Kristell
era una ragazzina di quattordici anni che viveva in una piccola cittadina da fiaba
e una ridente località medioevale, le cui case erano disseminate su di una
collina e cintate da alte mura fortificate. L’ antico borgo era dominato
dall’ alto da quattro torrioni di un imponente castello, residenza dei
regnanti.
La ragazzina abitava in una piccola casa molto
modesta ai piedi del colle, che prendeva il nome dal feudo: Kristallberg,
situato vicino a un ghiacciaio. Ed era proprio per la vicinanza ai ghiacci
perenni che la temperatura scendeva di parecchio sotto lo zero donando al
paesaggio un aspetto magico.
Erano anni che si sussurrava che il ghiacciaio
stava avanzando pericolosamente ogni anno sempre più al piccolo principato e
che, prima o poi, tutta la collina sarebbe stata catturata nelle fauci gelide e
vi sarebbe rimasta imprigionata per sempre.
Kristell, intimorita da quelle dicerie, aveva
provato a chiedere spiegazioni alla madre ma la donna divagava con le risposte,
per finire chiaramente imbarazzata, a trincerarsi in un inspiegabile
silenzio.
La ragazzina rinunciava a insistere, anche se
nel comportamento della madre avvertiva qualcosa di grave.
Kristell amava pattinare sul ghiaccio. Aveva
anche partecipato a molte gare di velocità e, alcune volte aveva primeggiato
anche su concorrenti maschili.
Anche quel giorno, dopo aver studiato e dopo
aver aiutato la madre a sbrigare le faccende domestiche, aveva preso i pattini
e si era diretta sul lago ghiacciato, dove si allenava normalmente per tutto il
pomeriggio.
Stava pattinando da più di un’ ora quando,
guardando il ghiacciaio riflesso sulla pista, le parve che questo incombesse
più alto e minaccioso che mai.
Istintivamente si fermò, voltandosi a osservare
con attenzione. Non si trattava solo di un’ impressione, ma era quasi certa
che, rispetto a qualche giorno prima, la montagna si fosse avvicinata di
qualche metro. Nella sua giovane mente balenò la terrificante visione di una
figura antropomorfa mostruosa e un lungo brivido le corse lungo la schiena. Scivolando
frettolosamente sui pattini prese la via ghiacciata per ritornare a casa il
più presto possibile.
Sua madre era in cucina seduta sul dondolo
e Kristell ebbe l’impressione che stesse attendendo il suo
ritorno. Notò subito che nelle mani stringeva un cofanetto dall’aria molto
antica.
«Vieni a sederti vicino a me, figliola. È ora
che tu conosca la storia della tua famiglia.»
«Cosa dovrei sapere che già non so? I nonni non li ho mai conosciuti, sono morti prima che io
nascessi. Di papà ho solo vaghi ricordi. Mi hai raccontato la sua tragica
morte in guerra. Siamo rimaste sole da molto tempo.»
«È vero, piccola mia! Siamo rimaste sole. Ma
ora taci, ed ascolta senza interrompermi, non c’è rimasto molto tempo. È vero,
tuo padre è morto in un combattimento, ma non in guerra, come ti dissi. È morto
nel tentativo di difendere la sua famiglia, e il suo regno. Si, piccola! Tuo
padre era il principe Goldmin di Kristallberg e sua moglie, tua madre Alesyn,
morta lo stesso giorno con lui, era la principessa del feudo.»
La donna, il cui nome era Licia, si prese un
attimo di pausa studiando la reazione di quel giovanissimo viso attento.
La ragazzina sembrava sia basita che sopraffatta dalla notizia e non sembrava
essere in grado di replicare. Sul suo volto era dipinta un’ espressione
stupefatta.
« Tu, avendo ereditato il titolo sei la sola,
legittima erede di questo principato. I tuoi nonni, tuo padre e tua madre, sono
morti perché tu ti salvassi.»
