La parata
I giorni
di festa proclamati dal tiranno furono annunciati, sin dall'alba, dal suono
profondo e prolungato dei lunghissimi corni d'appoggio.
E,
purtroppo, per Gylldor e Alyser ebbe inizio anche il fatidico plenilunio.
Gylldor
tentò di sottrarsi e di contrastare la trasformazione con ogni singolo muscolo
e nervo del suo corpo e, di conseguenza, il terribile evento si tramutò in un
dramma. Fu molto più doloroso e traumatico di quanto avrebbe dovuto essere, e
quella sofferenza fu del tutto inutile. Il giovane unicorno dovette subire la
trasformazione del corpo con ribrezzo e orrore: il suo manto ridivenne nero
come la pece e le sue ali si spiegarono, mentre il corno si allungò sulla
fronte. La creatura alata si manifestò in tutto il suo terribile splendore.
Solo la sua mente, i suoi pensieri e i suoi ricordi rimasero inalterati, eppure
dovette prendere atto che la sua indole, in genere mite, era diventata ombrosa
e irascibile.
Gylldor
poteva solo immaginare il suo nuovo aspetto. Se sbirciava attraverso gli
spiragli delle paratie di legno gli era possibile vedere un intero branco di
creature alate che scorrazzavano all’esterno, in piena libertà, tra i vasti
recinti che si estendevano a vista d’occhio.
Le
rincorse, le cavalcate con le criniere al vento dei Pegasi Oscuri, gli
procurarono un moto di rabbia, ma intuì ben presto che si trattava soltanto di
gelosia.
“Per
tutte le stelle del firmamento! Sono diventato anche io come loro, con l’unica
differenza che io sono prigioniero mentre loro possono almeno galoppare come
fossero liberi” pensò, invidiando le sgroppate e le impennate improvvise dei
suoi simili.
Ricordava
alla perfezione il piacere di avvertire le carezze e le sferzate del vento sul
muso e sul manto, e per qualche istante gli parve di avvertire l’odore
dell’erba e di umido del terreno calpestato in profondità dai suoi zoccoli.
“Potrò
mai tornare a galoppare libero con Mark?” si domandò con una vena di profonda
malinconia. Il ricordo del suo giovane
amico gli procurò una stretta alla bocca dello stomaco.
“Dove
sei, Mark? Spero che almeno tu ce l’abbia fatta a metterti in salvo!”
In quel
momento uno dei pegasi staccò i propri zoccoli dal prato, e fu subito ripreso e
redarguito dagli sgherri che montavano di guardia. Quelle creature, per quanto
sorvegliate, godevano di un minimo di libertà, e lui le invidiò ancor di più
“Cosa posso fare per tornare libero come loro?”
«Dobbiamo
soltanto agire con accortezza e astuzia, principe degli unicorni» gli sussurrò
la dama, appena apparsa al suo fianco.
Gylldor
trasalì. Non si aspettava quell’apparizione, ma subito i suoi fianchi tremarono
d’emozione.
«Mia
signora» esclamò, piegando i garretti e la testa in un inchino appena
accennato. Vaghe reminiscenze balenarono nella sua mente, ma tra tutte spiccò
il bel viso della dama mentre dava indicazioni e consigli alla silfide per
portarlo in salvo.
«Ti
ricordi di me, mi pare incredibile! Quando ti ho visto la prima volta eri
talmente piccolo!»
«Non
rammento il tuo nome, ma la tua immagine è rimasta impressa nella mia memoria.»
«Non posso che esserne felice! Sono la signora del reame boscoso. Il mio nome è
Silvestre, e sono qui per aiutare te e i tuoi amici.»
«Dimmi di
loro, ti prego! Come stanno Mark e Chrisell e...»
«Alyser?»
terminò sorridendo lei.
Gylldor
scosse la testa, confuso, «Sì… Alyser. Come stanno tutti?»
«Mark sta
bene ed è con la tua amica, mentre per Chrisell la situazione è più
complicata. Con Mark abbiamo elaborato
un piano che ora ti esporrò. Occorre anche la tua collaborazione, oltre a
quella di Alyser.»
«Sono
prigioniero, come credi che possa esserti utile?»
«Se ti
dimostrerai arrendevole, non lo sarai ancora per molto. Il sovrano considera
sia te che la tua amica gli esemplari più belli della sua collezione, e ha
fretta di mettervi in mostra durante la parata. Per cui ti consiglio di mettere
a tacere il tuo orgoglio, principe, e di palesare la massima docilità. Solo
così il nostro piano potrà riuscire.»
«Per
quanto mi sarà possibile, farò come suggerisci, mia signora.»
«Bene.
Allora ascolta con attenzione.»
