Fantasia

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La brama della scrittura arde come una fiamma in un cuor propenso. Vivì

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sabato 31 ottobre 2020

La leggenda di Azzurrina

                                        

Dite la verità: quanti di voi credono nei fantasmi e non ne hanno nessuna paura? Ebbene, se qualcuno mi rivolgesse questa domanda io, sinceramente, risponderei che ci credo e ne ho timore. 

Qualcuno tra voi sorriderà pensando che io sia un'ingenua, qualcun altro mi darà ragione, e i più scettici, infine, mi compatiranno ma, forse, se leggessero questa storia fino alla fine, potrebbero anche ricredersi. 

Personalmente ho sempre temuto ed evitato le storie che  riguardano gli spiriti, forse perché ci credo. Difatti, nello scorrere le pagine del web per le mie ricerche, mi sono imbattuta nella storia di Azzurrina e sin dalle prime righe, ho avvertito un brivido di timore. Ma la mia attenzione era ormai catturata e, invece di abbandonare la lettura, come invece suggeriva il mio istinto, ho proseguito e alla fine devo ammettere di essermi commossa.                                                   


Molti descrivono la storia di questa bimba come del tutto vera e non come leggenda, io lascio giudicare a voi e se vorrete, alla fine commentare.

Il vero nome di Azzurrina, una bimba di cinque anni vissuta nel medioevo, era Guendalina Malatesta, figlia del feudatario Ugolinuccio di Montebello, signore del locale maniero.

Si narra che Guendalina fosse nata albina, dai capelli talmente biondi da sembrare candidi e gli occhi cerulei, lo stesso colore del cielo in primavera.

La piccola era una bimba buona e molto ubbidiente, ma le sue caratteristiche albine, per quei tempi, rappresentavano la sua sventura. Nel medioevo, infatti, tra il popolo regnava la totale ignoranza, ed era credenza popolare che gli albini fossero figli del demonio e che praticassero la stregoneria.

I genitori di Guendalina, a salvaguardia della loro bambina, che rischiava il linciaggio, furono costretti a tenerla segregata nel castello. La madre tentò persino di nascondere il candore dei capelli  con pigmenti vegetali ma,  non avendo molta esperienza di tinture, ottenne il risultato di conferire alla capigliatura della sua bimba suggestive sfumature azzurre che, unite al colore straordinario degli occhi, le fecero guadagnare il soprannome di Azzurrina.                                     

La storia narra che la bimba non visse mai la sua breve vita serenamente, come una buona parte dei bambini del mondo e non uscì mai dalla sua pur dorata prigione. Azzurrina, per decisione del padre, sin dalla nascita, venne sorvegliata a vista da due guardie, che non l’abbandonavano mai.

Eppure, nonostante la stretta sorveglianza, accadde che la notte tempestosa di quel remoto solstizio d’estate, mentre la piccola era intenta a giocare con una palla di pezza, la sfera le sfuggì dalle mani e rimbalzò lungo le scale che conducevano a uno scantinato. Azzurrina la rincorse per recuperarla ed eluse così, anche se per pochi secondi, la sorveglianza della scorta.

Le guardie la udirono urlare e si precipitarono nei sotterranei del maniero, ma della ragazzina non trovarono tracce. Vennero setacciati per giorni sia il castello che il borgo vicino, ma il corpo della bimba non fu mai ritrovato e nemmeno fu mai ritrovata la palla con cui stava giocando.

Azzurrina si era come volatilizzata nel nulla.

Inutile descrivere la disperazione e lo sgomento dei genitori davanti a quell’assurda scomparsa e alla perdita dell’amata figlioletta.

Molti dubbi su questo fatto sono tuttora da chiarire. Chi, cosa o quale potere arcano ha attirato la palla della bimba fino allo scantinato? Che fine ha fatto il corpo di Azzurrina? E la palla con cui giocava? Non esiste nessun passaggio segreto che possa far pensare a qualcuno penetrato dall'esterno e di conseguenza a un rapimento. 