Passato il primo momento di sbigottimento, la
ragazzina si avviò lentamente verso la finestra. Aveva bisogno di riflettere,
fino ad allora, quella che aveva creduto sua madre, le aveva raccontato solo un
sacco di bugie. Per un attimo, sentì quasi un senso di ribellione e di rabbia
verso quella donna. In pochissime ore il mondo le stava crollando addosso.
Kristell riuscì, seppur con fatica, a dominare
la rabbia e finalmente a trovare qualcosa da obiettare: « Mi hai sempre
ingannato! Perché? Perché mi hai fatto credere di essere mia madre? Perché non
mi hai mai detto nulla prima?»
« Posso capire quanto tutto questo possa
sembrarti ingiusto. Ma cerca di riflettere, ti prego! Eri troppo piccola
perché te ne parlassi e ti sovraccaricassi di responsabilità così gravose come
quelle che ti attendono da ora in poi.»
Con lo sguardo perso sulla valle, Kristell non
si lasciò commuovere dal tono sommesso e contrito della donna diventata
improvvisamente un’estranea e, con voce burbera rispose:
«Voglio sapere tutta la verità!»
«È giusto che sia così, bambina! E lo farò! E
sappi che mi libererò finalmente da un fardello che mi grava da troppo tempo
sul cuore.» Licia emise un profondo sospiro che ne denunciava un’intensa
emozione, poi continuò: «Devi sapere che io ero la cameriera personale di tua
madre e la sera maledetta dell’assalto al castello stavo aiutandola a
pettinarsi. Lo facevo tutte le sere. Era un compito che mi piaceva molto. La
principessa aveva dei capelli molto lunghi, folti e bellissimi. Il colore era
quello dorato di un campo di grano maturo e i riccioli, morbidi e setosi, le
scendevano fin sulla schiena. Era un piacere per me dedicarvi tanto tempo e le
cure necessarie. Stavamo parlando del più e del meno, perché, sai, lei non mi
considerava una subalterna, bensì un’amica con la quale confidarsi e io ero
molto fiera di tutta quella considerazione. Ebbene, proprio in quel momento,
ebbe inizio la tragedia. I nemici fecero irruzione nel castello dopo aver
sopraffatto le guardie all’entrata. Si trattava di alcuni traditori ben
conosciuti da noi tutti. Il complotto era stato ordito da Taryn, un parente di tuo padre che aspirava al trono. A palazzo era benvoluto e il
sovrano si fidava di suo cugino. Quella sera c’era lui al comando del manipolo
di aggressori che si presentarono al posto di guardia come amici. Ecco
perché riuscirono a entrare così facilmente e a sopraffare i pochi combattenti.
Le urla dei feriti e dei fuggitivi, ci raggiunsero ben presto, mettendoci in
allarme. Ma ormai era troppo tardi. Quei delinquenti erano informati su tutto ed erano consapevoli che il castello, in quel momento fosse sguarnito di sorveglianza. Erano i giorni
dedicati alla caccia e la maggior parte degli uomini passava la notte ai
limiti della foresta. Solo per un caso tuo padre e tuo nonno avevano invece
fatto ritorno per la notte.
Se ben ricordo avevano accusato entrambi un
malessere che li aveva costretti ad abbandonare l’accampamento approntato per quel
periodo. Un malore che, purtroppo, li indebolì a tal punto da non poter contrastare l’attacco di quei vigliacchi. Solo molto tempo dopo, conclusi che il malore era stato
provocato da un’intossicazione da cibo per costringerli a rincasare. I
malviventi volevano avere la certezza dello sterminio totale del casato principesco e, disgraziatamente, riuscirono nel loro intento.
Prima che facessero irruzione nella stanza, per
completare il misfatto, tua madre ti prelevò dalla culla e ti pose nelle mie
braccia costringendomi poi a nascondermi in un ripostiglio segreto che
conduceva fuori dal castello. Ma prima mi consegnò uno scrigno da darti una
volta cresciuta. Mi fece promettere che ti avrei portata in salvo e che
mi sarei occupata di te. Io ho mantenuto la promessa fatta e ti ho
cresciuta e amata proprio come una figlia.»
