Fantasia

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La brama della scrittura arde come una fiamma in un cuor propenso. Vivì

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mercoledì 7 luglio 2021

Ali candide nel cielo (5a parte)

 


Mark

Mark si torturò per giorni nella speranza di riuscire a escogitare un piano di fuga semplice ma efficace. Ma non era affatto facile evadere da quella prigione; i muri erano molto antichi, dello spessore di un metro circa, la piccola finestra sbarrata da solide inferriate, la porta di legno massiccio rinforzata da sbarre di metallo.

Studiò a lungo gli orari dei carcerieri, il cambio dei turni, quello dei pasti e quello dei controlli che venivano effettuati regolarmente attraverso gli spioncini. Cercò di vagliare ogni minimo particolare, non tralasciando nemmeno di contare i passi che facevano i carcerieri per coprire la distanza tra la sua cella e la scala che portava ai piani superiori e quindi all’uscita. Tuttavia, dovette convenire che la sorveglianza era così stretta da non lasciare speranza di riuscire a eluderla.

Doveva arrendersi? No, mai! Giunse quindi alla conclusione che non rimaneva altro che l'inganno. In fondo, lui stesso si trovava prigioniero nel regno del male, e forse non sarebbe stato poi così difficile ideare uno stratagemma per abbindolare i suoi carcerieri. Doveva solo riflettere attentamente e aspettare con pazienza il momento opportuno. Si mise a osservare le guardie che s’alternavano nei turni. Non erano molte, ed escluso Taresh, non avevano un’aria particolarmente intelligente. In modo particolare Norok, dall’espressione ottusa, quasi da ebete, che Mark definì una creatura insulsa oltre che bizzarra.

Norok era un colosso che si muoveva al rallentatore, e questa era una caratteristica che poteva tornare a suo favore. Il ragazzo decise che fosse lui l’obiettivo più semplice, e si mise a studiarne le mosse e l’atteggiamento.

Lo colpì il fatto che Norok camminasse come un automa, un burattino. Lo sguardo che si posava su Mark era vacuo, senza alcuno sprazzo di discernimento. Possibile che quell’individuo fosse totalmente privo di senno e di volontà?

La sua osservazione durò per giorni interi, finché un’idea ben precisa si fece strada tra le tante vagliate e già scartate: e se avesse tentato d’imitare il comportamento del gigante? Certo, non poteva sperare che Taresh arrivasse a credere che un prigioniero, finora orgoglioso e indomabile, fosse all’improvviso rimbecillito, ma forse, se fosse riuscito a simulare la rassegnazione e l’abulia di un animo provato da infinite angherie allora, forse, sarebbe riuscito a convincere il suo carceriere e persino il sovrano.

“Cosa ho da perdere? Vale la pena vivere una vita senza mai vedere la luce del sole o senza mai respirare l’aria pura a pieni polmoni?”

«Mark» il suo nome aleggiò nella cella ancor prima che apparisse la silfide.

«Ti porto buone notizie. Gylldor sta bene e ti manda un messaggio.»

 La gioia che gli procurò quell’annuncio era pari all’emozione che provò nel risentire la sua voce.

Fu la sensazione travolgente a indurlo a correre incontro alla giovane, che nel frattempo si era materializzata.

Chrisell arretrò spaventata, ma lui l’afferrò per la vita sottilissima e la sollevò in aria, come non avesse peso. «Sei più leggera di una piuma!» esclamò ridendo e roteando su se stesso. «Oh come sono felice!» continuò ignorando gli occhi sgranati e l’espressione di lei, tra il timoroso e l’incredulo.

Mark non smise mai di girare, piroettando con la fanciulla stretta tra le braccia, fino a che la stanza iniziò a roteare vorticosamente e lui perse l’equilibrio barcollando e crollando poi, insieme a lei, sul mucchio di fieno.

Entrambi distesi per terra in una posizione scomposta, si guardarono allibiti, poi scoppiarono a ridere a crepapelle.

«Sei matto!» riuscì a dire Chrisell tra un respiro e un singulto, «Sei proprio tutto matto!» ma, nel frattempo, non riusciva a smettere di ridere.

Quando il respiro si normalizzò, Mark le si avvicinò e le tolse alcune pagliuzze dai capelli: «Qual è il messaggio di Gylldor?»

«Ha detto di stare tranquillo e che presto vi ritroverete. Ma Mark ascolta» lo ammonì con tono tornato serio «non abbiamo più molto tempo e dobbiamo trovare un modo per farti uscire da qui.»

«Io un piano lo avrei già elaborato. Ma non sono sicuro. Se vuoi te ne parlo, così mi dici cosa ne pensi.»

Il ragazzo iniziò a spiegare delle sue osservazioni e della sua idea di simulare arrendevolezza, rassegnazione, disponibilità a collaborare, con l’intento di migliorare la propria situazione.