Dama
Silvestre impiegò qualche minuto a spiegare quanto aveva elaborato con il
giovane stalliere. Gylldor ascoltò con pazienza, senza mai interrompere. Il
piano sembrava perfetto in ogni minimo particolare e, con un briciolo di
fortuna, aveva anche buone probabilità di riuscire.
«Alyser è
a conoscenza di quanto avete escogitato?»
«La tua amica sa quello che deve fare. E ora anche tu, principe. Ma adesso devo andare. Se tutto va come spero, tu e i tuoi amici sarete liberi, e potrai tornare a regnare sul tuo popolo.» «Mi auguro che sia così, mia signora» rispose Gylldor, chinando la testa in un gesto cortese. «A presto, principe degli unicorni.» si congedò la dama.
Nelle ore
che precedettero la parata, Mark rimase nascosto nelle stalle sempre piuttosto
vicino ad Alyser, reso pressoché invisibile da alcune cataste di balle di
fieno. Tra i vari scomparti regnava la confusione totale. Ogni addetto si
aggirava in modo frenetico tra le creature destinate a sfilare durante la
celebrazione, costringendo il ragazzo a spostarsi spesso per non essere
scoperto.
Le lunghe
code e le folte criniere dovevano essere intrecciate in modo particolare, e sia
gli stalloni che le giumente andavano bardate con armature in cuoio e argento
finemente cesellate. I giovani aiutanti s’aggiravano indaffarati a lucidare le
barde e le testiere protettive dei Pegasi Oscuri, mentre gli stallieri ne
strigliavano i manti e ne intrecciavano i crini. I lunghi pennacchi bianchi e
neri, gli stessi colori delle barde e dei vessilli, svettarono ben presto sulle
fiere teste dei pegasi, che si muovevano dimostrando un po’ di disagio per
tutte quelle attenzioni a cui non erano abituati. Persino i puledri erano nervosi e
aggiungevano confusione con i loro sommessi ma continui nitriti.
Anche
Alyser fu soggetta alle cure decise di un addetto dalle maniere piuttosto rudi,
che la lavò, la massaggiò e la strigliò a tal punto dal renderne il manto
lucido e splendente. Ma quando l’addetto tentò di infilarle la testiera
d’argento, Alyser scartò e nitrì minacciosa. L’uomo fu costretto a chiedere
aiuto e a usare la forza per imporre il pezzo di armatura alla riluttante
giumenta.
Mark, da
parte sua, fu costretto ad assistere alla scena senza poter intervenire.
“Coraggio,
Alyser! Ti ci abituerai presto “la sostenne mentalmente.
Solo
quando la femmina di unicorno fu bardata completamente venne condotta
all’esterno e lasciata in un recinto, in attesa di poterla imbrigliare alla
biga reale.
La
confusione nelle stalle si smorzò soltanto quando tutti i pegasi furono portati
fuori, legati e impastoiati per impedire che si muovessero e rendessero vano il
lavoro degli stallieri. All’arrivo sulla scena di Gylldor, il silenzio scese
improvviso, e tutti gli sguardi puntarono sul principe degli unicorni.
“Regale!
“fu il pensiero di un astante. “Maestoso!” realizzò un altro nell’ammirare
l’altezza e la postura elegante del giovane principe.
Gylldor
era stato bardato come Alyser e come gli altri, eppure il suo aspetto
predominava su tutti. I pegasi istintivamente si allargarono nel recinto
facendo spazio al nuovo arrivato e alla biga reale trainata a mano dagli
sgherri di Malefico.
“Gylldor!” il messaggio mentale arrivò in modo distinto
tra i pensieri cupi dell’unicorno e portò sollievo al malessere procuratogli
dalla costrizione dell’armatura e della testiera imposte.
“Alyser!”
rispose lui nello stesso modo prima ancora di distinguerla tra la marea di
barde, gualdrappe e pennacchi al vento.
«Muoviti!»
gli urlò lo sgherro spingendolo brutalmente nel recinto.
Gylldor,
attirato dal dolce richiamo, per la prima volta in tante ore non si oppose e si
lasciò sospingere verso la giumenta. Per
i due non ci fu nemmeno il tempo di porsi domande sulle intenzioni degli addetti,
che apparvero subito chiare, considerato che sospinsero la biga dietro di loro
e poi trafficarono per imbrigliarli in coppia.
“Come
stai, Alyser? Ti hanno fatto del male?”
“No,
principe. Non più di tanto. E tu, come stai?”
“Non
sopporto la bardatura e questa costrizione! Non sopporto la prigionia! Sono
nato per governare, non per sottomettermi!”
“Hai
ragione! Ma dobbiamo avere pazienza e aspettare il momento giusto. Se ci
ribellassimo adesso metteremmo in serio dubbio la riuscita del piano di Dama
Silvestre.”
“Non vedo
l’ora di agire, Alyser! Questa attesa mi innervosisce ancora di più!”