Kristell si volse verso la donna. I suoi occhi
erano velati di lacrime e Licia ebbe un moto di tenerezza e compassione. Allargò le braccia
e la ragazzina vi si rifugiò come aveva sempre fatto da quando era piccola.
Piansero, cercando conforto, strette l’una
all’altra.
«Ci rimane poco tempo, piccola cara e io ho
ancora molte cose da raccontarti.» le disse allontanandola con delicatezza. «Mi hai chiesto un’infinità di volte del ghiacciaio, ebbene ora ti posso dire
che quello che la gente racconta, è vero. Il ghiacciaio sta avanzando
inesorabilmente verso questa collina. Negli ultimi mesi il suo cammino è
progredito di almeno una decina di metri, ma è negli ultimi giorni che ha
dimostrato una mobilità impressionante. Credo che entro poco di questo borgo
non rimarrà più traccia, così come è stato previsto tanto tempo fa.»
Kristell tremò all’idea ma, in fondo,
era una minaccia che sentiva sussurrare da molto. Certo, non immaginava che
potesse essere così grave e la speranza che in realtà tutto si sarebbe
risolto era dura a morire. Piuttosto, era quell’altra notizia che l’aveva
profondamente scossa: lei, una principessa! Non le pareva vero. E il fatto che
i suoi genitori e sui nonni erano morti per salvarla, la lasciava senza fiato.
E Licia? Come le era riuscito di nascondere a
tutti la sua vera identità?
La donna, che non aveva mai smesso di studiarla
in volto, parve leggerle nel cuore: «Non è stato semplice, perché qualcuno
nella valle sapeva che lavoravo nel castello e forse sono sorti anche dei
sospetti, ma a tal proposito sono riuscita a inventare una storia abbastanza
verosimile sul tuo ritrovamento e alla fine, anche i più
diffidenti si sono convinti. Per tutti tu eri la piccola orfanella di una mia
lontana parente. Ecco come è andata.»
Kristell era tornata alla finestra e dal punto
in cui si trovava, godeva di un’ampia veduta sulla vallata e sulla strada
principale, che ora vedeva ingombre di carri, calessi e bestiame.
«Guarda! La gente sta scappando! Forse sarebbe
il caso che andassimo via anche noi.»
«No! Sono troppo vecchia ormai per poter
affrontare un viaggio del genere. Inoltre sarebbe inutile, perché sta scritto
che non vi è salvezza da nessuna parte. Il ghiacciaio non fermerà la sua
avanzata, ma proseguirà e la gente che vedi fuggire, verrà raggiunta purtroppo!
Il villaggio e tutti quanti i suoi abitanti, vi rimarranno prigionieri.»
La ragazzina guardò con angoscia la donna. «Non è possibile! Moriremo tutti!»
«No! Tu ti salverai! Devi vivere, perché da te
dipenderà la salvezza di questo principato e della sua gente!»
«Che vuol dire?» domandò sempre più stupita
lei.
«Non so dirti nient’altro, Kristell. Questo
cofanetto me lo ha consegnato tua madre con le lacrime agli occhi pregandomi
di dirti che ti ha amata tanto e facendomi promettere che ti avrei fatto
ripetere questa frase:
Non c’è luce senza sole!
Non c’è alba senza onore!
Questa è luce del mio sangue!
Senza essa il feudo langue!
Non so cosa voglia dire, piccola, ma devi
ripeterla fino a quando lavrai imparata a memoria.»
Kristell ripeté quella che sembrava un’insignificante filastrocca, fino a quando non l’ ebbe bene impressa nella
mente.
Solo allora sollevò la finissima chiusura del
cofanetto e ne scoprì il contenuto.
Lo scrigno era foderato di velluto
blu e all'interno erano riposti un paio di pattini finemente rifiniti, un anello con una
pietra preziosa enorme e una spilla di diamanti.
Sollevando i pattini, gli occhi della ragazza si velarono di lacrime, mentre il dolce appellativo con il quale aveva sempre chiamato la donna, le salì spontaneo dal cuore:
«Guarda mamma! Gli schettini hanno le lame
diamantate.»
