Fantasia

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La brama della scrittura arde come una fiamma in un cuor propenso. Vivì

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venerdì 16 luglio 2021

Ali candide nel cielo (8a parte)

 




La parata


I giorni di festa proclamati dal tiranno furono annunciati, sin dall'alba, dal suono profondo e prolungato dei lunghissimi corni d'appoggio.

E, purtroppo, per Gylldor e Alyser ebbe inizio anche il fatidico plenilunio.

Gylldor tentò di sottrarsi e di contrastare la trasformazione con ogni singolo muscolo e nervo del suo corpo e, di conseguenza, il terribile evento si tramutò in un dramma. Fu molto più doloroso e traumatico di quanto avrebbe dovuto essere, e quella sofferenza fu del tutto inutile. Il giovane unicorno dovette subire la trasformazione del corpo con ribrezzo e orrore: il suo manto ridivenne nero come la pece e le sue ali si spiegarono, mentre il corno si allungò sulla fronte. La creatura alata si manifestò in tutto il suo terribile splendore. Solo la sua mente, i suoi pensieri e i suoi ricordi rimasero inalterati, eppure dovette prendere atto che la sua indole, in genere mite, era diventata ombrosa e irascibile.

Gylldor poteva solo immaginare il suo nuovo aspetto. Se sbirciava attraverso gli spiragli delle paratie di legno gli era possibile vedere un intero branco di creature alate che scorrazzavano all’esterno, in piena libertà, tra i vasti recinti che si estendevano a vista d’occhio.

Le rincorse, le cavalcate con le criniere al vento dei Pegasi Oscuri, gli procurarono un moto di rabbia, ma intuì ben presto che si trattava soltanto di gelosia.

“Per tutte le stelle del firmamento! Sono diventato anche io come loro, con l’unica differenza che io sono prigioniero mentre loro possono almeno galoppare come fossero liberi” pensò, invidiando le sgroppate e le impennate improvvise dei suoi simili. 

Ricordava alla perfezione il piacere di avvertire le carezze e le sferzate del vento sul muso e sul manto, e per qualche istante gli parve di avvertire l’odore dell’erba e di umido del terreno calpestato in profondità dai suoi zoccoli.

“Potrò mai tornare a galoppare libero con Mark?” si domandò con una vena di profonda malinconia.  Il ricordo del suo giovane amico gli procurò una stretta alla bocca dello stomaco.

“Dove sei, Mark? Spero che almeno tu ce l’abbia fatta a metterti in salvo!”

In quel momento uno dei pegasi staccò i propri zoccoli dal prato, e fu subito ripreso e redarguito dagli sgherri che montavano di guardia. Quelle creature, per quanto sorvegliate, godevano di un minimo di libertà, e lui le invidiò ancor di più “Cosa posso fare per tornare libero come loro?”

«Dobbiamo soltanto agire con accortezza e astuzia, principe degli unicorni» gli sussurrò la dama, appena apparsa al suo fianco.

Gylldor trasalì. Non si aspettava quell’apparizione, ma subito i suoi fianchi tremarono d’emozione.

«Mia signora» esclamò, piegando i garretti e la testa in un inchino appena accennato. Vaghe reminiscenze balenarono nella sua mente, ma tra tutte spiccò il bel viso della dama mentre dava indicazioni e consigli alla silfide per portarlo in salvo. 

«Ti ricordi di me, mi pare incredibile! Quando ti ho visto la prima volta eri talmente piccolo!»

«Non rammento il tuo nome, ma la tua immagine è rimasta impressa nella mia memoria.» «Non posso che esserne felice! Sono la signora del reame boscoso. Il mio nome è Silvestre, e sono qui per aiutare te e i tuoi amici.»

«Dimmi di loro, ti prego! Come stanno Mark e Chrisell e...»

«Alyser?» terminò sorridendo lei.

Gylldor scosse la testa, confuso, «Sì… Alyser. Come stanno tutti?»

«Mark sta bene ed è con la tua amica, mentre per Chrisell la situazione è più complicata.  Con Mark abbiamo elaborato un piano che ora ti esporrò. Occorre anche la tua collaborazione, oltre a quella di Alyser.»

«Sono prigioniero, come credi che possa esserti utile?»

«Se ti dimostrerai arrendevole, non lo sarai ancora per molto. Il sovrano considera sia te che la tua amica gli esemplari più belli della sua collezione, e ha fretta di mettervi in mostra durante la parata. Per cui ti consiglio di mettere a tacere il tuo orgoglio, principe, e di palesare la massima docilità. Solo così il nostro piano potrà riuscire.»

«Per quanto mi sarà possibile, farò come suggerisci, mia signora.»

«Bene. Allora ascolta con attenzione.»

Dama Silvestre impiegò qualche minuto a spiegare quanto aveva elaborato con il giovane stalliere. Gylldor ascoltò con pazienza, senza mai interrompere. Il piano sembrava perfetto in ogni minimo particolare e, con un briciolo di fortuna, aveva anche buone probabilità di riuscire.

«Alyser è a conoscenza di quanto avete escogitato?»

«La tua amica sa quello che deve fare.  E ora anche tu, principe. Ma adesso devo andare. Se tutto va come spero, tu e i tuoi amici sarete liberi, e potrai tornare a regnare sul tuo popolo.» «Mi auguro che sia così, mia signora» rispose Gylldor, chinando la testa in un gesto cortese. «A presto, principe degli unicorni.» si congedò la dama.