Da quella misteriosa sparizione nacque la leggenda che narrava che ogni cinque anni, l'età di Guendalina al momento della scomparsa, e nel giorno del solstizio d'estate, fosse possibile ascoltare la voce della bimba risuonare nel castello.

Storia o leggenda, la notizia del piccolo fantasma che faceva sentire la sua voce, travalicò i secoli attirando nel castello molti  curiosi e amanti del paranormale.                                                                       

Considerata la testimonianza di molte persone serie e scientificamente preparate, l’università di Bologna decise di analizzare la questione. Durante il solstizio estivo del 1995 iniziò degli studi approfonditi e mediante dei nastri magnetici, gli esperti riuscirono a registrare dei suoni alquanto inquietanti. Sui nastri rimasero impressi i rumori di un temporale, con relativi tuoni e il ticchettio della pioggia, il rimbalzare di una palla lungo le scale e, soprattutto, i lamenti di una bimba che invocava la sua mamma.

Si tratterebbe di un ectoplasma dunque, per niente temibile ma, al contrario, tenero ed emozionante.

Di questa storia sfociata in leggenda e viceversa, è risaputo che la voce infantile di Azzurrina registrata sui nastri, che viene fatta ascoltare durante le visite nel castello, susciti nei presenti tanta malinconia e tenerezza. Le stesse sensazioni che ho provato io e che mi hanno commossa fino alle lacrime.                             


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giovedì 29 ottobre 2020

La leggenda di Orio e Medusina

 

Questa suggestiva leggenda parla di mare e d'amore e nasce a Bragora, nel sestiere Castello, nel cuore di Venezia.

Narra di Orio, un ragazzo semplice e gran lavoratore, la cui vita era dedicata totalmente al mare e alla pesca.

Accadde che un giorno, durante una battuta, nella sua rete rimase imprigionata una bizzarra e affascinante creatura, dalle curve sinuose e dalla lunga coda a squame.                          

Si trattava di una sirena dagli occhi colore del mare e lo sguardo e la voce ammalianti. La creatura disse di chiamarsi Medusina e mentre Orio la liberava, gli narrò della vita che, come creatura marina, conduceva negli abissi.

Il giovane pescatore rimase affascinato dai modi suadenti della sirena e si innamorò perdutamente.

Lo stesso intenso sentimento si accese nel cuore della creatura e per i due iniziò una travolgente storia d'amore. I loro incontri appassionati avvenivano di notte sulla spiaggia di Malamocco illuminata dalla luce di una luna complice, da un manto di stelle infinito e il lieve sciabordio della risacca, che faceva da colonna sonora accompagnando i sospiri dei due amanti. 

L’amore e le amozioni che i due innamorati si scambiavano, erano talmente grandi che, Orio, decise di domandarla in sposa.  

Quella richiesta inaspettata commosse la giovane sirena, che si disse pronta a rinunciare alla sua vita negli abissi per trasformarsi in una donna, in tutto e per tutto.

Medusina pose però una condizione: da quel momento e, fino al giorno delle mozze, i loro incontri d'amore sarebbero continuati tutte le notti escludendo però quella del sabato.

                         

Orio pensò che non fosse poi un grande sacrificio quello richiesto e accettò, se non che, non riuscì a resistere alla tentazione di vedere l’innamorata e, una notte di sabato, ruppe la sua promessa.

Il pescatore si recò sulla spiaggia ma, non trovando l'innamorata e già in preda all’ansia, si sedette su uno scoglio e iniziò a urlarne il nome.

All'improvviso, le acque davanti alla scogliera ribollirono ed emerse la figura sinuosa di un serpente di mare.

                                             

Terrorizzato, Orio tentò di fuggire ma, il richiamo ammaliante della sua sirena, lo costrinse a fermarsi.