«Erano della principessa Alesyn. La prima
volta che la vidi era solo una bambina e volteggiava sulla pista ghiacciata con la grazia di una libellula. Hai ereditato da lei la passione per il
pattinaggio. Indossali al più presto, così come i gioielli. E vai via, prima
che sia troppo tardi!»
Quelle parole la sconvolsero e il panico iniziò
a farsi largo nel suo intimo, poi, scorgendo sul volto della donna la
rassegnazione di fronte all’ineluttabile, il cuore della ragazzina traboccò di
tenerezza.
«Ti ho amata proprio come una madre!» esclamò,
gettandosi ancora una volta tra le sue braccia.
«Vai, piccola mia! Vai! Salvati almeno tu!» le gridò Licia,
strappandosela dal petto.
«Non posso...non posso andarmene senza di te!» pianse disperata.
«Kristell, guardami! Hai il dovere di salvarti! La vita della tua gente da ora in poi è affidata a te. Se tu ti salvi c'è ancora la speranza che questo borgo torni a rivivere ma se tu rimani tutto quanto verrà inglobato nel gelo eterno. È questo che desideri, piccola?»
La ragazzina scrollò la testa, disperata, ma non ebbe modo di rispondere.
Proprio in quel momento si avvertì un rombo
sordo e fragoroso. Kristell si riscosse. Avvolse in un ultimo, angosciato
sguardo la madre adottiva e si avviò alla porta. Dopo aver indossato i pattini,
l'anello e la spilla, si lasciò scivolare sulla pista ghiacciata.
Si ritrovò ben presto circondata da gente
terrorizzata che fuggiva verso valle.
Per qualche centinaio di metri non si volse mai
a guardare indietro, ma poi, un’ ombra gigantesca si formò davanti ai suoi
piedi, mentre uno strano, angosciante rumore la costrinse a voltarsi.
Pareva il gemito unanime di un’ intera folla.
Kristell sgranò gli occhi dall’orrore: una montagna di ghiaccio sovrastava l’intera collina e il feudo. A lei parve un mostro gigantesco dall’enormi fauci
spalancate, pronte a divorare tutta la cittadella.
Attorno a lei regnava il caos totale. La gente
sembrava impazzita dal terrore, le urla incutevano nell’animo
della ragazzina, un’ angoscia senza fine.
Avrebbe voluto fermarsi per aiutare i
fuggitivi, in special modo i bambini più piccoli, i più indifesi. Alcune madri
erano ormai in preda al panico e si muovevano come fossero in delirio.
Kristell osservò con orrore un bambino scivolare dalle braccia materne e cadere
sul ghiaccio. Avrebbe voluto correre in soccorso, ma era troppo lontana. Non
poteva far nulla nemmeno per gli anziani che rimanevano indietro, né tantomeno per
i feriti abbandonati da quelli che avrebbero dovuto essere i soccorritori.
Fu costretta a lottare per riuscire a rimanere
in piedi, era impegnata in uno slalom continuo tra i calessi e le slitte che si
ribaltavano, i carri che ostruivano la strada, gli animali che fiutato il
pericolo nell’aria, fuggivano anch’essi terrorizzati aggiungendo caos al caos
che già regnava.
Il fragore del ghiacciaio che franava sulla
collina contribuiva a rendere la scena apocalittica.
Kristell, spinse ancor più sui pattini. Il
panico l’aveva contagiata e, ormai, il suo unico desiderio era quello di
allontanarsi il più velocemente possibile da tutto quell’orrore.
Sentiva il vento gelido ululare e contrastare
con forza la sua fuga, respingendola indietro. Le folate le sferzavano la pelle
delicata del viso, arrossandola. La ragazzina sentiva le lacrime
cristallizzarsi agli angoli degli occhi.