Nelle ore che precedettero la parata, Mark rimase nascosto nelle stalle sempre piuttosto vicino ad Alyser, reso pressoché invisibile da alcune cataste di balle di fieno. Tra i vari scomparti regnava la confusione totale. Ogni addetto si aggirava in modo frenetico tra le creature destinate a sfilare durante la celebrazione, costringendo il ragazzo a spostarsi spesso per non essere scoperto.

Le lunghe code e le folte criniere dovevano essere intrecciate in modo particolare, e sia gli stalloni che le giumente andavano bardate con armature in cuoio e argento finemente cesellate. I giovani aiutanti s’aggiravano indaffarati a lucidare le barde e le testiere protettive dei Pegasi Oscuri, mentre gli stallieri ne strigliavano i manti e ne intrecciavano i crini. I lunghi pennacchi bianchi e neri, gli stessi colori delle barde e dei vessilli, svettarono ben presto sulle fiere teste dei pegasi, che si muovevano dimostrando un po’ di disagio per tutte quelle attenzioni a cui non erano abituati.  Persino i puledri erano nervosi e aggiungevano confusione con i loro sommessi ma continui nitriti.

Anche Alyser fu soggetta alle cure decise di un addetto dalle maniere piuttosto rudi, che la lavò, la massaggiò e la strigliò a tal punto dal renderne il manto lucido e splendente. Ma quando l’addetto tentò di infilarle la testiera d’argento, Alyser scartò e nitrì minacciosa. L’uomo fu costretto a chiedere aiuto e a usare la forza per imporre il pezzo di armatura alla riluttante giumenta.

Mark, da parte sua, fu costretto ad assistere alla scena senza poter intervenire.

“Coraggio, Alyser! Ti ci abituerai presto “la sostenne mentalmente.

Solo quando la femmina di unicorno fu bardata completamente venne condotta all’esterno e lasciata in un recinto, in attesa di poterla imbrigliare alla biga reale.

La confusione nelle stalle si smorzò soltanto quando tutti i pegasi furono portati fuori, legati e impastoiati per impedire che si muovessero e rendessero vano il lavoro degli stallieri. All’arrivo sulla scena di Gylldor, il silenzio scese improvviso, e tutti gli sguardi puntarono sul principe degli unicorni.

“Regale! “fu il pensiero di un astante. “Maestoso!” realizzò un altro nell’ammirare l’altezza e la postura elegante del giovane principe.

Gylldor era stato bardato come Alyser e come gli altri, eppure il suo aspetto predominava su tutti. I pegasi istintivamente si allargarono nel recinto facendo spazio al nuovo arrivato e alla biga reale trainata a mano dagli sgherri di Malefico.

“Gylldor!”  il messaggio mentale arrivò in modo distinto tra i pensieri cupi dell’unicorno e portò sollievo al malessere procuratogli dalla costrizione dell’armatura e della testiera imposte.

“Alyser!” rispose lui nello stesso modo prima ancora di distinguerla tra la marea di barde, gualdrappe e pennacchi al vento.

«Muoviti!» gli urlò lo sgherro spingendolo brutalmente nel recinto.

Gylldor, attirato dal dolce richiamo, per la prima volta in tante ore non si oppose e si lasciò sospingere verso la giumenta.  Per i due non ci fu nemmeno il tempo di porsi domande sulle intenzioni degli addetti, che apparvero subito chiare, considerato che sospinsero la biga dietro di loro e poi trafficarono per imbrigliarli in coppia.

“Come stai, Alyser? Ti hanno fatto del male?”

“No, principe. Non più di tanto. E tu, come stai?”

“Non sopporto la bardatura e questa costrizione! Non sopporto la prigionia! Sono nato per governare, non per sottomettermi!”

“Hai ragione! Ma dobbiamo avere pazienza e aspettare il momento giusto. Se ci ribellassimo adesso metteremmo in serio dubbio la riuscita del piano di Dama Silvestre.”

“Non vedo l’ora di agire, Alyser! Questa attesa mi innervosisce ancora di più!”

Proprio in quel momento si udirono gli squilli di tromba che annunciavano l’arrivo del sovrano, e gli stallieri si ritirarono.

Malefico avanzava con passo solenne, sostenendo su un braccio una delle arpie.  Altre due avevano preso posto sulle barre laterali della biga reale. Quando il re fu alla guida, l’arpia gracchiò con grande frullare di ali, quindi con un balzo si appollaiò accanto alle altre, fulminando con lo sguardo le persone ai lati.

Il corteo si compose lentamente ma con grande disciplina, guidato da Taresh. I nitriti di dolore e di rabbia vennero superati dal sibilare e dagli schiocchi sonori delle fruste in aria. Le ali dei pegasi frullavano nervosamente e gli zoccoli rompevano il terreno, mentre le creature venivano aggiogate davanti alle bighe che avrebbero scortato il sovrano.


Gylldor ed Alyser furono posizionati al centro della sfilata militare, distanziati di qualche decina di metri rispetto al seguito di carri.

I due pegasi erano di una bellezza mozzafiato, e il re, che indossava soltanto un minuscolo gonnellino e un elmo d'argento, prese posto alla guida con un balzo che mise in mostra tutta l’elasticità del suo fisico aitante. Dopo aver messo la faretra sulle spalle e imbracciato il suo arco, Zephar afferrò le briglie, sotto lo sguardo estasiato della folla. E quando infine ritenne che tutti fossero pronti, alzò il braccio destro tenendolo sospeso in alto, e il bracciale d’argento che gli guarniva il possente bicipite emanò un bagliore accecante.