Proprio
in quel momento si udirono gli squilli di tromba che annunciavano l’arrivo del
sovrano, e gli stallieri si ritirarono.
Malefico
avanzava con passo solenne, sostenendo su un braccio una delle arpie. Altre due avevano preso posto sulle barre
laterali della biga reale. Quando il re fu alla guida, l’arpia gracchiò con
grande frullare di ali, quindi con un balzo si appollaiò accanto alle altre,
fulminando con lo sguardo le persone ai lati.
Il corteo
si compose lentamente ma con grande disciplina, guidato da Taresh. I nitriti di
dolore e di rabbia vennero superati dal sibilare e dagli schiocchi sonori delle
fruste in aria. Le ali dei pegasi frullavano nervosamente e gli zoccoli
rompevano il terreno, mentre le creature venivano aggiogate davanti alle bighe
che avrebbero scortato il sovrano.
Gylldor
ed Alyser furono posizionati al centro della sfilata militare, distanziati di
qualche decina di metri rispetto al seguito di carri.
I due
pegasi erano di una bellezza mozzafiato, e il re, che indossava soltanto un
minuscolo gonnellino e un elmo d'argento, prese posto alla guida con un balzo
che mise in mostra tutta l’elasticità del suo fisico aitante. Dopo aver messo
la faretra sulle spalle e imbracciato il suo arco, Zephar afferrò le briglie,
sotto lo sguardo estasiato della folla. E quando infine ritenne che tutti
fossero pronti, alzò il braccio destro tenendolo sospeso in alto, e il
bracciale d’argento che gli guarniva il possente bicipite emanò un bagliore
accecante.
Silvestre,
nascosta tra la folla, osservò per un istante più del dovuto il torace lustro
di olio del sovrano; i muscoli poderosi guizzarono sotto la pelle, attirando lo
sguardo di tutto il genere femminile.
“Non c’è
che dire, è veramente affascinante!” si disse la dama. “Ma dietro a tanta
bellezza si cela soltanto altrettanta malvagità” concluse. Silvestre si riscosse e tentò un approccio
mentale con i due pegasi.
“C’è
tanta confusione, ma vale comunque la pena di tentare “, proprio in quel
momento lo sguardo di Gylldor percorse la folla, cercandola, e infine
trovandola. Tra le due creature magiche avvenne una connessione mentale:” È
giunto il momento, principe degli unicorni. Avverti la tua amica di tenersi
pronta. “
“Lo
saremo, mia signora, stai tranquilla. La nostra collera è di tal portata che
non vediamo l’ora di agire!”
“Bene, ma
se posso darti un consiglio, principe, non lasciare che sia la rabbia a
guidarti nella battaglia, ma fidati del tuo istinto e della tua ragione. “
Gylldor
non ebbe modo di ribattere. La frusta del sovrano sibilò nell’aria e le redini
strattonarono con decisione le due cavalcature, che si mossero all’unisono,
allontanandosi dalla fata.
La folla
esultò. Nel regno non si era mai vista una simile manifestazione di forza,
potenza e di eguale, superba bellezza. Gli alabardieri iniziarono a marciare
fieri e marziali nelle loro armature, con elmi dai cimieri bianchi e neri al
vento; seguivano i balestrieri, e al seguito la scorta del re su bighe. I vessilli
con i colori del sovrano garrivano al vento, e nel momento in cui il re passò,
dalla folla si levò un’ovazione.
Quando il
corteo giunse a metà percorso, Malefico, con i suoi modi brutali, fece
schioccare la frusta, dando nel contempo una rude tirata ai morsi delle due
cavalcature. Alyser nitrì di dolore e Gylldor, colpito dalla sferzata ai
fianchi, trasalì.
Il pegaso
si fermò, costringendo la compagna a fare altrettanto, quindi il lungo collo
volse di scatto all’indietro, verso il sovrano.
Gli occhi scuri del principe degli unicorni fiammeggiarono di collera e
di sdegno sulla mitica figura alla guida della biga. Gli sguardi delle due
creature magiche s’incrociarono, rimanendo incatenati.
Le arpie
percepirono le brusche emozioni e le correnti di rabbia e di sfida intercorse
tra i due e si mossero sulle zampe in modo agitato, emettendo versi graffianti
di gola. Le ali frullarono, pronte a prendere il volo.
Gylldor
ignorò il trio di creature orripilanti e le loro minacce gracchianti,
continuando imperterrito a sfidare il sovrano.
Gli
spettatori più vicini si zittirono e, lentamente, un silenzio innaturale scese
tra la folla. “Gylldor!” il richiamo mentale arrivò inaspettato, dissipando
lievemente le brume di furore che avevano annebbiato i pensieri del puledro.
“Calmati,
ti prego! Non mandare a monte il piano della Dama del bosco!”