Quel mostro marino era Medusina, che spiegò all’innamorato di essere vittima di un malvagio incantesimo, che solo con il matrimonio con un essere umano poteva essere dissolto.

Il pescatore si commosse e si convinse a sposare Medusina.

Dopo la cerimonia avvenuta in riva al mare, alla presenza di tanti amici e parenti, la giovane coppia visse per anni una vita felice e la loro esistenza venne anche rallegrata dalla nascita di tre bambini, sani e intelligenti.

Purtroppo, accadde che lei si ammalò di una patologia incurabile e morì, facendo però in tempo a esprimere all’amato l'ultimo desiderio. Medusina domandò di essere sepolta nel punto esatto dove era nato il loro amore.

Disperato per la perdita della moglie, Orio, rispettò le ultime volontà dell'amata e tornò poi a fare la sua vita da pescatore.

                                        

Sin dai primi giorni della sua vedovanza, rilevò alcune cose strane che accadevano durante la sua assenza.  Al suo ritorno a casa trovava sempre i suoi bambini accuditi e la casa  perfettamente in ordine. Orio pensò che ci fosse qualcuno, tra i parenti o gli amici, che si introduceva in casa di nascosto, per aiutarlo, senza voler rivelare la propria identità.  Il giovane rinunciò a indagare, ma in cuor suo fu profondamente grato allo sconosciuto.

Ma un fatidico sabato, rientrando prima del previsto, trovò un grosso serpente che si aggirava per le stanze e d’istinto e senza riflettere, afferrò un’accetta mozzandogli il capo.

Solo il giorno dopo, al suo ritorno in casa, ritrovando il disordine e i figli trascurati, il giovane intuì che il grosso serpente era proprio la sua amata Medusina e impazzì per il rimorso e per il dolore.  

In ricordo di questa tragica storia d'amore, nella casa di Orio e la sua sirena venne posto un cuore di pietra.  

                                                

                



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lunedì 26 ottobre 2020

La leggenda della sibilla Appennina




Si narra che nel cuore dei Monti Sibillini, situati nel tratto appenninico marchigiano e umbro, ed esattamente tra gli anfratti del monte Vettore, esista un sentiero nascosto, che nessun essere vivente ha mai percorso e che condurrebbe a una grotta segreta, le cui grandiosità, sfarzo e bellezza sarebbero più consoni a un palazzo reale piuttosto che a una cavità rocciosa.

In questo luogo misterioso vivrebbe la sibilla Appennina, una giovane dalla bellezza strepitosa e dai poteri veggenti.

                                    


Nella leggenda pare che questa creatura arcana viva circondata da una corte di giovani ancelle altrettanto avvenenti e che nasconda da millenni un grande segreto: sulle pareti della grotta sarebbe incisa, in una lingua sconosciuta e in caratteri indecifrabili, l'intera storia del nostro pianeta e dell'intera umanità, sin dagli albori del tempo.

Nel testo sarebbero comprese alcune profezie, di cui Appennina sarebbe la custode, alcune delle quali oscure e funeste per l'essere umano.                            

                                       


Si dice che la sibilla ne svelerà i segreti soltanto a coloro che riusciranno a scoprire il misterioso sentiero montano e a percorrerlo,  superando innumerevoli ostacoli, fino a raggiungere la sua dimora.

Fino a oggi non risulta che qualcuno sia riuscito nell'impresa e comunque, la profetessa sarebbe sempre lì, in attesa di svelare gli arcani. 

La leggenda continua narrando che, durante il susseguirsi dei secoli, la sibilla avrebbe sempre seguito con interesse le vicende umane cercando di migliorare le condizioni di vita dei popoli primitivi. Appennina avrebbe insegnato agli uomini della preistoria a fabbricare utensili per la caccia e il lavoro, l'arte di tessere o di filare, di coltivare ortaggi e frutta e l'allevamento del bestiame.