Silvestre, nascosta tra la folla, osservò per un istante più del dovuto il torace lustro di olio del sovrano; i muscoli poderosi guizzarono sotto la pelle, attirando lo sguardo di tutto il genere femminile.

“Non c’è che dire, è veramente affascinante!” si disse la dama. “Ma dietro a tanta bellezza si cela soltanto altrettanta malvagità” concluse.  Silvestre si riscosse e tentò un approccio mentale con i due pegasi.

“C’è tanta confusione, ma vale comunque la pena di tentare “, proprio in quel momento lo sguardo di Gylldor percorse la folla, cercandola, e infine trovandola. Tra le due creature magiche avvenne una connessione mentale:” È giunto il momento, principe degli unicorni. Avverti la tua amica di tenersi pronta. “

“Lo saremo, mia signora, stai tranquilla. La nostra collera è di tal portata che non vediamo l’ora di agire!”

“Bene, ma se posso darti un consiglio, principe, non lasciare che sia la rabbia a guidarti nella battaglia, ma fidati del tuo istinto e della tua ragione. “

Gylldor non ebbe modo di ribattere. La frusta del sovrano sibilò nell’aria e le redini strattonarono con decisione le due cavalcature, che si mossero all’unisono, allontanandosi dalla fata.

La folla esultò. Nel regno non si era mai vista una simile manifestazione di forza, potenza e di eguale, superba bellezza. Gli alabardieri iniziarono a marciare fieri e marziali nelle loro armature, con elmi dai cimieri bianchi e neri al vento; seguivano i balestrieri, e al seguito la scorta del re su bighe. I vessilli con i colori del sovrano garrivano al vento, e nel momento in cui il re passò, dalla folla si levò un’ovazione. 

Quando il corteo giunse a metà percorso, Malefico, con i suoi modi brutali, fece schioccare la frusta, dando nel contempo una rude tirata ai morsi delle due cavalcature. Alyser nitrì di dolore e Gylldor, colpito dalla sferzata ai fianchi, trasalì.

Il pegaso si fermò, costringendo la compagna a fare altrettanto, quindi il lungo collo volse di scatto all’indietro, verso il sovrano.  Gli occhi scuri del principe degli unicorni fiammeggiarono di collera e di sdegno sulla mitica figura alla guida della biga. Gli sguardi delle due creature magiche s’incrociarono, rimanendo incatenati.

Le arpie percepirono le brusche emozioni e le correnti di rabbia e di sfida intercorse tra i due e si mossero sulle zampe in modo agitato, emettendo versi graffianti di gola. Le ali frullarono, pronte a prendere il volo.

Gylldor ignorò il trio di creature orripilanti e le loro minacce gracchianti, continuando imperterrito a sfidare il sovrano.

Gli spettatori più vicini si zittirono e, lentamente, un silenzio innaturale scese tra la folla. “Gylldor!” il richiamo mentale arrivò inaspettato, dissipando lievemente le brume di furore che avevano annebbiato i pensieri del puledro.

“Calmati, ti prego! Non mandare a monte il piano della Dama del bosco!”

Gylldor riconobbe la voce soave della sua amica ed ebbe un fremito.

“Controlla i tuoi nervi!” intervenne la dama “Il momento della rivalsa è ormai vicino. Abbi pazienza!”

Quelle esortazioni amichevoli lenirono il dolore procurato dalla sferza e, la rabbia provata, come per incanto si sopì.  La brace che ardeva nello sguardo di Gylldor si smorzò, ma solo in apparenza, come un fuoco che cova sotto la cenere, pronto a divampare alla minima folata di vento. Il puledro accantonò l’idea di ribellarsi e tornò a fissare la sua attenzione in avanti, senza peraltro ravvisare il nuovo brusio che si spargeva tra la folla.

«Mi fa piacere constatare che hai messo giudizio. Per il tuo bene ricorda sempre che qui non sei più un principe, ma piuttosto uno schiavo!»

Ancora una volta Gylldor si sforzò d’ignorare la provocazione del sovrano e si concentrò sulla ricerca della dama tra la gente.

“Per quanto tempo ancora riuscirò a contenere la sua collera?” si domandò Silvestre, preoccupata per il nervosismo dimostrato dal pegaso.

“Sono qui, poco distante da te. Alla tua destra, principe” gli suggerì poi. Il pegaso seguì l’indicazione mentale e, tra tutti gli astanti assiepati ai lati, la riconobbe.

Silvestre rimaneva nascosta da alcune persone, con il cappuccio del mantello calato sul viso. Lei alzò il capo un solo istante e gli sorrise. Eppure, bastò quello a rinfrancare lo spirito del puledro. Nessuno dei due si accorse che gli occhi del Malefico scorrevano con grande attenzione sulla folla. Ancora una volta le redini strattonarono brutalmente il morso di Gylldor, ferendolo e facendogli sanguinare la bocca. Il sapore metallico del suo sangue procurò al pegaso un brivido, poi sia lui che Alyser furono costretti a muoversi.

 


La luna nera

Mark, poco distante, aveva assistito alla scena e aveva colto lo sguardo penetrante che il sovrano aveva lasciato scorrere sugli spettatori più vicini alla biga per soffermarsi infine, ma solo per un istante e con aria indifferente, sull’elegante figura femminile. 

Il ragazzo si era subito allarmato. Ma come fare per avvertire la Dama del bosco del probabile pericolo?