«Forse, con questo cambiamento, quel demone si convincerà che non rappresento più un problema e allenterà le maglie della sorveglianza. Forse arriverà anche a darmi fiducia e a liberarmi. È solo questo il mio scopo: voglio tornare libero per aiutare Gylldor e magari trovare una via di fuga da questo regno malefico. Che ne dici, Chrisell?»

«Ti aiuterò, Mark, perché la tua mi sembra una buona idea. Ma secondo me occorre perfezionarla. Bisogna indurli a credere che la prigionia, le privazioni e i maltrattamenti subiti abbiano condizionato in modo tale la tua mente e il tuo cuore da portarti alla follia. Io posso rendere più credibile la tua sceneggiata.»

«Come?» gli domandò lui con un pizzico di preoccupazione.

«Ti fidi di me?»

«Tu sei l’unica amica che ho, oltre a Gylldor naturalmente. Certo che mi fido!»

«E allora avvicinati e guardami, Mark. Lasciati andare, guarda le mie mani e guarda nei miei occhi.»

Mark ascoltò con piacere quella voce e quell’invito, si rilassò e seguì con attenzione i movimenti aggraziati delle manine, che sembrava eseguissero una danza davanti al volto delicato della silfide. Chrisell accompagnò i gesti con una nenia dolcissima.

Quella melodia lo indusse a chiudere gli occhi, e Mark si sentì accarezzare la pelle, la mente e il cuore, ma subito dopo e in modo anacronistico nella sua memoria apparve l’immagine di Norok, il gigante dallo sguardo vacuo, e s’immedesimò in quella figura atona.

«Ora e solo ora la tua volontà è sopita. Il tuo sguardo diventa vuoto e si fissa intorno, sfiora appena gli oggetti che lo circondano senza vederli, come se non esistessero. Eseguirai tutti gli ordini che ti verranno impartiti dagli altri, a meno che non compromettano la tua sicurezza e fino a quando sentirai la mia voce ordinarti di risvegliarti. Solo allora tornerai a essere l’individuo che sei sempre stato. Mi hai inteso, Mark?»

Il ragazzo riaprì gli occhi, senza peraltro rendersi conto di dove era e cosa ci fosse intorno a lui. Chrisell agitò una mano davanti al suo volto e constatò che il suo sguardo rimaneva fisso. Allora la silfide annuì, poi d’istinto accostò il suo viso a quello del giovane e con le labbra pose un bacio lievissimo sulla sua bocca socchiusa.

Certa dell’incoscienza di lui, Chrisell si lasciò andare in una risata argentina e maliziosa, quindi la sua immagine sfumò lentamente.

«Che le stelle illuminino la tua strada, Mark!»


 

La Dama Silvestre


«Ti sei messa in un bel guaio, ragazza!»

Chrisell, mortificata, abbassò il capo e lo sguardo. Si era recata dalla sua superiore per fare rapporto e per domandarle un consiglio, ma la Dama era riuscita a leggerle nel cuore e la stava redarguendo.

«Innanzitutto, sei tornata nel regno di Zephar senza mettermi al corrente delle tue intenzioni, e già solo per questo meriteresti una punizione. Ma non è bastato! Ti sei lasciata incantare dalle moine di un terrestre, pur essendo consapevole che non era possibile un’unione tra due creature di genere diverso come siete tu e quell’umano.  E nonostante ciò, ti sei lasciata andare a un sentimento che non potrà mai avere un futuro. Come ti giustifichi?»

Chrisell non riuscì nemmeno a rispondere. Cosa poteva obiettare se già sapeva che Silvestre aveva ragione?

«Almeno guardami negli occhi, Chrisell!» la riprese la fata, muovendosi con leggerezza tra la sua collezione di orchidee. Ve ne erano a centinaia, di tutte le specie e di tutti i colori, e svettavano tra le felci e il verde della radura simili ad ali di una miriade di farfalle colorate. La silfide sollevò timidamente la testa e Silvestre intravide un lucore nello sguardo limpido della giovane. Allora si mosse a disagio: «Forse un briciolo di colpa ce l’ho anche io. Non dovevo affidare un compito così gravoso a una ragazzina sprovveduta e impreparata su tutto ciò che riguarda la dimensione terrena. Ma come potevo prevedere che le cose sarebbero andate a questo modo?»

«Io non so come… sia potuto accadere» accennò Chrisell senza riuscire a terminare il suo pensiero.

«Nemmeno io lo so» la interruppe brusca Silvestre, ma si pentì subito del suo scatto. L’atteggiamento mite e contrito mantenuto dalla silfide non poteva che intenerirla. Era meglio evitare di guardarla, concluse.

«E comunque ora occorre solo rimediare.» La Dama del bosco tacque, sovrappensiero.

Le sue dita carezzarono nervosamente un mucchio di orchidee tigrate, e i fiori, percependo il nervosismo della fata, risposero ritraendosi al tocco. Solo allora Silvestre riprese: «L’unico modo è esonerarti da questo incarico. Affiderò il compito ad Ameris, molto più matura di te» terminò, battendo le mani tre volte.