All’improvviso il mondo attorno a lei si
oscurò. Era scesa la sera, ma non si trattava soltanto di un fenomeno
naturale. La montagna di ghiaccio aveva occupato gran parte del cielo alle sue
spalle oscurando gli astri, la luna e le stelle che avrebbero potuto rimandare
un po’ di luce, quel tanto che sarebbe bastato a rischiarare la strada. All’improvviso, Kristell non vide più nulla, non sentiva nemmeno più le urla della
gente e, il silenzio gravoso intorno, le fece temere il peggio. Il suo cuore
tremò. Si volse, ma l’oscurità le impedì di scorgere i superstiti di quella
tragedia.
Kristell si sentì sola e purtroppo la strada
verso la salvezza era ancora lunga.
Doveva proseguire senza esitazioni e se la
profezia era giusta, si sentiva in dovere di farlo per i suoi genitori e i
nonni, che avevano sacrificato la loro vita per salvare la sua. Kristell
sentiva di doverglielo ai suoi cari.
La strada la conosceva a memoria, avendola
percorsa sui pattini centinaia di volte, mormorò tra sé una breve preghiera e
si lasciò scivolare, inghiottita dalle tenebre.
Per sua fortuna, lasciatosi alle spalle il
massiccio del ghiacciaio, la luna piena poté fare la sua apparizione nel cielo,
rischiarando un po’ la via ghiacciata davanti alla pattinatrice solitaria. L’astro d’argento, ora illuminava la pista, facendola apparire come un lungo nastro
scintillante.
Il silenzio calato improvviso, venne rotto da un
boato fragoroso. La ragazza intuì che per il villaggio e la sua gente, era tutto
finito.
I singhiozzi le salirono spontanei dal petto,
mentre udiva solo il fruscio dei pattini e il sibilo del vento.
Non rallentò nemmeno per un istante la sua
corsa, anche se sentiva il fiato ormai corto, avvertiva ancora una sorta di
pericolo alle spalle. Da quando aveva lasciato la sua casa, uno strano,
sordo scricchiolio, sembrava seguirla e perseguitarla costantemente. Kristell
intuì di che si trattava. Aveva sentito quel rumore decine di volte ed era
conscia del fatto che alle sue spalle si stava verificando un’incrinatura dalle dimensioni enormi. Il ghiaccio si stava spaccando in due
pezzi che, in modo inesorabile, si sarebbero allontanati e se lei avesse pattinato
troppo vicina alla spaccatura, avrebbe rischiato di finire nel baratro venutosi
a formare.
Kristell cercò di accelerare, ma sentiva che
ormai era troppo tardi. Con orrore si accorse di una sottile incrinatura nel
ghiaccio davanti a lei ed ebbe appena il tempo di paragonare la striatura a una
grande, terrificante cicatrice, che con un crack sonoro quella iniziò ad aprirsi. La
fenditura si allargò, fino a trasformarsi in un terribile precipizio.
Per Kristell non vi era possibilità di fuga,
scivolò inesorabilmente fino al ciglio del burrone e con un urlo inumano, vi
precipitò dentro.
2
Erronn, era un ragazzo di sedici anni che
viveva nella vallata sottostante al principato e nel momento in cui si propagò
l’eco fragorosa del boato, si trovava dalla parte opposta della collina
prospiciente il feudo.
Il rumore roboante della montagna di
ghiaccio, lo fece accorrere sul crinale, dove si aveva una veduta panoramica su
tutta la vallata.
La vista di quella montagna di ghiaccio, l’aveva basito, lasciandolo senza fiato.
Sin da piccolo aveva sempre sentito sussurrare
del terribile evento pronosticato, ma come tanti nel villaggio, l’aveva
sottovalutato, classificandolo come una diceria di poco conto.
Eppure, la profezia si era verificata e, in
quel momento, sotto il suo sguardo atterrito, si stava svolgendo una tragedia
dalle proporzioni catastrofiche. Erronn si sentì impotente: nella posizione in
cui si trovava poteva solo guardare, mentre lui avrebbe dato la vita pur di
aiutare la sua gente.