Gylldor
riconobbe la voce soave della sua amica ed ebbe un fremito.
“Controlla
i tuoi nervi!” intervenne la dama “Il momento della rivalsa è ormai vicino.
Abbi pazienza!”
Quelle
esortazioni amichevoli lenirono il dolore procurato dalla sferza e, la rabbia
provata, come per incanto si sopì. La
brace che ardeva nello sguardo di Gylldor si smorzò, ma solo in apparenza, come
un fuoco che cova sotto la cenere, pronto a divampare alla minima folata di
vento. Il puledro accantonò l’idea di ribellarsi e tornò a fissare la sua
attenzione in avanti, senza peraltro ravvisare il nuovo brusio che si spargeva
tra la folla.
«Mi fa
piacere constatare che hai messo giudizio. Per il tuo bene ricorda sempre che
qui non sei più un principe, ma piuttosto uno schiavo!»
Ancora
una volta Gylldor si sforzò d’ignorare la provocazione del sovrano e si
concentrò sulla ricerca della dama tra la gente.
“Per
quanto tempo ancora riuscirò a contenere la sua collera?” si domandò Silvestre,
preoccupata per il nervosismo dimostrato dal pegaso.
“Sono
qui, poco distante da te. Alla tua destra, principe” gli suggerì poi. Il pegaso
seguì l’indicazione mentale e, tra tutti gli astanti assiepati ai lati, la
riconobbe.
Silvestre rimaneva nascosta da alcune persone, con il cappuccio del mantello calato sul viso. Lei alzò il capo un solo istante e gli sorrise. Eppure, bastò quello a rinfrancare lo spirito del puledro. Nessuno dei due si accorse che gli occhi del Malefico scorrevano con grande attenzione sulla folla. Ancora una volta le redini strattonarono brutalmente il morso di Gylldor, ferendolo e facendogli sanguinare la bocca. Il sapore metallico del suo sangue procurò al pegaso un brivido, poi sia lui che Alyser furono costretti a muoversi.
La luna nera
Mark,
poco distante, aveva assistito alla scena e aveva colto lo sguardo penetrante
che il sovrano aveva lasciato scorrere sugli spettatori più vicini alla biga
per soffermarsi infine, ma solo per un istante e con aria indifferente,
sull’elegante figura femminile.
Il
ragazzo si era subito allarmato. Ma come fare per avvertire la Dama del bosco
del probabile pericolo?
La gente,
eccitata dal nervosismo dimostrato dal principe degli unicorni, aveva percepito
il fiume di violente emozioni represse, e forse desiderato il verificarsi di
qualche evento non previsto e spettacolare. La delusione che serpeggiò fu quasi
tangibile. Le persone si mossero in modo convulso, a scatto, cercando di non
perdere di vista la biga e seguendola, così il ragazzo venne sospinto e
trascinato fino a perdere di vista lui stesso, nella confusione, l’azzurro
mantello della dama.
Come
Mark, anche Silvestre venne trascinata via, lontana dal corteo reale, troppo
distante anche per tentare una nuova connessione mentale con i suoi protetti.
Gylldor e
Alyser avvertirono il vuoto di quel distacco e si scambiarono un’occhiata
carica di apprensione. Si era nel primo pomeriggio e il sole era ancora alto,
le ore di luce avrebbero dovuto essere ancora molte. Eppure, stranamente, la
luna piena aveva già compiuto una completa evoluzione in cielo e aveva quasi
raggiunto il sole, che splendeva come un diamante dopo aver appena superato lo
zenit. Ma nonostante lo splendore del sole, le lunghe ombre d’un crepuscolo
assai precoce già avviluppavano i dintorni.
Che cosa
stava avvenendo? Dal basso sembrava quasi che dovesse accadere uno scontro
titanico tra i due astri, e la gente iniziò a guardare con sospetto e timore il
cielo di un blu tendente all’indaco, davvero insolito per quell’ora.
I
tamburi, che precedevano la processione, annunciarono l’arrivo nell’arena,
allestita apposta per la manifestazione, e i trombettieri, in attesa di quel
segnale sugli spalti, ne rilanciarono l’avviso con un altisonante squillare.
Gli spettatori, distratti dal suono, dimenticarono la preoccupazione e si
alzarono all’unisono in attesa della comparsa del corteo.
L’arrivo
degli alabardieri nelle loro corazze lucenti e con il loro meccanico passo
marziale venne accolto con lo scrosciare di un applauso entusiasta, ma quando la
biga reale spuntò dalla galleria che immetteva nell’arena, nello stadio risuonò
una grandiosa ovazione.
La figura
del sovrano alla guida delle due creature alate era spettacolare. Zephar alzò
il braccio sinistro per un saluto alla folla, mentre con il destro teneva le
redini. Le arpie, spaventate dal rumore assordante, frullarono le ali e
gracchiarono nervose, spaventando gli spettatori più vicini.