Tutto questo rivelerebbe una creatura del tutto positiva, ma pare, che anche la misteriosa fanciulla avesse e abbia tuttora, un lato oscuro, che emergerebbe quando scende l'oscurità.

                                 


Di notte Appennina si trasformerebbe in una Virago, donna dal carattere virile e autoritario e, insieme alle sue ancelle, si aggirerebbe per le strade dei villaggi, alla ricerca di amanti, per abbandonarsi ai piaceri più sfrenati.

Al sorgere del sole, però, tornerebbe la dolce custode di segreti ancestrali nella sua sfarzosa e arcana dimora, lasciando nell'aria tracce di lussuria, presagi oscuri e tanto, tanto mistero.

                                               

                  



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sabato 24 ottobre 2020

La leggenda dei giorni della Merla

 

Mi sono sempre chiesta perché gli ultimi tre giorni del mese di gennaio venissero chiamati i “giorni della merla” e forse, ora che conosco questa leggenda, il mistero è svelato.

Forse! Non è certo, anche perché intorno ai giorni più rigidi dell'inverno di leggende ne sono fiorite molte ma, questa mi pare una delle più romantiche e ve la vorrei narrare.

A Rocca di Stradella, in provincia di Pavia, nel ‘500 viveva una nobile famiglia benestante, appartenente al casato dei Merli.

Tibaldo, uno dei figli più giovani, venne mandato a Pavia affinché proseguisse gli studi e, quando fece ritorno nel contado, conobbe una giovane bellezza, che si chiamava Merla.           

La ragazza era talmente avvenente, che in tutto il villaggio si diceva: “bella come la merla”.

A Tibaldo la giovane parve una dea e perse subito la testa e lei, contraccambiò con la stessa intensità il sentimento dell'innamorato.                  

Per qualche tempo vissero felici la loro relazione ma, un giorno scoprirono di essere cugini e il mondo rovinò loro addosso.

Tibaldo e Merla tentarono di tenere nascosto questo loro sentimento, ma vennero ben presto scoperti e la loro relazione suscitò grande scalpore nel contado.

Le famiglie di entrambi tentarono di soffocare lo scandalo e impedirono ai due di rivedersi, tenendoli separati.  I due giovani, presi dalla disperazione, pensarono che non vi fosse altra soluzione se non quella estrema di un romantico, duplice suicidio.

Per fortuna, la storia d'amore di questi novelli Giulietta e Romeo giunse fino all'arcivescovado di Pavia e finì per impietosire e attirare la benevolenza della chiesa.

Il vescovo decise di domandare la dispensa papale, che permettesse ai due innamorati di unirsi in matrimonio.

La Santa Sede acconsentì e le nozze vennero celebrate alla presenza di tutti gli abitanti del villaggio in pompa magna.                                     

I festeggiamenti durarono tre lunghi giorni. I tre rigidi giorni di fine gennaio.

Ma il destino di entrambi i giovani era scritto con lettere scarlatte e attendeva in agguato e, purtroppo, il grandioso evento terminò in un dramma.

I due sposi decisero di fare un breve viaggio di nozze e noleggiarono una carrozza ma, le strade, rese impraticabili per il fango e per il gelo, li costrinsero a tentare la  traversata sul Po, che in quel periodo era ghiacciato.

Sotto il peso di cavalli e carrozza il ghiaccio si incrinò e alla fine si ruppe, mettendo tragicamente fine alla storia dei due giovani innamorati, precipitati nelle acque gelide fiume.  

                                                         

                     


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mercoledì 21 ottobre 2020

La leggenda della Mano di Fatima

                                                                             

                                                                             



La Mano di Fatima o Mano di Miriam è conosciuta anche come mano di Hams o di Khamsa. Tradotti dall’arabo, questi due ultimi termini significano “cinque”.

Questo famoso talismano trova origini nell’antichità con i popoli dei Sumeri e dei Babilonesi.