Stava appunto osservando con trepidazione l’inutile fuga di alcuni superstiti, quando la sua attenzione venne attratta
dalla figurina esile che compiva slalom incredibili sui suoi pattini, nel
tentativo di evitare gli ostacoli improvvisi.
Colse anche l’esitazione della ragazza alla
vista dei bambini in difficoltà e si ritrovò a pregare perché non si fermasse.
Fu allora che si avvide dell’incrinatura che, come un’enorme cicatrice,
deturpava la bianca distesa e si distendeva velocemente sulla diagonale
compiuta dalla ragazza nella sua fuga.
Avvertì il respiro sospendere nel petto quando
si accorse che quella fenditura appena accennata, correva proprio nella
stessa direzione della pattinatrice solitaria. Evidentemente era la ragazza
stessa, con il suo passaggio che, inconsapevolmente, provocava la spaccatura
del ghiaccio reso fragile dal terribile scontro del ghiacciaio contro la
collina.
Doveva assolutamente raggiungerla, per
avvertirla del pericolo che stava correndo.
Erronn posizionò sul ghiaccio la sua amata
tavola di legno, costruita con passione con le sue stesse mani e dalla quale non si separava mai,
quindi, fece fare una solida presa agli scarponcini muniti di rampini e in
perfetto equilibrio, scivolò deciso all’inseguimento della ragazzina.
Appena fu a portata di voce, il surfista delle
nevi, urlò con quanto fiato aveva in gola il suo avvertimento, cercando di
attirare l’attenzione della fuggitiva, ma lei, troppo impegnata a non cadere e pareva non sentire.
Erronn era a qualche decina di metri di
distanza quando, con uno scricchiolio sinistro, la fenditura superò la pattinatrice e il baratro le si spalancò davanti ai piedi. Fu con orrore che la
vide cercare di frenare la corsa dei suoi pattini. Tuttavia, la manovra risultò
inutile: con un ultimo urlo immane, la ragazza sparì, inghiottita dal
crepaccio.
Il giovane surfista fece appena in tempo a
frenare la discesa della tavola artigianale, quindi, oppresso dal silenzio
terrificante sceso improvviso, si lasciò cadere sul ghiaccio.
Sentiva il cuore pulsare come impazzito nel
petto e nella gola, le gambe gli tremavano per la fatica e per l’emozione
appena vissuta. Per un attimo aveva sperato di potercela fare a raggiungerla,
per poi mettersi in salvo insieme a lei, ma la ragazza era precipitata e lui,
non aveva potuto fare nulla per impedirlo.
Avvilito ed esausto lasciò vagare lo sguardo
attorno. Tutto era avvolto nel silenzio, in un vuoto immenso e una inquietante desolazione.
Era probabile che fosse l’unico sopravvissuto all’immensa tragedia appena
conclusasi.
Passarono alcuni minuti prima che il suo
respiro si regolarizzasse. Intento com’era a riguadagnare la calma e la
lucidità necessaria, lì per lì non fece caso allo strano suono che sentì,
scambiandolo per il verso di qualche animaletto ferito.
Ma quando poi quel suono si ripeté, sul suo
viso si dipinse un’espressione incredula. «Possibile?» pensò affacciandosi
cautamente al ciglio del burrone.
Quello che vide gli sembrò incredibile! Su una piccola sporgenza posta a pochi metri dal ciglio del crepaccio, vi era adagiato il corpo della ragazzina.
Per un istante pensò a una visione poi realizzò che si trattasse di un prodigio. La ragazza era ancora viva e cercava disperatamente di rimanere aggrappata a quel lastrone di ghiaccio. Erronn sapeva che il tempo stringeva, lo spazio a disposizione di quella coraggiosa ragazzina era piuttosto limitato e, oltretutto, era palesemente esausta. Occorreva agire in fretta, non avrebbe potuto resistere molto a lungo aggrappata a quel cornicione scivoloso.
«Coraggio! Cerca di resistere! Ora ti
lancio una corda!»
La ragazzina, volse il suo sguardo in alto, e
lui si trovò a guardare in quegli occhi, incredibilmente azzurri, sbarrati dal
terrore.