Seguito
da due carri di scorta, il re guidò al piccolo trotto la pariglia di pegasi nel
centro della pista, quindi si fermò e si concesse uno sguardo soddisfatto
abbracciando in modo circolare gli spalti gremiti di spettatori entusiasti e
godendosi il suo momento di trionfo. Quel giorno erano in programmazione varie
sfide: gare di agilità, di velocità e di forza. Corse equestri e incontri di
lotta e di armi a cui anche il re avrebbe partecipato per dimostrare la propria
supremazia.
Malefico
si era preparato da mesi all’evento, e mentre scrutava tra la folla, era
convinto di non avere rivali. La sua attenzione si posò poi su una fila di
uomini schierati in attesa, seminudi e dal fisico possente. I volti granitici e
impassibili dei guerrieri sostennero lo sguardo del sovrano senza dimostrare
timore o soggezione.
“Dei veri gladiatori!” pensò “Ma ognuno di loro perderà l’arroganza tanto ostentata!” concluse con un ghigno.
In quel
momento i trombettieri emisero un ultimo e breve squillo di tromba, e nello
stadio le urla scemarono fino a ridursi a un brusio, e infine a un silenzio
carico di attese. Il re poté così iniziare, con voce stentorea, il suo
proclama: «Miei sudditi, noto con piacere come tutti i miei sforzi per rendere
piacevole questa giornata di festa siano stati apprezzati. Tutti quanti voi
sapete quanto io tenga al benessere fisico e mentale del mio popolo.»
Quest’ultima affermazione venne salutata con versi d’imbarazzo provenienti da
vari punti e perciò identificabili.
Zephar si
limitò a freddare con un’occhiata malevola la vasta platea, quindi proseguì: «È
per questo motivo che mi sono preso l’impegno di organizzare questa
manifestazione, che continuerà con le prossime sfide e che vedrà il suo epilogo
con il grande banchetto collettivo allestito nelle vie, al quale siete tutti
invitati. Desidero che la fama della mia magnanimità oltrepassi i confini del
regno e che giunga alle orecchie di tutti i sudditi dei reami limitrofi.» Dagli
spalti si levò un brusio di compiacimento, e Zephar lasciò fare, approfittando
di quei momenti per scrutare i volti che lo circondavano.
La sua
attenzione si soffermò ancora una volta su un’esile figura femminile avvolta in
un ampio mantello, poi passò oltre.
Silvestre,
a sua volta intenta a cercare Mark tra la folla, non s’accorse nemmeno dello
sguardo del sovrano.
Il
ragazzo, che l’aveva individuata già da vari minuti, tentava di attirarne
l’attenzione, senza tuttavia riuscirci. Ancora una volta aveva intercettato lo
sguardo malevolo che il sovrano aveva riservato alla dama, ma non sapeva come
avvertirla.
All’improvviso,
le cose precipitarono senza che Mark potesse intervenire. Il ragazzo vide il
pericolo avvicinarsi alle spalle della dama e fu costretto ad assistere sia
all’assalto delle guardie del re che alla conseguente cattura di Silvestre.
Impotente,
Mark la vide trascinare via, quindi la perse di vista. Anche Gylldor ed Alyser assistettero
inorriditi alla cattura.
Taresh e
Norok avevano afferrato per le braccia la fata e la trasportavano attraverso
gli spalti gremiti di gente. Non potendo sottrarsi alla presa brutale dei due
giganteschi sgherri, Silvestre si ripromise di risparmiare le forze per
un’occasione più favorevole e si concentrò invece sul lanciare un messaggio
mentale. “Mark, dove sei?”
Il
ragazzo avvertì il richiamo insinuarsi deciso tra i suoi pensieri e rispose:
“Sono qui alla tua destra, mia signora.”
Silvestre,
consapevole di avere gli occhi del Malefico puntati addosso, non commise
l’errore di voltarsi denunciando quindi la presenza del ragazzo, ma continuò a
guardare con aria di sfida la figura del Malefico.
“Tieniti
pronto! Abbiamo bisogno del tuo aiuto!”
“Ma cosa
posso fare io da solo? Lo stadio è pieno di guardie!”
“Ricordi
l’ampolla che Chrisell ti ha affidato? Si tratta di un potente talismano in
grado di cristallizzare il tempo e immobilizzare tutti i presenti. Basterà che
tu ne evochi il potere amalgamandone il liquido e spargendolo intorno, ma
ricorda, hai una sola possibilità. Devi farlo al momento giusto!”
Mark,
sopraffatto dagli eventi e dalla responsabilità, tentò una debole obiezione:
“Ma signora…”
Lei lo
interruppe: “Non c’è più tempo per i dubbi e le domande. Siamo nelle tue mani.
