’aria quieta e primaverile, e il leggero fruscio
provocato da quel movimento carezzava l’animo del suo cavaliere.
«Guarda Mark, non trovi sia uno spettacolo
ammirare il mondo da questa prospettiva?»
«Lo trovo meraviglioso, amico! E ti ringrazio,
perché se non esistessi tu, per me non sarebbe possibile tutto questo.»
Gylldor non rispose. Rimuginò su quelle parole
per un po’, e Mark comprese il suo disagio. «Cosa sono diventato, Mark? Chi
sono io?»
Il
ragazzo si piegò fino a posare il suo volto sulla testa della candida creatura,
di cui avvertiva il profondo turbamento. Lo carezzò sul collo e gli sistemò la
folta criniera, scomposta dal vento: «Tu sei una creatura fantastica, e io sono
fiero di essere tuo amico. E se anche tu non avessi un aspetto così… così…
straordinario» esitò «Non trovo il termine giusto, scusami, ebbene, se tu non fossi
così bello, saresti lo stesso meraviglioso, perché tu sei buono, sei speciale
dentro e io, io ti voglio bene, Gylldor.»
La voce di Mark aveva tremato, e Gylldor aveva
percepito e condiviso la sua stessa commozione.
Rimasero in silenzio ad ammirare le nuvole che,
come bianchi batuffoli di ovatta, si dipanavano nel cielo limpido e turchese
trasportate con grazia da un refolo sottile.
A un tratto, in quell’immenso silenzio, si
percepì il fruscio di ali, una miriade di ali, e la risata gaia e argentina di
una fanciulla. Ancor prima di voltarsi, Mark e Gylldor intuirono l’arrivo di
Alyser e Chrisell scortate da decine di pegasi dalle ali oscure.
“Sembra uno stuolo di angeli neri!” pensò il
ragazzo, affascinato dal quel movimento sincrono e aggraziato.
Gylldor rallentò il suo volo e venne subito
affiancato da Alyser: «Mio principe!» salutò «Mark!»
«Benvenute in paradiso!» scandì, sorridendo il
ragazzo.
La silfide cavalcava a pelo e rideva felice
come una bambina.
«Mio principe!» salutò lei, maliziosa, porgendo
la sua mano nel vuoto.
Mark si sporse, l’afferrò e vi pose appena le
labbra in un bacio leggero.
«Non ti mancherà la tua dimensione?» le domandò
lei all’improvviso, mentre un velo di malinconia le adombrava lo sguardo.
Lui finse di rifletterci su, poi le rispose: «Certo
che mi mancherà! Ma sono sicuro che se tornassi sulla Terra, sentirei
immensamente la mancanza del regno boscoso e delle sue creature. E allora…rimango
qui! Rimango con te, senza rimpiangere nulla!»
Lei sorrise e il cuore di Mark si colmò di
tenerezza e commozione.
Da terra, qualcuno seguiva con interesse quel
volo appaiato.
«La vita continua finché il Bene prevale sempre
sul Male!» disse Silvestre sorridendo, quindi ritornò a occuparsi delle sue
splendide orchidee e di quel regno infinito.
Fine
Immagini Phoneky e Pinterest
Ciao Vivì. Ti scrivo solo tre aggettivi: intrigante, coinvolgente e celestiale! Aspetto il prossimo racconto e ti abbraccio. 💖💟💝💢💥
RispondiEliminaBeautiful post and images!
RispondiEliminaLindo fragmento te mando un beso
RispondiEliminaLa verita sconfiggera sempre ogni male
RispondiEliminae se vuoi essere un guerriero, vincerai
con tutta la potenza, andrai fino in fondo
se i sogni vanno, il cosmo ti guidera
Fantasia Pegaso
luce e liberta
perche i loro poteri sono come il cuore
nessuno ti fara del male
giovani guerrieri celestiali!
una meraviglia della letteratura
simbolica per i giovani.
Congratulazioni, complimenti querida Vivi!
. Un finale colmo di colpi di scena. Molto appassionante e peccato che è finito. Ciao e al prossimo racconto.
RispondiEliminaCoinvolgente fino alla fine!!!!
RispondiEliminaObrigado pela visita ao meu blog.
RispondiEliminaUm abraço e bom fim-de-semana.
Andarilhar
Dedais de Francisco e Idalisa
Livros-Autografados
È un racconto bellissimo. Hai saputo tenere sempre accesa la curiosità del lettore. Di solito non leggo il genere fantasy, ma tu scrivi così bene da tenere sempre accesso il mio desiderio di terminare la lettura del tuo racconto. Sei bravissima.
RispondiEliminaBuona domenica
RispondiEliminaSperiamo che il bene trionfi sempre sul male. Molto bello. Buona domenica.
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