La gente, eccitata dal nervosismo dimostrato dal principe degli unicorni, aveva percepito il fiume di violente emozioni represse, e forse desiderato il verificarsi di qualche evento non previsto e spettacolare. La delusione che serpeggiò fu quasi tangibile. Le persone si mossero in modo convulso, a scatto, cercando di non perdere di vista la biga e seguendola, così il ragazzo venne sospinto e trascinato fino a perdere di vista lui stesso, nella confusione, l’azzurro mantello della dama.

Come Mark, anche Silvestre venne trascinata via, lontana dal corteo reale, troppo distante anche per tentare una nuova connessione mentale con i suoi protetti. 

Gylldor e Alyser avvertirono il vuoto di quel distacco e si scambiarono un’occhiata carica di apprensione. Si era nel primo pomeriggio e il sole era ancora alto, le ore di luce avrebbero dovuto essere ancora molte. Eppure, stranamente, la luna piena aveva già compiuto una completa evoluzione in cielo e aveva quasi raggiunto il sole, che splendeva come un diamante dopo aver appena superato lo zenit. Ma nonostante lo splendore del sole, le lunghe ombre d’un crepuscolo assai precoce già avviluppavano i dintorni.

Che cosa stava avvenendo? Dal basso sembrava quasi che dovesse accadere uno scontro titanico tra i due astri, e la gente iniziò a guardare con sospetto e timore il cielo di un blu tendente all’indaco, davvero insolito per quell’ora.

I tamburi, che precedevano la processione, annunciarono l’arrivo nell’arena, allestita apposta per la manifestazione, e i trombettieri, in attesa di quel segnale sugli spalti, ne rilanciarono l’avviso con un altisonante squillare. Gli spettatori, distratti dal suono, dimenticarono la preoccupazione e si alzarono all’unisono in attesa della comparsa del corteo.

L’arrivo degli alabardieri nelle loro corazze lucenti e con il loro meccanico passo marziale venne accolto con lo scrosciare di un applauso entusiasta, ma quando la biga reale spuntò dalla galleria che immetteva nell’arena, nello stadio risuonò una grandiosa ovazione.

La figura del sovrano alla guida delle due creature alate era spettacolare. Zephar alzò il braccio sinistro per un saluto alla folla, mentre con il destro teneva le redini. Le arpie, spaventate dal rumore assordante, frullarono le ali e gracchiarono nervose, spaventando gli spettatori più vicini.

Seguito da due carri di scorta, il re guidò al piccolo trotto la pariglia di pegasi nel centro della pista, quindi si fermò e si concesse uno sguardo soddisfatto abbracciando in modo circolare gli spalti gremiti di spettatori entusiasti e godendosi il suo momento di trionfo. Quel giorno erano in programmazione varie sfide: gare di agilità, di velocità e di forza. Corse equestri e incontri di lotta e di armi a cui anche il re avrebbe partecipato per dimostrare la propria supremazia.

Malefico si era preparato da mesi all’evento, e mentre scrutava tra la folla, era convinto di non avere rivali. La sua attenzione si posò poi su una fila di uomini schierati in attesa, seminudi e dal fisico possente. I volti granitici e impassibili dei guerrieri sostennero lo sguardo del sovrano senza dimostrare timore o soggezione.

“Dei veri gladiatori!” pensò “Ma ognuno di loro perderà l’arroganza tanto ostentata!” concluse con un ghigno.

In quel momento i trombettieri emisero un ultimo e breve squillo di tromba, e nello stadio le urla scemarono fino a ridursi a un brusio, e infine a un silenzio carico di attese. Il re poté così iniziare, con voce stentorea, il suo proclama: «Miei sudditi, noto con piacere come tutti i miei sforzi per rendere piacevole questa giornata di festa siano stati apprezzati. Tutti quanti voi sapete quanto io tenga al benessere fisico e mentale del mio popolo.» Quest’ultima affermazione venne salutata con versi d’imbarazzo provenienti da vari punti e perciò identificabili.

Zephar si limitò a freddare con un’occhiata malevola la vasta platea, quindi proseguì: «È per questo motivo che mi sono preso l’impegno di organizzare questa manifestazione, che continuerà con le prossime sfide e che vedrà il suo epilogo con il grande banchetto collettivo allestito nelle vie, al quale siete tutti invitati. Desidero che la fama della mia magnanimità oltrepassi i confini del regno e che giunga alle orecchie di tutti i sudditi dei reami limitrofi.» Dagli spalti si levò un brusio di compiacimento, e Zephar lasciò fare, approfittando di quei momenti per scrutare i volti che lo circondavano. 

La sua attenzione si soffermò ancora una volta su un’esile figura femminile avvolta in un ampio mantello, poi passò oltre.

Silvestre, a sua volta intenta a cercare Mark tra la folla, non s’accorse nemmeno dello sguardo del sovrano.

Il ragazzo, che l’aveva individuata già da vari minuti, tentava di attirarne l’attenzione, senza tuttavia riuscirci. Ancora una volta aveva intercettato lo sguardo malevolo che il sovrano aveva riservato alla dama, ma non sapeva come avvertirla.

All’improvviso, le cose precipitarono senza che Mark potesse intervenire. Il ragazzo vide il pericolo avvicinarsi alle spalle della dama e fu costretto ad assistere sia all’assalto delle guardie del re che alla conseguente cattura di Silvestre.

Impotente, Mark la vide trascinare via, quindi la perse di vista.  Anche Gylldor ed Alyser assistettero inorriditi alla cattura.