Ora tutto dipende da te!”
Il
messaggio della dama si perse in un labile sussurro nella mente di Mark, poi fu
solo devastante silenzio. Ancora provato dall’incertezza e dalla paura, il suo
sguardo si puntò al centro della pista, sulla biga reale, e lì intercettò
quello di Gylldor.
“Non
stare lì impalato! Se vuoi renderti utile devi avvicinarti alla pista!”
Il
ragazzo stentò a riconoscere in quella voce cavernosa il suo migliore amico. Gylldor
sembrava irrequieto, e scalpitava e stronfiava come mai prima. Tuttavia, non
era solo il pegaso a essere nervoso. Le lunghe ombre della sera lambivano
grandi porzioni dello stadio, e la gente, sconcertata dal precoce crepuscolo,
iniziava a rumoreggiare.
“Che ti
succede, Gylldor?” domandò preoccupato, seguendo quatto la direttiva del
puledro. Ma Gylldor non rispose, e Mark, avvicinandosi, scoprì che il suo corpo
era scosso da brividi inconsulti e che guardava in alto con occhio inorridito.
Proprio là, dove la luna stava per incontrarsi con il sole e iniziava ad
assumere una tinta rossastra.
Mark
rabbrividì a sua volta. Che strano fenomeno stava per verificarsi nel cielo? E
quel rosso era forse un cattivo presagio? Stava forse a significare il sangue
delle innumerevoli vittime del Malefico?
“No! Si
tratta solo di superstizione. Lassù non accadrà nulla di catastrofico!” si
disse per tranquillizzarsi “Il vero dramma si verificherà qui sulla terra, se
non mi muovo.”
Mark,
nonostante la terrificante immagine balenata tra i suoi pensieri, proseguì fino
ad arrivare ai limiti della pista, e lì si acquattò, nascondendosi alla vista.
Mentre
l’agitazione aumentava tra gli spalti contagiando buona parte del pubblico, il
fenomeno astrale proseguiva nel suo percorso e l’oscurità s’infittiva.
Zephar
stesso ne era rimasto interdetto. Un’eclissi non era una novità per lui, ma
quella che si stava verificando era di proporzioni enormi, e non era mai
accaduta prima: la luna si era tinta di un incredibile cremisi, e la notte
incombeva quando avrebbe dovuto essere ancora la luce a farla da padrona.
“Tra poco
sarà buio pesto!” pensò preoccupato.
«Che
siano accese tutte le torce!» ordinò agli inservienti più vicini lanciando
occhiate ansiose sulla gente che rumoreggiava.
Poco prima, qualche spettatore aveva anche tentato di alzarsi per
abbandonare lo stadio, ma per evitare che dilagasse il panico, le guardie lo
avevano impedito con estrema decisione.
«Per
quanto tempo credi di poter tenere a bada la paura di questa gente?»
Il suono
di quella voce soave lo costrinse a voltarsi, e Malefico si ritrovò ad affogare
nelle iridi color smeraldo di Silvestre.
La dama
era tenuta avvinta per le braccia dai due giganti, e Zephar avvertì una morsa
di gelosia per quel contatto.
«Lasciatela!»
ordinò avvicinandosi «E conducete qui l’altra prigioniera!»
Taresh
esitò: «Sire, questa creatura possiede poteri inimmaginabili. Non credo sia prudente...»
Zephar lo
fulminò con lo sguardo «Credi davvero che il tuo sovrano sia un novellino? Va
ed esegui gli ordini!»
Solo
quando i due sgherri lasciarono la pista, il sovrano si avvicinò alla
prigioniera: «È opera tua questo prodigio?» domandò indicando il cielo mentre
il sospetto prendeva campo nella sua mente.
La Dama
del bosco sorrise divertita, tuttavia pensò fosse bene non smentire.
«Hai
davvero una grande considerazione della mia magia, ciò nonostante non la temi!»
«Sono il Signore di queste terre e non temo nessuno!» gli rispose lui
inanellando una delle ciocche seriche di lei tra le dita. «Come vedi,
nonostante la vastità delle tue conoscenze arcane, sei qui, mia prigioniera.»
Silvestre
si scostò, sorpresa e stizzita. Sebbene tentasse di dominarsi, la sua voce
tremò leggermente d’indignazione: «Sta attento, Zephar! Forse sarà proprio la
tua arroganza a portarti alla perdizione!»
Mentre
aspirava il profumo emanato dalla pelle di lei, Malefico non poté fare a meno
di sorridere a sua volta: «Sei coraggiosa, amica mia. E se davvero sei tu
l’artefice di questo fenomeno grandioso, devo riconoscere in te un’avversaria
temibile.»
«Non
toccarla!» L’urlo di Gylldor attirò l’attenzione del pubblico.