«No! Ti prego, no! Lascia che continui a occuparmi io del caso.»

«Non posso permetterti di combinare qualche sciocchezza. Sei già troppo invischiata in questa faccenda, sono sicura che ne metteresti a repentaglio la buona riuscita e per il bene tuo e di tutti quelli coinvolti è meglio che io affidi il problema ad altri.»

Mentre nella radura faceva il suo ingresso una giovane silfide di bell’aspetto, Chrisell si sforzò di non lasciarsi andare in un pianto disperato. Doveva trovare un motivo valido affinché Silvestre desistesse dalla decisione di sostituirla.

«Ordina pure, mia signora» esclamò la nuova venuta con un grazioso inchino.

«Ameris, ti ho convocata per affidarti un delicato incarico. Desidero che tu ti rechi nel regno del male per tentare di liberare il principe degli unicorni e un giovane stalliere di nome Mark. So che tu possiedi abbastanza poteri magici per affrontare e superare le difficoltà e i pericoli di quel territorio alieno.»

«Farò come desideri, mia signora, anche se ti confesso che l’idea di affrontare Zephar non mi alletta per nulla.»

«Naturalmente non sarai sola. Ti affiancherò dei validi aiuti. Scegli tu le creature magiche che ti accompagneranno.»

«Fata Silvestre, perdonami se insisto» intervenne Chrisell «ma soltanto io conosco in che situazione si trovano Gylldor e Mark. Soltanto io conosco i piani del ragazzo per la riconquista della libertà.»

La Dama del bosco l’avvolse con uno sguardo severo: «È inutile, Chrisell. Ho già preso la mia decisione. Non aggiungere altro e ritirati nella tua radura a riflettere sul guaio in cui ti sei cacciata. Un periodo d’isolamento non può che farti bene.»

In quel momento la silfide vide sfumare tutte le nuove emozioni e le sensazioni ricevute dall’incontro con Mark. Mai prima d’allora aveva conosciuto un essere che le trasmettesse altrettanta gioia, allegria e serenità di quella che lei aveva percepito e provato in compagnia del giovane stalliere.

Davvero non lo avrebbe più rivisto? Era pronta a dover rinunciare per sempre alla sua amicizia? No, si disse Chrisell decidendo di mettere in gioco un’ultima possibilità.

«Vai pure, Chrisell» la congedò la Dama del bosco, accorgendosi della sua esitazione.

«Mia signora, ci sarebbe ancora un particolare importante che non ti ho ancora svelato.»

Le sopracciglia della creatura più anziana si inarcarono in modo interrogativo. «Cos’altro dovrei sapere?»

«Ho sottoposto il giovane stalliere a un incantesimo e solo io ora sono in grado di scioglierlo.»

«Cosa hai fatto?» domandò indignata Silvestre. «Oh, santi numi! Questo è veramente troppo!»

In quel momento la collera trapelava dal bel viso della dama, ed era evidente lo sforzo che faceva nel dominarsi. Silvestre respirò più volte prima di riprendere e prima pensò bene di congedare l’altra silfide. «Vai pure, Ameris! Se avrò bisogno ti farò chiamare!»

La giovane s’inchinò con grazia: «Rimango ai tuoi ordini, mia signora!» disse svanendo.

Rimaste sole, Silvestre scrutò con severità l’esile fanciulla: «Che genere di incantesimo?» domandò, ma poi si riprese: «No! Non voglio nemmeno saperlo! Sono troppo arrabbiata con te, ragazza! Devi essere impazzita!» esclamò, scuotendo con vigore la testa.

«Ma tu lo sai che operando l’incantesimo hai corso il rischio di venire scoperta? Ti trovavi nella dimensione del male oscuro, e tutte le creature arcane avrebbero potuto avvertire la potenza della tua magia nell’aria. In modo particolare il sovrano, che è uno degli stregoni più potenti che io conosca.»

«Mia signora, non sono una sprovveduta come credi! Sono stata attenta. Prima di agire ho creato una bolla di protezione. Nessuno sarebbe stato in grado di percepire i filamenti dell’incantesimo intorno a noi, inoltre ci trovavamo nelle segrete della fortezza, con pareti spesse parecchi metri. Nemmeno il sovrano credo possegga tutto quel potere.»

«Perlomeno in questo hai mostrato senno.» convenne la dama, suo malgrado. «Ma ora cosa devo fare con te, benedetta figliola? Non solo hai agito di testa tua senza consultarmi, ma hai anche infranto ogni normale regola del buon senso innamorandoti di quell’umano. E l’incantesimo, poi, con quale intento l’hai fatto?»

Chrisell raccontò a Silvestre del piano di Mark e di quanto lei l’avesse perfezionato «Ecco, ti ho detto tutto, mia signora. Ora non resta altro che attendere e sperare che il trucco funzioni.»