Taresh e Norok avevano afferrato per le braccia la fata e la trasportavano attraverso gli spalti gremiti di gente. Non potendo sottrarsi alla presa brutale dei due giganteschi sgherri, Silvestre si ripromise di risparmiare le forze per un’occasione più favorevole e si concentrò invece sul lanciare un messaggio mentale. “Mark, dove sei?”

Il ragazzo avvertì il richiamo insinuarsi deciso tra i suoi pensieri e rispose: “Sono qui alla tua destra, mia signora.”

Silvestre, consapevole di avere gli occhi del Malefico puntati addosso, non commise l’errore di voltarsi denunciando quindi la presenza del ragazzo, ma continuò a guardare con aria di sfida la figura del Malefico.

“Tieniti pronto! Abbiamo bisogno del tuo aiuto!”

“Ma cosa posso fare io da solo? Lo stadio è pieno di guardie!”

“Ricordi l’ampolla che Chrisell ti ha affidato? Si tratta di un potente talismano in grado di cristallizzare il tempo e immobilizzare tutti i presenti. Basterà che tu ne evochi il potere amalgamandone il liquido e spargendolo intorno, ma ricorda, hai una sola possibilità. Devi farlo al momento giusto!”

Mark, sopraffatto dagli eventi e dalla responsabilità, tentò una debole obiezione: “Ma signora…”

Lei lo interruppe: “Non c’è più tempo per i dubbi e le domande. Siamo nelle tue mani. Ora tutto dipende da te!”

Il messaggio della dama si perse in un labile sussurro nella mente di Mark, poi fu solo devastante silenzio. Ancora provato dall’incertezza e dalla paura, il suo sguardo si puntò al centro della pista, sulla biga reale, e lì intercettò quello di Gylldor.

“Non stare lì impalato! Se vuoi renderti utile devi avvicinarti alla pista!”

Il ragazzo stentò a riconoscere in quella voce cavernosa il suo migliore amico. Gylldor sembrava irrequieto, e scalpitava e stronfiava come mai prima. Tuttavia, non era solo il pegaso a essere nervoso. Le lunghe ombre della sera lambivano grandi porzioni dello stadio, e la gente, sconcertata dal precoce crepuscolo, iniziava a rumoreggiare.

“Che ti succede, Gylldor?” domandò preoccupato, seguendo quatto la direttiva del puledro. Ma Gylldor non rispose, e Mark, avvicinandosi, scoprì che il suo corpo era scosso da brividi inconsulti e che guardava in alto con occhio inorridito. Proprio là, dove la luna stava per incontrarsi con il sole e iniziava ad assumere una tinta rossastra.

Mark rabbrividì a sua volta. Che strano fenomeno stava per verificarsi nel cielo? E quel rosso era forse un cattivo presagio? Stava forse a significare il sangue delle innumerevoli vittime del Malefico?

“No! Si tratta solo di superstizione. Lassù non accadrà nulla di catastrofico!” si disse per tranquillizzarsi “Il vero dramma si verificherà qui sulla terra, se non mi muovo.”

Mark, nonostante la terrificante immagine balenata tra i suoi pensieri, proseguì fino ad arrivare ai limiti della pista, e lì si acquattò, nascondendosi alla vista.

Mentre l’agitazione aumentava tra gli spalti contagiando buona parte del pubblico, il fenomeno astrale proseguiva nel suo percorso e l’oscurità s’infittiva.

Zephar stesso ne era rimasto interdetto. Un’eclissi non era una novità per lui, ma quella che si stava verificando era di proporzioni enormi, e non era mai accaduta prima: la luna si era tinta di un incredibile cremisi, e la notte incombeva quando avrebbe dovuto essere ancora la luce a farla da padrona.

“Tra poco sarà buio pesto!” pensò preoccupato.

«Che siano accese tutte le torce!» ordinò agli inservienti più vicini lanciando occhiate ansiose sulla gente che rumoreggiava.  Poco prima, qualche spettatore aveva anche tentato di alzarsi per abbandonare lo stadio, ma per evitare che dilagasse il panico, le guardie lo avevano impedito con estrema decisione.

«Per quanto tempo credi di poter tenere a bada la paura di questa gente?»

Il suono di quella voce soave lo costrinse a voltarsi, e Malefico si ritrovò ad affogare nelle iridi color smeraldo di Silvestre.

La dama era tenuta avvinta per le braccia dai due giganti, e Zephar avvertì una morsa di gelosia per quel contatto. 

«Lasciatela!» ordinò avvicinandosi «E conducete qui l’altra prigioniera!»

Taresh esitò: «Sire, questa creatura possiede poteri inimmaginabili. Non credo sia prudente...»

Zephar lo fulminò con lo sguardo «Credi davvero che il tuo sovrano sia un novellino? Va ed esegui gli ordini!»

Solo quando i due sgherri lasciarono la pista, il sovrano si avvicinò alla prigioniera: «È opera tua questo prodigio?» domandò indicando il cielo mentre il sospetto prendeva campo nella sua mente.

La Dama del bosco sorrise divertita, tuttavia pensò fosse bene non smentire.

«Hai davvero una grande considerazione della mia magia, ciò nonostante non la temi!» «Sono il Signore di queste terre e non temo nessuno!» gli rispose lui inanellando una delle ciocche seriche di lei tra le dita. «Come vedi, nonostante la vastità delle tue conoscenze arcane, sei qui, mia prigioniera.»

Silvestre si scostò, sorpresa e stizzita. Sebbene tentasse di dominarsi, la sua voce tremò leggermente d’indignazione: «Sta attento, Zephar! Forse sarà proprio la tua arroganza a portarti alla perdizione!»