Il pegaso
strattonò le redini e si sollevò sulle due zampe anteriori scalciando l’aria
come impazzito. Gli zoccoli tonfarono
pesantemente, sollevando un polverone dall’impiantito. «Non sei degno di starle
vicino!» aggiunse indignato, strattonando ancora con violenza i finimenti che
lo tenevano costretto alle spranghe della biga.
Le lunghe
ali nere tentarono di aprirsi, frullando inutilmente per via dello spazio
insufficiente. Alyser, al suo fianco, assisteva impotente. Invano tentò di
spostarsi, perché i movimenti frenetici del compagno le facevano sbattere la
spranga sul fianco e sulle ali. Gylldor sembrava aver perso il lume della
ragione, e la giumenta temette per la propria incolumità.
Le arpie,
rimaste immobili a osservare, gracchiarono in modo minaccioso, quindi si
sollevarono, iniziando una danza intimidatoria intorno ai pegasi e protendendo
i temibili artigli, quasi a volerne ghermire le teste.
Gylldor
fu costretto a ritrarsi.
In quel
momento, sulla pista arrivarono i due sgherri trascinando Chrisell, come non
avesse peso.
«Bene! Si
può dire che adesso siamo al completo!» esclamò il sovrano.
Silvestre
osservò con compassione l’eterea creatura. Il viso della silfide appariva
ancora più emaciato, e lei avvertì una stretta al cuore. “Mia povera, piccola
Chrisell.”
Chrisell
sollevò lo sguardo, tenuto basso fino a quel momento. Le lacrime ne velarono le
iridi verdi facendole apparire come due trasparenti laghi montani: “Perdonami,
mia signora. Non sono riuscita a portare a termine il mio compito.”
“No! Sei
tu che devi perdonarmi. Sono io che ho sbagliato. Non avrei dovuto addossarti
tutta questa responsabilità, ma soprattutto non avrei dovuto sottovalutare
l’astuzia di questo demone.”
Seccato
dal prolungarsi del silenzio e subodorando un dialogo segreto tra le due
creature magiche, Zephar s’interpose, stroncando qualsiasi comunicazione: «Ora
basta tramare alle mie spalle!» esclamò stizzito afferrando la dama per
allontanarla dalla silfide.
Silvestre
fece una smorfia di dolore, e Gylldor tentò di scagliarsi in sua difesa,
trattenuto a viva forza da alcuni sgherri e minacciato dalle arpie.
«Ti
consiglio di stare fermo, principe degli schiavi, se ci tieni alla vita!»
«Non mi
fai paura, demonio, e se fossi davvero un valoroso, mi affronteresti alla pari!
Ma sono convinto che non lo farai, perché sei soltanto un pagliaccio che
esibisce insegne reali senza averne il diritto e l’onore.»
La gente
intorno mormorò allibita. Non era mai accaduto prima che un pegaso si ribellasse
e sfidasse il Signore del male. Come avrebbe reagito Malefico?
Zephar
era rimasto basito. Per fortuna le fiamme che incendiavano le torce colmavano
di riverberi anche il suo volto, donandogli un certo colorito, altrimenti il
popolo avrebbe percepito dal pallore la sua incertezza, interpretandola
addirittura come viltà.
Taresh
aveva osservato con stupore la reazione del suo sovrano e ne era rimasto
allibito. Zephar sembrava soggiogato dalla bellezza della Dama del bosco e
dalla regalità dirompente che emanava quel pegaso.
Il
gigante si mosse a disagio, e rompendo il silenzio, si fece avanti: «Ordina,
mio signore, e la vita di questo arrogante finirà tra mille tormenti.»
«No!» Ora
l’ira di Malefico era palese, nella postura rigida come nei pugni contratti. I
muscoli delle mascelle si contrassero ripetutamente, mentre cercava di
controllarsi. Dopo aver respirato a fondo alcune volte, il sovrano finalmente
si mosse: «No!» ripeté «Tocca a me soltanto lavare l’onta di queste ingiurie.
Tu fai sgombrare l’arena. Voglio che tutti vedano come si difende un re!»
Taresh
tirò un sospiro di sollievo. Quello era l’uomo che aveva conquistato a viva
forza il suo regno sconfiggendo una marea di pretendenti, e che lui aveva
sempre ammirato per il coraggio e la determinazione.
«Mio
signore!» esclamò, battendosi il petto con un pugno e indietreggiando.
«Libera
il pegaso!» ordinò Zephar.
Gylldor
emise un nitrito di soddisfazione: finalmente era giunto il momento di
prendersi la sua rivincita. Taresh lo liberò dai finimenti e dalle stanghe
laterali, quindi, dopo aver afferrato Alyser per la cavezza, si allontanò dalla
pista trascinandosi dietro la riottosa giumenta.