“Santi numi! È molto più piccola di me!”
pensò con amarezza.
Poi ringraziò mentalmente suo padre che, con i
suoi insegnamenti, gli aveva fatto prendere la buona abitudine di portare
sempre con sé uno zaino contenente tutto ciò che avrebbe potuto servire, in
condizioni estreme, ad affrontare un breve periodo di emergenza.
Estrasse la lunga fune e se la fece passare
intorno al corpo, quindi si ancorò saldamente coi rampini degli scarponi sul
ghiaccio e si sporse quanto più gli era possibile sul burrone lanciando la
corda.
«Io mi chiamo Erronn e tu?» le domandò in un
vano tentativo di distoglierla dalla brutta situazione in cui si trovava.
Il labbro della ragazzina tremò mentre con voce
esile rispondeva: « Kristell… mi chiamo Kristell.»
«Bel nome, ma ora ascoltami bene. Devi
far passare la cintura al di sotto delle ascelle e poi assecondare i miei
movimenti. Vedrai che in pochi minuti sarai in salvo.»
Lei fece un piccolo tentativo, tuttavia tremava
talmente tanto, da non riuscirci. Era sofferente. Erronn se ne accorse
perché si muoveva al rallentatore, le mani e le braccia chiaramente intorpidite
dal gelo.
Lanciò intorno uno sguardo preoccupato: gli
scricchiolii che aveva iniziato a sentire, non gli piacevano per nulla. Intuì
che il ghiacciaio a monte, con il suo peso immenso, aveva iniziato a spingere
la falda a monte della fenditura e lentamente, ma inesorabilmente,
il crepaccio stava per rinchiudersi.
Doveva sbrigarsi a issare la ragazzina, se non voleva che facesse un’orribile fine all'interno della voragine.
La situazione era disperata ed Erronn s’impose
di non perdere la calma, ma, soprattutto di non aggiungere ansia all’ansia che
traspariva già sin troppo sul viso di lei.
Si alzò puntando gli scarponi nel ghiaccio,
quindi cercò di rassicurarla, mantenendo un tono pacato:
«Va bene! Senti cosa facciamo. Devi solo
distenderti sulla schiena, afferrare bene la corda con entrambe le mani e
puntare i tuoi pattini sulla parete che hai di fronte, proprio come se tu
volessi camminare, un piede davanti all’altro. Poi dovrai solo assecondare i
miei movimenti, alternando i passi lentamente. Hai capito bene, piccola?»
«Sì, ma ho tanto freddo e tanta paura!» rispose lei con voce
tremante.
Erronn si sentì il cuore stringere dalla pena,
ma cercò d’ignorare il suo nervosismo, mentre tendeva la corda provandone la
resistenza.
«Devi solo stare tranquilla e tutto andrà
bene. Pensa solo a piantare bene i pattini nel ghiaccio e a muovere i
passi come ti ho spiegato. Vedrai, ti tirerò su io.»
Sembrò funzionare, ma la ragazza ebbe appena il
tempo di fare pochissimi passi, sostenuta da lui con tutte le sue forze, che
uno schianto gigantesco si ripercorse per tutto il crepaccio.
Il fragile parapetto che fino ad allora l’aveva sostenuta, si frantumò in tanti pezzi e Kristell, con un urlo strozzato,
si sentì inghiottire dall’orrido. Erronn ebbe appena il tempo di vederne gli
occhi sbarrati dal terrore, poi più nulla.
continua...
Racconto pubblicato sul sito Scrivere dal 2012
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Bellissimo. Da tenere col fiato sospeso. A quando il seguito?
RispondiEliminaGià ricco di pathos e di suspense. Immagino il seguito con i colpi di scena. Domanda:ma quanto hai scritto?
RispondiEliminaBello relato te mando un beso
RispondiEliminaBello, inizia subito con suspense. Promette molto bene. Buona giornata
RispondiEliminaFabulous blog
RispondiEliminaRimango sempre affascinata dalle tue leggende!
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