La dama annuì. Nonostante tutto, il piano elaborato dalla silfide e dal suo amico sembrava abbastanza realizzabile, e forse, con un briciolo di fortuna, sarebbe riuscito.

«Ho preso la mia decisione, Chrisell. Tornerai nel regno del male e cercherai di portare a termine il compito che ti sei prefissata. Mi auguro che tu riesca a liberare il principe degli unicorni e il suo giovane amico, ma ricorda, quando tutta questa storia sarà finita opererò personalmente un incantesimo su quel terrestre, facendogli dimenticare tutto l’accaduto.»

Chrisell non rispose, non poteva, le si era formato un groppo in gola. Non poteva pensare a quella eventualità senza soffrirne.

«Guardami, ragazza!» la esortò la dama «Ti mando a malincuore nella tana del lupo, ma solo perché non posso fare altrimenti. Promettimi che starai attenta e che non sottovaluterai mai il potere del Signore degli inganni. Ti ho già detto di quanto sia astuto e intelligente, e quando sarai là non devi dimenticarlo nemmeno per un istante. Ora desidero farti un dono che penso possa tornarti utile in caso tu ti trovassi in difficoltà.»



Silvestre si spostò nei pressi di un tronco cavo adattato a portaoggetti e dall’interno trasse un’ampolla misteriosa. La tese poi verso la silfide con atteggiamento solenne.

«Questa è una pozione magica, Chrisell, da utilizzare solo in caso di estremo pericolo. Se tu o i tuoi amici veniste aggrediti, la devi spargere intorno a voi in un cerchio protettivo ed essa agirà bloccando ogni movimento del nemico. Ma ricorda, l’effetto dura solo pochi minuti, usala sempre con parsimonia perché un suo abuso potrebbe avere un effetto letale su chi l’adopera.»

«Grazie, mia signora. Cercherò di seguire tutti i tuoi consigli e vedrai, tornerò con il principe degli unicorni.»

«Vai ora, e che le stelle illumino il tuo cammino!»


L’inganno

I pensieri di Mark aleggiavano nella sua mente come tante farfalle ubriache o impazzite. Un’idea si faceva strada prendendo consistenza, ma poi finiva per perdersi e dissolversi nel nulla, e inutilmente il giovane stalliere cercava di fissare la sua coscienza su un concetto.

Ma la cosa non gli recava nessun disturbo. Niente poteva scalfire la calma serafica che aveva pervaso il suo animo, e la sua pazienza che ora sembrava infinita.

Non si era mai sentito così sereno nella vita, e se anche per qualche istante gli balenava qualche dubbio sulla sua bizzarra condizione, anche quello finiva per svanire come se non avesse la minima importanza. L’incantesimo di Chrisell aveva ottenuto il suo effetto, e qualora gli fosse rimasta una vaga reminiscenza sulla sua identità e il motivo per cui era prigioniero, non sarebbe mai riuscito ad approfondirla.

Anche i suoi carcerieri si erano accorti di questo suo nuovo atteggiamento, e se per i primi giorni avevano ignorato la sua immobilità e il suo sguardo vacuo, con il persistere di quel fenomeno avevano dovuto fare rapporto a Taresh.

Mark era talmente intento a riacciuffare i suoi pensieri che non si rese nemmeno conto dell’ingresso del gigante nella cella. Lo sgherro gli si pose davanti afferrandolo per le braccia, ma si rese subito conto che non vi era bisogno di trattenere con la forza il giovane stalliere.

Difatti, il prigioniero mostrò di non essere affatto consapevole di quanto avveniva, e nemmeno dette segno di accorgersi delle dita d’acciaio che stringevano i suoi muscoli fino all’indolenzimento.

Taresh afferrò con violenza quel corpo rigido e immobile sollevandolo, così da trovarsi il viso del ragazzo a pochi centimetri dal proprio. Se anche Mark avvertì il puzzo di quel alito pesante, non diede segno di disgusto. Nessun muscolo facciale si mosse, e i suoi occhi rimasero vuoti e fissi nelle iridi glaciali dello sgherro. Taresh scrollò il corpo penzoloni di Mark, che si mosse come un pupazzo nelle mani di un burattinaio; solo allora il gigante si convinse che non c’era finzione e lo lasciò cadere sul pavimento. Senza rivolgergli una sola parola, il gigante lasciò la cella: «Tenetelo d’occhio» ordinò alle guardie rimaste ad attenderlo nel corridoio, quindi si avviò a informare il suo sovrano.

Nella sala del trono c’era molta agitazione. I cortigiani si erano raggruppati e parlottavano tra loro come fossero in fibrillazione. Si era sparsa la voce che, in occasione dell’anniversario della sua incoronazione, il re avesse organizzato una grande manifestazione con iniziale parata militare. Il corteo avrebbe dato inizio ai festeggiamenti con musica, cibo e vino a volontà.

Un evento da considerarsi più unico che raro e di cui approfittare, considerato il clima di terrore e di oppressione con cui il Malefico teneva sotto controllo i suoi sudditi.