Con il trascorrere del tempo ha acquisito un grande valore simbolico per la religione ebraica e quella mussulmana, fino a diventare oggetto di culto.                             

                       

In genere, l’amuleto viene cesellato in argento, la maggior parte delle volte smaltato e con un occhio centrale che rappresenta lo sguardo divino sul mondo. 

Oggigiorno, in Medio Oriente, l’icona che lo rappresenta è spesso utilizzata per indicare gli spazi riservati alle donne.

La mano di Fatima per l'islam popolare rappresenta più un talismano che tiene lontane le disgrazie. ed è considerato un valido riparo dal malocchio mentre, per le donne arabe, assume una valenza più significativa.

La mano di Miriam è per loro simbolo di femminilità, fertilità e pazienza. Tutta quella che dimostrano nei confronti degli uomini sin dalla più tenera età.


                            

Un'antica leggenda racconta di Fatima, giovanissima sposa moglie di Alì, innamoratissima del suo uomo e molto gelosa.

È risaputo come nella religione islamica all'uomo sia concesso di avere più mogli, ebbene , Fatima non sopportando l'arrivo in casa di una nuova concubina, rodendosi per la rabbia e il dolore, immerse inconsciamente la sua mano nella zuppa che bolliva sul fuoco.

Alì, accortosi del dramma, accorse in soccorso della moglie e ne ascoltò le lamentele ma, alla fine, decise ugualmente di trascorrere la notte insieme alla nuova amante.           

                                                   

Folle di gelosia, Fatima spiò l'alcova nascosta dietro a un paravento ma, alla prima effusione scambiata dagli amanti, una lacrima le scivolò dal viso bagnando la spalla del marito.

Solo allora Alì si rese conto dell'amore profondo che Fatima provava per lui e che li univa e decise di sceglierla come unica sposa.

La giovane donna divenne così famosa come simbolo di amore e di fedeltà. In seguito, la sua figura assunse un’aurea quasi divina e le vennero accreditati molti prodigi, come la pioggia caduta per incanto nel deserto e la capacità di fare sbocciare fiori mediante la preghiera.

                                                     

                         


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lunedì 19 ottobre 2020

Il mistero delle linee di Nazca

 



Colibrì, pesci, scimmie e balene. E ancora condor, fiori, un ragno di quarantacinque metri e una lucertola gigantesca di centoottanta metri.

Sono queste alcune delle misteriose linee di Nazca scoperte su un altopiano tra le città di Palpa e di Nazca, in Perù.

Considerata una grandiosa culla del mistero è stata eletta Patrimonio dell'Umanità ed è composta da oltre 13.000 linee per un totale di 800 disegni stilizzati.

L'ultimo a essere stato scoperto è quello di un misterioso animale dal manto maculato, un numero considerevole di zampe e un enorme lingua penzolante.


Chi ha tracciato questi giganteschi geroglifici datati tra il 300 a.C. e il 500 d.C.?

La questione è tuttora dibattuta e, anche in questo caso, le ipotesi degli scienziati sono molteplici e alcuni in totale disaccordo. C'è chi sostiene che gli autori siano gli stessi antichi abitanti della regione, altri sostengono invece che, essendo la zona considerata sacra e di conseguenza meta di pellegrinaggio, quei disegni siano stati tracciati con metodi scientifici da studiosi e personaggi altolocati dell’antichità.

Che siano stati tracciati da persone esperte lo si può dedurre dalla precisione millimetrica dei disegni, dalle proporzioni armoniose e dal fatto che siano visibili soltanto dall'alto.



In un'altra versione, del tutto fantasiosa, si narra che siano state le creature aliene a tracciare sapientemente queste linee geometriche.

Di questi arcani disegni si parla per la prima volta nel 1547 in un trattato scientifico stilato dal conquistador Pedro Ciezo  de León.