Mentre aspirava il profumo emanato dalla pelle di lei, Malefico non poté fare a meno di sorridere a sua volta: «Sei coraggiosa, amica mia. E se davvero sei tu l’artefice di questo fenomeno grandioso, devo riconoscere in te un’avversaria temibile.»

«Non toccarla!» L’urlo di Gylldor attirò l’attenzione del pubblico.

Il pegaso strattonò le redini e si sollevò sulle due zampe anteriori scalciando l’aria come impazzito.  Gli zoccoli tonfarono pesantemente, sollevando un polverone dall’impiantito. «Non sei degno di starle vicino!» aggiunse indignato, strattonando ancora con violenza i finimenti che lo tenevano costretto alle spranghe della biga.

Le lunghe ali nere tentarono di aprirsi, frullando inutilmente per via dello spazio insufficiente. Alyser, al suo fianco, assisteva impotente. Invano tentò di spostarsi, perché i movimenti frenetici del compagno le facevano sbattere la spranga sul fianco e sulle ali. Gylldor sembrava aver perso il lume della ragione, e la giumenta temette per la propria incolumità.

Le arpie, rimaste immobili a osservare, gracchiarono in modo minaccioso, quindi si sollevarono, iniziando una danza intimidatoria intorno ai pegasi e protendendo i temibili artigli, quasi a volerne ghermire le teste. 

Gylldor fu costretto a ritrarsi.

In quel momento, sulla pista arrivarono i due sgherri trascinando Chrisell, come non avesse peso. 

«Bene! Si può dire che adesso siamo al completo!» esclamò il sovrano.

Silvestre osservò con compassione l’eterea creatura. Il viso della silfide appariva ancora più emaciato, e lei avvertì una stretta al cuore. “Mia povera, piccola Chrisell.”

Chrisell sollevò lo sguardo, tenuto basso fino a quel momento. Le lacrime ne velarono le iridi verdi facendole apparire come due trasparenti laghi montani: “Perdonami, mia signora. Non sono riuscita a portare a termine il mio compito.”

“No! Sei tu che devi perdonarmi. Sono io che ho sbagliato. Non avrei dovuto addossarti tutta questa responsabilità, ma soprattutto non avrei dovuto sottovalutare l’astuzia di questo demone.”

Seccato dal prolungarsi del silenzio e subodorando un dialogo segreto tra le due creature magiche, Zephar s’interpose, stroncando qualsiasi comunicazione: «Ora basta tramare alle mie spalle!» esclamò stizzito afferrando la dama per allontanarla dalla silfide.

Silvestre fece una smorfia di dolore, e Gylldor tentò di scagliarsi in sua difesa, trattenuto a viva forza da alcuni sgherri e minacciato dalle arpie.

«Ti consiglio di stare fermo, principe degli schiavi, se ci tieni alla vita!»

«Non mi fai paura, demonio, e se fossi davvero un valoroso, mi affronteresti alla pari! Ma sono convinto che non lo farai, perché sei soltanto un pagliaccio che esibisce insegne reali senza averne il diritto e l’onore.»

La gente intorno mormorò allibita. Non era mai accaduto prima che un pegaso si ribellasse e sfidasse il Signore del male. Come avrebbe reagito Malefico?

Zephar era rimasto basito. Per fortuna le fiamme che incendiavano le torce colmavano di riverberi anche il suo volto, donandogli un certo colorito, altrimenti il popolo avrebbe percepito dal pallore la sua incertezza, interpretandola addirittura come viltà.

Taresh aveva osservato con stupore la reazione del suo sovrano e ne era rimasto allibito. Zephar sembrava soggiogato dalla bellezza della Dama del bosco e dalla regalità dirompente che emanava quel pegaso.

Il gigante si mosse a disagio, e rompendo il silenzio, si fece avanti: «Ordina, mio signore, e la vita di questo arrogante finirà tra mille tormenti.»

«No!» Ora l’ira di Malefico era palese, nella postura rigida come nei pugni contratti. I muscoli delle mascelle si contrassero ripetutamente, mentre cercava di controllarsi. Dopo aver respirato a fondo alcune volte, il sovrano finalmente si mosse: «No!» ripeté «Tocca a me soltanto lavare l’onta di queste ingiurie. Tu fai sgombrare l’arena. Voglio che tutti vedano come si difende un re!»

Taresh tirò un sospiro di sollievo. Quello era l’uomo che aveva conquistato a viva forza il suo regno sconfiggendo una marea di pretendenti, e che lui aveva sempre ammirato per il coraggio e la determinazione.

«Mio signore!» esclamò, battendosi il petto con un pugno e indietreggiando.

«Libera il pegaso!» ordinò Zephar.

Gylldor emise un nitrito di soddisfazione: finalmente era giunto il momento di prendersi la sua rivincita. Taresh lo liberò dai finimenti e dalle stanghe laterali, quindi, dopo aver afferrato Alyser per la cavezza, si allontanò dalla pista trascinandosi dietro la riottosa giumenta. 

Il principe degli unicorni, finalmente libero, scalpitò per l’emozione, poi si volse verso Malefico, già pronto alla lotta, e che nell'attesa faceva schioccare in aria la lunga frusta. «Quando avrò finito, e se ne rimarrà abbastanza, userò la tua pelle come zerbino, schiavo!» «Prima però, mi devi prendere» lo derise Gylldor, schivando la prima sferzata.