Quando Taresh fece il suo ingresso nella sala, il sovrano era appena arrivato e discuteva con i suoi consiglieri su varie questioni.

«Mio signore, ti porto una buona notizia» disse, interrompendo i discorsi prolissi di un cortigiano e inchinandosi davanti al re.

Zephar lo fulminò con lo sguardo, quindi prese posto sul trono sovrastando persino la mole gigantesca degli addetti alla sicurezza.

«Mi auguro davvero che sia buona» affermò studiandosi le unghie lunghissime e affilate come artigli. Quello era uno dei suoi numerosi vezzi, come il corpo seminudo, completamente glabro e mantenuto lustro dagli oli essenziali. Il sovrano aveva una cura maniacale per il fisico, che manteneva in forma con esercizi quotidiani assai impegnativi. Zephar era molto vanitoso e amava mettere in mostra la sua figura imponente e statuaria. In quel momento, i muscoli dei bicipiti e del torace si contrassero e luccicarono, investiti dalla luce delle lampade. Gli sguardi femminili si fissarono interessati, seguendo ogni movimento del sovrano.

I maschi presenti mormorarono contrariati anche se, tutto sommato, subivano loro stessi il fascino di quella figura carismatica. 

«Il carattere di quell’umano appare del tutto domato, mio signore.»

Le sopracciglia delineate abilmente dal kohl del tiranno s’inarcarono: «Davvero?» domandò con aria scettica.

«Sì, mio signore e ti posso assicurare che non si tratta di una finzione» terminò Taresh, prevenendo una naturale obiezione.

«Questo lascia che sia io a verificarlo» disse il re con aria di rimprovero. «Per quanta fiducia possa riporre in te, preferisco sempre giudicare di persona.»

Sotto lo sguardo truce del re il carceriere rabbrividì e chinò il capo. Le reazioni del demone erano sempre imprevedibili.

Zephar intuì la soggezione del subalterno e per un attimo si divertì. La sua mano destra si adagiò con lentezza sul pomolo che azionava il trabocchetto mortale e lì vi rimase per qualche lungo secondo. Nella sala scese un silenzio di piombo e tutti gli sguardi si posarono sulla figura del carceriere in ginocchio davanti al trono. Le serpi s’irrigidirono con i corpi tesi allo spasimo e gli occhietti fiammeggianti mentre, le arpie, si leccarono i rostri con le lunghe lingue nere. Il gesto del sovrano prometteva sempre un prossimo, succulento pranzetto.

Taresh, tenendo il capo chino, sollevò appena lo sguardo spiando le mosse del re, con il fiato sospeso.

 Zephar sorrise tra sé, quindi allontanò la mano dal pomolo.

«Ora va e conducilo da me!» ordinò soddisfatto, poi congedò il suo subalterno con un gesto brusco e tornò a discutere con i consiglieri.

Taresh, sospirò di sollievo cercando di assumere un’espressione indecifrabile a favore dei presenti.  Poi indietreggiò senza mai volgere le spalle, quindi arrivato alla porta s’inchinò, e solo allora, non visto, si lasciò sfuggire una smorfia di stizza per essere stato umiliato davanti a tutti i cortigiani. 

Nel frattempo, approfittando dell’assenza momentanea del gigante, Chrisell apparve nella cella di Mark e per un istante si sentì rimordere la coscienza per averlo ridotto in quello stato. 

Il ragazzo era seduto in posizione statica, il viso immobile con lo sguardo fisso; non dava alcun segno di essersi accorto della presenza della silfide. Lei avvertì una morsa fastidiosa serrarle la bocca dello stomaco.  Gli si piazzò davanti e, come non le era mai stato possibile prima, ne studiò attentamente i minimi particolari del volto. Mark era pallido ed era molto dimagrito, ma la pelle manteneva la bellezza e il turgore della giovinezza.

Le dita della silfide ne seguirono i contorni carezzandoli con dolcezza, e un insolito languore le confuse i sensi. Chrisell fece un sorriso amaro. Quell’umano le piaceva da impazzire, era disposta ad affrontare ogni sorta di pericolo pur di liberarlo. Sapeva che il suo sentimento era corrisposto. Lo aveva letto nel cuore del ragazzo, nel suo modo di guardarla e nel contempo arrossire e nei modi gentili che le riservava.

Ma Chrisell era altresì consapevole che il loro amore non era possibile. Erano due creature dalla natura completamente diversa, difficilmente compatibili. La giovane non aveva mai sentito parlare di un’unione tra il genere silvestre a cui lei apparteneva e quello umano. Inoltre, a complicare ulteriormente le cose, lei era parte integrante del regno magico. Era veramente disposta a lasciare il suo mondo per seguire Mark e, nel caso lui gliela avesse chiesto, andare a vivere nella dimensione terrestre? La silfide scacciò quel pensiero molesto. Non era quello il momento per soffermarsi sul loro futuro, ma piuttosto lo era per pensare al da farsi.