Tra le varie ipotesi vi è quella dei sentieri cerimoniali, di un calendario astronomico e l'ultima, forse la più suggestiva, è che gli abitanti della regione, tracciando quelle linee, volessero mantenere un rapporto armonico con gli dei e scongiurare così ogni disgrazia o calamità.

Pare incredibile come queste linee, nonostante il trascorrere dei secoli, siano rimaste inalterate. Pare che la loro conservazione sarebbe dovuta al clima arido e mai ventoso della zona.


L'ultima ipotesi, più accreditata, sarebbe quella della scienziata italiana del Cnr, Rosa Lasaponara che grazie al satellite, è riuscita ad analizzare il suolo sotto la superficie della zona e ha scoperto un sistema idraulico di canali e di pozzi antichi alcuni millenni.

I Nazca, dunque, erano in grado di trasformare il deserto in un enorme giardino, con un sistema ingegnoso di acquedotti e di canali di irrigazione, da fare invidia ai tempi moderni.

In questo modo sarebbe svelato il mistero dei giganteschi geroglifici che, è quasi certo, fossero il ringraziamento che i Nazca rivolgevano agli dei.

                                              

                           



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mercoledì 14 ottobre 2020

La leggenda di Andromeda


                                                      

 Questa triste leggenda ha un lieto fine e ci fa viaggiare a ritroso nel tempo, fino ad arrivare nella mitica Etiopia.

Si narra che, questa terra africana, fosse il regno di Cefeo e della sua vanitosa consorte Cassiopea la quale, affermando di possedere più fascino persino delle Nereidi, le ninfe del mare, ne avesse provocato l’indignazione e la conseguente brama di rivalsa.

Le vendicative ninfe si rivolsero a Poseidone, il dio del mare, affinché infliggesse una giusta punizione all’arrogante regina e rendesse loro giustizia.

Il dio prese a cuore le preghiere delle ninfe e decise di punire i due regnanti scatenando prima un catastrofico maremoto e, non soddisfatto, inviando un mostro marino, che fece strage dei sudditi etiopi.             

I superstiti, disperati da tanta devastazione e morte, si rivolsero allora all’oracolo Ammone, il cui responso fu tragico e lapidario: il re avrebbe dovuto sacrificare la figlia Andromeda dandola in pasto al mostro. Solo così l'ira del dio e delle ninfe si sarebbe placata e la pace sarebbe tornata nel regno.

Il sovrano accettò a malincuore la terrificante profezia ma, in seguito, fu costretto ad arrendersi alla volontà del popolo, che domandava con forza di mettere fine a quella tragedia. Andromeda venne imprigionata a una roccia in riva al mare, in attesa che il mostro la notasse e se ne cibasse.

                                    

La leggenda narra che Perseo, figlio di Danae e di Zeus, l'eroe che uccise Medusa, sorvolando quelle terre, notasse la bella fanciulla prigioniera.

Pare che Perseo indossasse calzari alati e un elmo che lo rendeva invisibile e che si spostasse in volo  custodendo nella sua bisaccia la testa della gorgone appena uccisa.

Dall’alto, l’eroe confuse Andromeda con una statua, ma poi i lunghi capelli scompigliati dal vento e, soprattutto le lacrime che scivolavano sul quel bel viso, lo convinsero di quanto fosse vera e terrorizzata quella creatura.

Ebbene, impietosito dal terrore della prigioniera e ammaliato dalla sia bellezza, Perseo raggiunse in volo i genitori promettendo di liberarla solo se gliela avessero concessa in sposa.

I due sovrani non avrebbero voluto accettare, perché avevano in mente ben altro matrimonio per la loro figliola, ma messi alle strette dalle circostanze, s’impegnarono, promettendo le nozze.

Ottenuto il loro consenso, l'eroe, sfruttando l'energia dei calzari alati, piombò sul mostro e perpetrando un astuto inganno di luci e ombre sul pelo dell’acqua, riuscì a ucciderlo.                                