Poi, non ci fu più tempo per aggiungere alcunché. La situazione degenerò in pochi istanti. L’ultimo raggio di sole scomparve dietro il disco lunare e il cielo divenne completamente buio. L’eclissi era totale. Il corpo di Gylldor fu scosso da una serie di tremiti incontrollabili. Il pegaso emise un lungo nitrito di dolore. La trasformazione era giunta al culmine. Le ali si aprirono senza alcun controllo, le zampe pestarono ripetutamente il terreno, indietreggiando. Gli occhi sbarrati della creatura alata ne denunciavano lo smarrimento e la sofferenza; poi, così come il sole, il suo sguardò   si velò, e per qualche istante Gylldor perse il senno. Solo quando il dolore divenne sopportabile si guardò intorno, smarrito. Cos’era tutto quel clamore, e cosa ci faceva lui in mezzo a quella pista?  Chi era quell’uomo che brandiva la frusta e lo minacciava?

Gylldor non riconobbe Malefico, né tanto meno la dama e la silfide trascinate ai bordi dell’arena e trattenute a viva forza dagli sgherri.

Chi erano tutte quelle persone che lo guardavano con apprensione. Nella mente i pensieri e le immagini del suo recente passato si confondevano, sovrapponendosi gli uni alle altre e portandolo in uno stato confusionale.

Un nuovo schiocco sonoro della sferza risuonò nell’aria riportandolo bruscamente al presente.  Il pegaso indietreggiò, tuttavia non riuscì a schivare il colpo che seguì. Il bruciore sulla pelle fu lancinante. Gylldor scosse la testa e nitrì. La collera gli annebbiò la vista.

«Che ti succede, principe degli schiavi? Hai perso tutta la tua baldanza?»

Gylldor mostrò la temibile dentatura, quindi scattò in avanti, catapultandosi contro la figura che lo insidiava.

Proprio in quel momento Mark, pur tenendosi basso, sotto la balaustra, si mosse per raggiungere la pista, tenendosi pronto a intervenire.

Malefico, muovendosi in modo fulmineo, scartò il primo attacco della creatura alata, poi, ancor prima che l’altro fermasse la sua folla corsa, fece sibilare nuovamente la lunga frusta, riuscendo a colpirlo nei quarti posteriori. Gylldor trasalì, il suo bel manto lucido si striò di sangue.

Gli spettatori esultarono, nello stadio risuonò un boato. Il pegaso esitò, e Zephar ne approfittò per impugnare uno dei giavellotti preparati per uno dei tornei previsti in giornata.

“Ora basta! “pensò “È davvero un peccato sacrificare una creatura di tale bellezza, ma il seme della ribellione deve essere estirpato prima che attecchisca e metta radici ovunque. “

Il sovrano prese la mira, quindi scagliò con violenza la lancia: «Muori, principe degli unicorni!»

 Il giavellotto si sollevò, puntando in alto e sibilando.

Gli sguardi degli spettatori ne seguirono la traiettoria, ma, proprio in quel momento, il tempo si cristallizzò, e tutto lo stadio rimase immobile. Persino la lancia rimase a mezz’aria. Mark rimase basito a osservare il risultato causato dal suo intervento. 

Si era accorto del pericolo mortale che stava correndo il suo amico, e aveva impugnato l’ampolla di cristallo donatagli da Chrisell, quindi ne aveva amalgamato il contenuto spargendolo intorno a sé in un cerchio che lo escludeva e, in un lampo abbagliante, tutto si era fermato, come in un fotogramma.

Anche i suoi tre amici erano rimasti coinvolti nell’incantesimo, e Mark si disperò. Cosa doveva fare ora? Gli rimaneva pochissimo tempo, forse solo una manciata di secondi, come gli aveva ricordato la dama.

Seppur con l’animo oppresso dai dubbi e da un cattivo presentimento, Mark si avvicinò al pegaso: «Gylldor, amico mio, mi senti?»

Immobilizzato in una posa statica, come una statua di onice, la creatura alata aveva un aspetto inquietante.

La magia dell’ampolla l’aveva sorpreso con le ali dischiuse, un’espressione truce e il passo da carica. Gylldor digrignava la temibile dentatura come se volesse mordere il mondo intero. Il lunghissimo corno emanava bagliori sinistri, e Mark rabbrividì. Di fronte all’imponenza della creatura, si sentì minuscolo.

«Gylldor!» chiamò ancora, mentre la disperazione iniziava a farsi strada nel suo animo. Mark non seppe spiegarsi se lo intimoriva di più il silenzio raggelante che regnava nello stadio o la luce ferina che brillava negli occhi del pegaso.

Ma la soggezione del giovane stalliere durò il tempo di un battito di ciglia: «Cosa fai lì impalato? Sbrigati, ragazzo, salta in groppa prima che la magia si esaurisca.»

«Ma tu…»

«Le spiegazioni a dopo… sempre che ne avremo la possibilità. Dobbiamo liberare Alyser e le creature silvane.»

Senza indugiare oltre, Mark si aggrappò alla criniera: «Scusa» mormorò, dandosi uno slancio per montare.

Gylldor sbruffò, ma non protestò, e con un trotto veloce raggiuse Alyser e le altre dall’altro lato della pista. La giumenta sembrava incosciente, tuttavia bastò un deciso tocco del muso per farla riprendere.

«Gylldor… Mark… ma che è successo?»

«Dopo ti spiego!» tagliò corto il pegaso «Dobbiamo andare! Sbrighiamoci! Tu ti occuperai di trasportare la dama, mentre io penserò ai ragazzi.»

Alyser non ebbe nemmeno il tempo di replicare che Gylldor già si dirigeva verso le prigioniere.