«Ascoltami bene, Mark» sussurrò dolcemente «Non posso accompagnarti davanti al Malefico, ma sappi che con il cuore e con il pensiero sarò lì con te. Appena sarà possibile ti libererò da questo sgradevole sortilegio e tornerai a essere il ragazzo sveglio e intelligente che ho conosciuto. Ora devo sparire, ma ricorda, sono sempre con te!» Chrisell pose le sue labbra su quelle di lui, poi dei passi pesanti lungo il corridoio la spronarono a svanire. Taresh irruppe nella cella scrutando nervosamente in ogni angolo.

Mentre percorreva il corridoio, ancora una volta aveva avuto la percezione che qualcosa di magico si diffondesse oltre la porta di quercia. Eppure, non colse nulla di strano. Il ragazzo era lì dove l’aveva lasciato, con la stessa espressione ebete stampata sul volto. Niente affatto convinto, il gigante annusò l’aria come un cane da caccia che segue l’usta, la traccia olfattiva lasciata da una preda.

Chrisell, ancora presente ma del tutto invisibile, si era affrettata ad avvolgere la stanza in una bolla protettiva che escludeva ogni suono, rumore e odore, mentre su se stessa aveva fatto calare un incantesimo d’occultamento.

Per qualche istante Taresh si meravigliò di non percepire altro che il respiro del prigioniero. Dove era finito il suono del gocciolio dell’acqua che cadeva in uno stillicidio continuo dal soffitto? E lo squittio dei topi che albergavano tranquillamente negli anfratti delle pareti? E come mai non avvertiva l’odore dell’umidità e della muffa che imbrattavano i muri?

Di particolari strani ce n’erano abbastanza da metterlo in guardia.

Ma la silfide ne lesse il disagio e con un gesto veloce e preciso cancellò ogni dubbio dalla mente dello sgherro.  Agli occhi di Taresh, la cella tornò a essere quel luogo inospitale e desolato che era sempre stata, e ormai preso dal pensiero del prigioniero, lo afferrò per le braccia, sollevandolo dal pavimento e trascinandolo nella sala del trono.

Mark continuava a non rendersi conto di quanto avveniva. I suoi passi erano pesanti, così come la sua testa era vuota. Le immagini che gli giunsero lungo il breve tragitto erano distorte, appannate. Parecchie volte inciampò in ostacoli che non aveva visto, e avrebbe rischiato di cadere se non fosse stato per il sostegno del gigante.

«Per tutti i diavoli! Cerca di camminare dritto!» imprecava continuamente Taresh, ma Mark sembrava davvero un burattino che, in alcuni tratti, doveva essere sollevato di peso.

«Ma cosa ti è successo da ridurti in questo stato, sottospecie di feccia umana? La prigionia ti ha spappolato il cervello?» le domande caddero nel vuoto, il prigioniero non era in grado di rispondere.

«Malefico sarà soddisfatto» concluse tra sé il gigante, quindi fecero il loro ingresso nella sala del trono. 

Al passaggio del prigioniero, i cortigiani mormorarono. Nel regno in cui si vedevano normalmente creature dall’aspetto alieno, deformi o mostruosi, non era affatto usuale osservare da vicino un essere umano, e Mark nell’aspetto era del tutto simile a Zephar. Ma il prigioniero appariva anche l’esatto contrario del Malefico. Il sovrano aveva una stazza possente accompagnata da un’aura oscura, minacciosa, mentre il fisico del giovane, debilitato dalle privazioni, appariva minuto. Mark aveva capelli chiari e occhi azzurri ammalianti, anche se in quel momento vagavano sui presenti con espressione spenta, mentre quelli dell’antagonista brillavano come lucida ossidiana.

Il brusio si prolungò per qualche minuto, anche mentre i due, raggiunta la marmorea scalinata che portava al trono, vi sostarono in attesa.

Taresh si guardò intorno in modo nervoso. Nell’aria aleggiava un sentore d’inquietudine, paura e persino ribrezzo. Alcuni cortigiani avevano un atteggiamento timoroso, mentre lo sguardo di altri risaltava, allucinato, quasi esaltato.

Cos’era accaduto in quella sala durante la sua breve assenza, si domandò il gigante. La regale sedia, a parte i rettili, era vuota, ma il pavimento al di sotto di essa era reso viscido dal sangue fresco. Evidentemente vi era stata un’esecuzione e non era ancora stato impartito agli inservienti l’ordine di ripulire.

Lo sgherro sogghignò mentre rilevava che tra i consiglieri raggruppati in un angolo mancava proprio quello che aveva visto discutere con Zephar. Nella sala risuonò improvviso il gracchiare sonoro delle arpie, e Taresh si girò giusto in tempo per vedere le orripilanti creature, per metà uccello e per l’altra metà umane, contendersi un pezzo di carne sanguinolenta. In un groviglio di ali, di penne aleggianti, di artigli e di becchi intravide sul fondo della gabbia lembi di stoffa dello stesso colore del mantello indossato dal consigliere e, suo malgrado, il gigante rabbrividì.