Si narra che, esausto per il combattimento, Perseo posò la testa di Medusa sulla sabbia per detergersi le mani sporche di sangue nelle limpide acque del mare. Ma un'onda sommerse la bisaccia contenente il macabro trofeo e a contatto con il sangue ancora fresco della gorgone, alcune alghe si pietrificarono, trasformandosi poi in corallo.

In seguito, l’eroe volò da Andromeda e la liberò, riconducendola   a palazzo reale e ricordando al sovrano la sua promessa.

Narra Ovidio, nelle sue Metamorfosi che la fanciulla fosse già impegnata con Fineo, che non si mostrò affatto disposto a rinunciare alla sua sposa.

Così, durante i festeggiamenti delle nozze, nacque un gran diverbio tra i due. Una contesa che degenerò fino a diventare conflitto perché vide coinvolti molti sostenitori di Fineo e, di conseguenza, il banchetto si trasformò in tragedia.

Pare che fosse proprio Cassiopea a dare il segnale per i combattimenti.

Perseo estrasse la testa di Medusa dalla sua bisaccia, e lo sguardo ancora vivido della gorgone pietrificò il pretendente e tutti quelli che lo sostenevano.

I due sposi decisero poi di far ritorno a Serifo dove, Danae, la madre di Perseo rischiava la vita per mano di re Polidette, che la insidiava pretendendo che lei corrispondesse le sue attenzioni. 

Perseo, per proteggere la madre,  pietrificò il brutale spasimante e la salvò.

Dopo la morte del sovrano, i tre fecero ritorno ad Argo, la terra natia di Perseo e di Danae. 

Molti anni dopo, alla morte dell’eroe, la dea Atena volle dedicargli una porzione del cosmo ponendogli accanto Andromeda e Cassiopea e ancora oggi è possibile, nella volta celeste, ammirare queste costellazioni, in ricordo del grande amore che legò i due protagonisti.




                                                                                                             

                                                                   


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domenica 11 ottobre 2020

Il mistero di Stonehenge

Stonehenge, letteralmente “Pietra sospesa”, deriva dal bretone stone, pietra e hang, sospendere, in riferimento ai grandi megaliti che sembrano sospesi, così posati su altrettante colossali pietre portanti, che fungono da architravi. 

Il famoso sito archeologico è situato nella regione inglese di Wiltshire ed è il più celebre “cromlech”, circolo di pietra esistente.

Alcuni ricercatori sostengono che la funzione del sito, considerato l'allineamento con i punti di solstizio e di equinozio, fosse quella di osservatorio astronomico, nello specifico di un calendario, anche se la questione viene tuttora dibattuta.

Col tempo, Stonehenge, oltre che attrazione turistica, è diventato simbolo e luogo di pellegrinaggio per molti adepti di religioni neopagane, per i seguaci del celtismo e della wicca.     

Oltre la cinta esterna di megaliti, larga trentatré metri, nel sito si trova la pietra dell'altare, un blocco di arenaria verde di cinque metri.

Una leggenda narra di una delle pietre denominata “Tallone del frate” e ne spiega fantasiosamente le origini: “Il diavolo comprò le pietre da una donna in Irlanda, le avvolse e le portò sulla piana di Salisbury. Una delle pietre cadde nel fiume Avon, le altre vennero portate sulla piana. Il diavolo allora gridò: “Nessuno mai scoprirà come queste pietre siano arrivati sin qui!” Ma un frate, appostato nei pressi, rispose con tono di sfida: “Questo è ciò che credi tu!”

Allora il diavolo lanciò una delle pietre contro il frate, colpendolo sul tallone. La pietra finì per incastrarsi nel terreno e così è rimasta fino ai giorni nostri.                                

                                            
Uno dei primi studi documentati sul sito venne condotto nel 1640 dal ricercatore John Aubrey, il quale addusse ai druidi la costruzione del cerchio di pietra assegnandogli, dunque, una valenza religiosa oltre che arcana.