Chrisell e la dama erano ancora sotto l’effetto dell’incantesimo, eppure lo sguardo di Silvestre era vigile e autoritario. Gylldor sfiorò entrambe con il muso e le due giovani donne si ripresero.

«Affrettiamoci!» ordinò la dama riacquisendo il senno all’istante e montando con agilità in groppa ad Alyser, mentre Mark allungava una mano per aiutare la silfide a sedersi dietro le sue spalle. La delicata creatura gli cinse le braccia intorno alla vita, e quel contatto scatenò un parapiglia nel cuore del ragazzo, facendolo rabbrividire.

In pochi istanti le ali dei due pegasi si spiegarono, quindi la magnifica coppia si alzò in volo. Ma proprio in quel momento lo stadio intero si destò da quel magico torpore, e dagli spalti si propagò un lungo brusio di sorpresa.                       

Il ritorno del sole

Quando si rese conto di quello che era accaduto e vide i suoi prigionieri allontanarsi in volo, Malefico s’infuriò.

Lui, che teneva sempre sotto controllo i nervi e ostentava, per intimidazione, una marcata pacatezza, perse proprio il lume della ragione ed emise un urlo inumano.

La folla si zittì, un po’ per paura della reazione e un po’ in attesa degli eventi. Il sovrano sollevò una mano e gli arcieri, schierati sugli spalti più in alto, incoccarono le frecce e presero la mira sui fuggitivi. Quando il braccio del re si abbassò, un nugolo di dardi infuocati partì sui bersagli, ma il tiro risultò impreciso, perché troppo frettoloso.

Visibilmente contrariato, Zephar si rivolse alle arpie: «Andate e riportate a me i fuggitivi!» Le tre aberranti creature gracchiarono di soddisfazione.

Non capitava loro spesso di potersi librare libere senza il diretto controllo del proprio padrone. Così spiegarono le ali come vele al vento spingendo al massimo per raggiungere i pegasi, che rischiavano di perdere di vista per via dell’oscurità che regnava in cielo.

Ma lassù il silenzio era assoluto, e le tre arpie poterono percepire il fruscio provocato dallo sbattere frenetico delle ali.

 Gylldor aveva sopravvalutato la propria resistenza e la propria capacità fisica dopo tutti quei mesi di prigionia. I muscoli delle sue ali erano provati dalla lunga inattività, essendosi indeboliti, e inoltre il peso che portava sul dorso era il doppio rispetto a quello di Alyser che, tra l’altro, era più fresca e più allenata di lui. Difatti la distanza tra i due aumentò in breve, a tal punto che i due amici persero di vista, nell’oscurità, la giumenta e la sua amazzone.

Mark si accorse subito della difficoltà del pegaso e tentò di spronarlo: «Forza amico mio, non cedere proprio adesso! Resisti, ti prego! Portaci in salvo!» lo supplicò.

«Sono esausto, Mark, non credo di farcela! Devo scendere a terra, altrimenti rischiamo di precipitare.»

Che la loro situazione stesse diventando drammatica, Mark lo percepì dal frullio molteplice e frenetico di ali alle sue spalle, allora il suo cuore tremò.

«Scendi, amico. Prima che sia troppo tardi!»

Gylldor annuì. Avevano perso! Dovevano arrendersi. Un misto di emozioni negative assalì il pegaso. Dolore, amarezza, una collera infinita! Si era ripromesso di proteggere i suoi amici e aveva fallito! Dunque, aveva sempre avuto ragione Malefico a considerarlo una nullità! Mentre il sole nel cielo faceva capolino dietro la luna, il pegaso avvertì una strana sensazione, ma non vi diede peso e puntò verso la terra.

Ma prima ancora d’iniziare la discesa, Mark si accorse che una delle arpie li aveva raggiunti e lanciò l’allarme: «Gylldor!» urlò, tentando inutilmente di scartare e di proteggere la fanciulla alle sue spalle, ma l’arpia riuscì a piantare, seppure di striscio, gli artigli nella schiena della silfide.

Chrisell urlò di dolore, e se non fosse stato per il sostegno di Mark, sarebbe precipitata nel vuoto.

continua...


Racconto pubbicato dalla MorganMiller edizioni

immagini Phoneky e Pinterest



8 commenti:

  1. Wowwww!!! Si prospetta un finale con i fuochi di artificio. Sono molta coinvolta e non vedo l'ora di leggere la fine anche se mi dispiace!!!!

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  2. Me encanta tu historia cada vez más interesante . Te mando un beso

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  3. Ciao Vivì, la tua fervida fantasia e bravura nel raccontare coinvolge il lettore.
    Ti lascio un abbraccio e ti auguro
    Serene vacanze
    Rakel

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  4. Ciao Principessa degli Unicorni e della Fantasia,
    com'e andata la tua vita!
    come e stata la tua estate!
    Io, essere elementare della natura,
    essere infinitesimale,
    sono lieta di leggere il tuo grande cielo stellato,
    somiglianza, immagine di mistero,
    mi sentivo parte pura dell'abisso,
    sono rimasta stupita dal tuo nuovo libro e
    il mio cuore si e scatenato nel vento,
    nell'oceano,
    sono una fata e amo i miei amici
    con tutto il cuore le silfidi
    e gli unicorni...con il naso rosso!!!!😍🦄🧚

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  5. Che dire, sei bravissima. Sei capace di far trepidare il lettore nell’attesa di sapere quel che accadrà, complimenti. Un abbraccio.

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