Era stato dunque il sentore della sofferenza, della morte, quell’immane senso d’angoscia che opprime sempre i condannati ad averlo investito al suo ingresso.  A Taresh parve quasi di poter sentire le urla di dolore del malcapitato. Per un attimo, il pensiero che potesse capitare la stessa sorte anche lui lo assalì, ma tentò di scacciare l’orribile sensazione di gelo. In fondo bastava assecondare, ubbidire senza contraddire né manifestare dissenso al sovrano, per continuare a vivere una vita abbastanza tranquilla.

Il gigante abbandonò la visione della carneficina che stava avvenendo nella gabbia per concentrarsi sull’indole del suo re. Il Signore del male era un negromante che amava sorprendere i suoi sudditi, suggestionarli e intimidirli con le sue conoscenze delle arti magiche e oscure. Taresh pensò che l’assenza di Zephar si fosse prolungata troppo, e che da lì a poco avrebbe fatto un’apparizione teatrale.

Difatti, dopo pochi istanti si udì un forte tonfo e in una nube densa di fumo acre comparve la figura imponente del sovrano. Si zittirono tutti, persino le arpie smisero di combattere per osservare i movimenti del proprio padrone.

Zephar si accomodò sul trono, e fu subito circondato dalle sue amate serpi, che fino allora inutilmente si erano dimenate nei pressi delle gabbie, in attesa di un bocconcino goloso sfuggito alle arpie. Lo sguardo del re percorse la sala per poi posarsi in modo glaciale sul prigioniero, che era parso del tutto insensibile agli strepiti appena cessati delle arpie e alle infide occhiate in cui lo avevano avvolto le serpi.

Una strana atmosfera d’attesa calò nel vasto ambiente. I presenti erano tutti con il fiato sospeso ad attendere che Malefico prendesse la parola, ma il sovrano taceva, limitandosi a studiare con attenzione il giovane costretto a inginocchiarsi da una poderosa spinta assestatagli sulla schiena da Taresh.

L’espressione del re rimase indecifrabile; nessuno era in grado di intuire il suo scetticismo. Zephar non era affatto convinto dell’ottusità scesa a lambire la mente del ragazzo, cosicché aveva escluso ogni altro suono e visione concentrandosi su di lui e cercando di coglierne il minimo segnale d'intelligenza.

Il viso di Mark rimase immobile quanto quello del re. Lo sguardo inesorabilmente vacuo, fisso una spanna al di sopra della regale figura.

“Nessun segnale di vitalità e di coscienza. Se sta fingendo è un’ottima interpretazione” pensò il sovrano, poi fece un gesto improvviso e nelle sue mani apparve una sfera infuocata, che lanciò immediatamente contro il viso del ragazzo. “Vediamo sin dove può arrivare questa finzione.”

Purtroppo, la mente di Mark ottenebrata dall’incantesimo non era in grado di discernere il

pericolo, e se il proiettile fosse stato reale lo avrebbe centrato in pieno.

Abbacinati dalla finta esplosione, i presenti distinsero soltanto quel globo di luce abbagliante accompagnato da un gran fragore; si coprirono il volto e di seguito impiegarono qualche istante a riacquistare la vista.

Mark, invece, non reagì. La percezione dell’abbaglio giunse in ritardo nella sua mente, così come lo scoppio, ma la sua coscienza non distinse nemmeno la situazione di pericolo.

Non ancora del tutto convinto, Zephar decise di fare un ulteriore tentativo.

“Aiutami tu a smascherare questo imbroglione!” pensò afferrando con delicatezza una delle sue amate serpi, quindi, dopo aver posato un bacio sul capo triangolare, con una mossa repentina la lanciò addosso al giovane.

Le spire della serpe s’attorcigliarono intorno al collo del ragazzo e si strinsero mentre la coda e la linguetta biforcuta presero a vibrare davanti ai suoi occhi azzurri.

La situazione sarebbe risultata traumatica per Mark se fosse stato vigile, e il cuore gli sarebbe carambolato in petto per l’orrore, ma non era cosciente, e avvertì soltanto la stretta alla gola che gli impediva di respirare. Il suo volto arrossì, diventando ben presto cianotico, e fu solo l’intervento tempestivo del re a salvarlo dal soffocamento.

«Non esagerare, piccola mia. Noi non vogliamo che questo giovane tanto promettente ci lasci così prematuramente. Non è vero?»

 Il sovrano tese le mani e la serpe, con un guizzo, mollò la presa, quindi contorcendosi tornò dal suo padrone.

Mark tossì a lungo prima di riuscire a riprendere fiato.

Zephar sorrise: «Bene! Bene, mia piccola amica! Il nostro giovane Mark è veramente pronto per servirci con alacrità e devozione. Hai qualche suggerimento, mia cara, su quali compiti potremmo affidargli?»