Un'altra leggenda associa il sito archeologico a Merlino, il mago di re Artù e della Tavola rotonda.

Si narra che Merlino viaggiasse per l'Irlanda alla ricerca delle Giant’s Dance, letteralmente “Danza del Gigante”, un cerchio di rocce che, si fantasticava, avesse proprietà curative se l'acqua utilizzata per lavarle, fosse stata poi usata nelle cure di alcune malattie.                             

                          

Dopo una lunga ed estenuante ricerca, il mago le trovò e riuscì a trasportarle sul fiume Avon con una zattera attraversando tutta la Bretagna fino a Salisbury, il sito nel quale sono visibili ancora oggi.

La leggenda di Stonehenge è colma di magia e di mistero; è un tuffo nel passato assai remoto, che risale addirittura al neolitico e ancora oggi rimane un enigma il fatto di come gli antenati siano riusciti a scolpire, a trasportare e posizionare i megaliti in quella forma circolare.                                             

                          


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giovedì 8 ottobre 2020

Nel regno di Asgard: il dio Thor

                         


Thor, il dio del tuono, figlio di Odino, il re degli dei nordici e di Jord, una gigantessa considerata la dea della terra, era una delle figure più amate e ammirate della mitologia del nord Europa, ma venerato anche dai Vichinghi, dagli Scandinavi e dalle antiche popolazioni germaniche. Gli Scandinavi, in modo particolare, si definivano “popolo del dio Thor “proprio perché, credevano, avesse molte caratteristiche umane, soprattutto  qualità bellicose e strategiche molto apprezzate e condivise dai guerrieri del Nord.

        

Thor veniva raffigurato con una stazza possente, l'aspetto aitante e muscoloso, l'aria accigliata, con sguardo quasi ferino. La barba e i lunghi capelli, in alcuni casi biondi e in altri rossi, contribuivano a donare un’aria selvaggia a questa figura divina.

Il carattere irruente, bellicoso e sanguinario di Thor, era fonte di grande preoccupazione per suo padre Odino che, molto spesso, affiancava al figlio impegnato in battaglia, Loki, il dio dell' astuzia e dell'inganno, con la speranza che la sua scaltrezza riuscisse a risolvere in modo meno cruento ogni controversia e le situazioni più spinose.

                           

Nella leggenda Thor viene anche descritto come il creatore di fulmini, che ottiene usufruendo della magia contenuta nel suo martello “Mjöllnich”, detto anche “infallibile frantumatore “per la potenza distruttiva della gigantesca arma forgiata, per lui, dal popolo dei nani. Il dio la usava in battaglia e negli scontri scagliandola contro i nemici e provocando un fulmine dall'energia devastatrice. Dopo aver assolto al suo compito, il magico martello tornava sempre dal suo proprietario, proprio come fosse un boomerang.

Il dio possedeva anche un'arcana cintura, in grado di raddoppiare la sua forza e speciali guanti di ferro per afferrare al volo, come fosse calamitato, il suo martello.

                           

Si narra che Thor, forse perché poco propenso al volo, si spostasse su un carro trainato da due caproni neri, considerati anch'essi magici. Le due bestie avevano sguardi malvagi e occhi di fuoco. Sembra che il dio si cibasse delle loro carni che, però, avevano il potere di ricrescere ogni volta.

Thor viveva nel castello di Bilskinir con la sua sposa prediletta che si chiamava Sif e che era considerata la dea della fertilità. Di lei si narra che avesse degli splendidi capelli d'oro, a simboleggiare le messi di grano maturo, donatoli dai nani dopo che i suoi erano stati strappati, per dispetto, da Loki.  

                            

La notorietà di questo dio si è più che centuplicata negli anni ottanta essendo diventato un supereroe dei fumetti della Marvel, insieme ad altre figure divenute leggendarie e anche grazie alla produzione di svariate pellicole cinematografiche.                                





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