La serpe fece guizzare velocemente la linguetta, quindi, sibilando, avvicinò la testolina all'orecchio del suo sovrano. Nessuno dei presenti fu in grado di capire quello che l’essere ripugnante gli bisbigliò all’orecchio, ma quando si girò verso il ragazzo, un sorriso satanico aleggiava sul volto del tiranno.

«Credo proprio che tu mi abbia suggerito bene, mia cara amica fedele! Quale compito migliore per un prode scudiero? E quale esempio migliore per un puledro restio all'ubbidienza? E così sia!» esclamò Malefico con enfasi, poi si rivolse a Taresh, rimasto ai piedi del trono in attesa degli ordini. 

«Voglio che il prigioniero venga condotto nelle scuderie reali insieme all’unicorno ribelle. Sarà lui a occuparsi sia della salute che dell’educazione di quel testardo di un puledro. Ma nel frattempo tu, mio fido Taresh, li dovrai tenere a bada. Ricorda: risponderai personalmente nel caso riuscissero a fuggire.»

«Sì, mio signore!» esclamò lo sgherro battendosi con vigore un pugno sul petto.

Zephar annuì, poi sembrò volere aggiungere un ultimo avvertimento rivolto al prigioniero, ma lo sguardo del tutto vuoto di Mark lo convinse a desistere.

«Vai, Taresh, e tienimi informato su ogni minimo cambiamento; se ce ne fossero» terminò quasi in un bisbiglio.

Ancora una volta Mark venne trascinato via, per essere poi condotto nelle stalle occupate dalle creature alate del sovrano.

Le scuderie erano situate in un edificio diviso in tanti scomparti, tutti occupati, tranne quelli posti più in fondo. L’arrivo del prigioniero venne salutato da un grande digrignare di denti e da un sonoro coro di nitriti nervosi.  Le creature, per metà pegasi e per metà unicorni, stronfiarono e scartarono, allontanandosi da quell’essere che emanava un odore per loro sgradevole. Gli occhi torvi di una decina di animali si puntarono sul giovane stalliere che, del tutto ignaro di tanto malanimo, continuò a trascinarsi in modo svogliato.

Taresh cercò un box vuoto e vi scaraventò in malo modo il ragazzo.

Mark finì bocconi sulla paglia e lo sgherro fu costretto a sollevarlo per il colletto e metterlo seduto. «Stammi bene a sentire. Non sono affatto sicuro che il sovrano abbia ricevuto un buon suggerimento da quell’essere infido e strisciante di cui si fida molto e non sono contento che tu sia qui. Ma ormai ci sei e non posso fare altro che sopportarti. Non so se stai fingendo o se davvero ti sei rimbambito, comunque sia ti voglio dare un avvertimento. Cerca di non crearmi problemi e tutto andrà bene, ma fai solo una mossa falsa e in questa stalla finirai i tuoi giorni. Mi sono spiegato?» gli ruggì sul volto.

Il ragazzo sbatté le palpebre, ma non perché avesse inteso la lunga tiritera, bensì per la tanfata di alito cattivo emessa dal proprio sorvegliante.

Esasperato dall’indolenza dimostrata dal giovane, Taresh scrollò la testa, quindi se ne andò. I Pegasi Oscuri continuarono a essere inquieti per la presenza dell’essere umano di cui avvertivano l’odore. Per un po’, tra quei box separati da paratie di legno risuonò soltanto lo scalpitio degli zoccoli, lo sbruffare e lo scuotere delle criniere; quindi all’improvviso scese uno strano silenzio.

Persino Mark, nella sua incoscienza, avvertì il cambiamento.

continua...

                                              

          

Racconto pubblicato dalla MorganMiller edizioni
Immagini Pinterest e Phoneky

7 commenti:

  1. Buonasera Vivi, come stai!
    questo post e dolcissimo, Gyldor e la nostra guida di luce,
    il silfide ha fatto uno scherzo all'amato guardiano del regno.

    Sei un'ispirazione per molti scrittori fantasy,
    oltre che produttori di film fantastici, mio ​​cara amica! 👸

    Ti mando un grandissimo abbraccio pieno di affetto ꒱ ࿐ ♡ ˚. *

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  2. Una narrazione fluida e mozzafiato. Un racconto con tanti colpi di scena e una trama intrigante. L'amore che unisce i giovani protagonisti a due e a quattro zampe è tenero ed emozionante. Complimenti.

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  3. Che fantasia. Molto scorrevole. Ciao.

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  4. Mi piace tantissimo leggerti, è sempre molto avvincente!!!!

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  5. A questa parte mi ero dovuta fermare un po' perché c'erano troppi elementi perturbanti che non mi permettevano di godermi la lettura. Alla fine sono riuscita a riprendere con calma a godermi questa bellissima avventura.
    Non vedo l'ora di leggere la continuazione 😉

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  6. Mi piace tantissimo questo racconto. Diventa sempre più avvincente. Un abbraccio a te.

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