Il
principe degli unicorni, finalmente libero, scalpitò per l’emozione, poi si
volse verso Malefico, già pronto alla lotta, e che nell'attesa faceva
schioccare in aria la lunga frusta. «Quando avrò finito, e se ne rimarrà
abbastanza, userò la tua pelle come zerbino, schiavo!» «Prima però, mi devi
prendere» lo derise Gylldor, schivando la prima sferzata.
Poi, non
ci fu più tempo per aggiungere alcunché. La situazione degenerò in pochi
istanti. L’ultimo raggio di sole scomparve dietro il disco lunare e il cielo
divenne completamente buio. L’eclissi era totale. Il corpo di Gylldor fu scosso
da una serie di tremiti incontrollabili. Il pegaso emise un lungo nitrito di
dolore. La trasformazione era giunta al culmine. Le ali si aprirono senza alcun
controllo, le zampe pestarono ripetutamente il terreno, indietreggiando. Gli
occhi sbarrati della creatura alata ne denunciavano lo smarrimento e la
sofferenza; poi, così come il sole, il suo sguardò si velò, e per qualche istante Gylldor perse
il senno. Solo quando il dolore divenne sopportabile si guardò intorno,
smarrito. Cos’era tutto quel clamore, e cosa ci faceva lui in mezzo a quella
pista? Chi era quell’uomo che brandiva
la frusta e lo minacciava?
Gylldor
non riconobbe Malefico, né tanto meno la dama e la silfide trascinate ai bordi
dell’arena e trattenute a viva forza dagli sgherri.
Chi erano
tutte quelle persone che lo guardavano con apprensione. Nella mente i pensieri
e le immagini del suo recente passato si confondevano, sovrapponendosi gli uni
alle altre e portandolo in uno stato confusionale.
Un nuovo
schiocco sonoro della sferza risuonò nell’aria riportandolo bruscamente al
presente. Il pegaso indietreggiò,
tuttavia non riuscì a schivare il colpo che seguì. Il bruciore sulla pelle fu
lancinante. Gylldor scosse la testa e nitrì. La collera gli annebbiò la vista.
«Che ti
succede, principe degli schiavi? Hai perso tutta la tua baldanza?»
Gylldor
mostrò la temibile dentatura, quindi scattò in avanti, catapultandosi contro la
figura che lo insidiava.
Proprio
in quel momento Mark, pur tenendosi basso, sotto la balaustra, si mosse per
raggiungere la pista, tenendosi pronto a intervenire.
Malefico,
muovendosi in modo fulmineo, scartò il primo attacco della creatura alata, poi,
ancor prima che l’altro fermasse la sua folla corsa, fece sibilare nuovamente
la lunga frusta, riuscendo a colpirlo nei quarti posteriori. Gylldor trasalì,
il suo bel manto lucido si striò di sangue.
Gli
spettatori esultarono, nello stadio risuonò un boato. Il pegaso esitò, e Zephar
ne approfittò per impugnare uno dei giavellotti preparati per uno dei tornei
previsti in giornata.
“Ora basta!
“pensò “È davvero un peccato sacrificare una creatura di tale bellezza, ma il
seme della ribellione deve essere estirpato prima che attecchisca e metta
radici ovunque. “
Il
sovrano prese la mira, quindi scagliò con violenza la lancia: «Muori, principe
degli unicorni!»
Il giavellotto si sollevò, puntando in alto e
sibilando.
Gli
sguardi degli spettatori ne seguirono la traiettoria, ma, proprio in quel
momento, il tempo si cristallizzò, e tutto lo stadio rimase immobile. Persino
la lancia rimase a mezz’aria. Mark rimase basito a osservare il risultato
causato dal suo intervento.
Si era
accorto del pericolo mortale che stava correndo il suo amico, e aveva impugnato
l’ampolla di cristallo donatagli da Chrisell, quindi ne aveva amalgamato il
contenuto spargendolo intorno a sé in un cerchio che lo escludeva e, in un
lampo abbagliante, tutto si era fermato, come in un fotogramma.
Anche i
suoi tre amici erano rimasti coinvolti nell’incantesimo, e Mark si disperò.
Cosa doveva fare ora? Gli rimaneva pochissimo tempo, forse solo una manciata di
secondi, come gli aveva ricordato la dama.
Seppur
con l’animo oppresso dai dubbi e da un cattivo presentimento, Mark si avvicinò
al pegaso: «Gylldor, amico mio, mi senti?»
Immobilizzato
in una posa statica, come una statua di onice, la creatura alata aveva un
aspetto inquietante.
La magia
dell’ampolla l’aveva sorpreso con le ali dischiuse, un’espressione truce e il
passo da carica. Gylldor digrignava la temibile dentatura come se volesse
mordere il mondo intero. Il lunghissimo corno emanava bagliori sinistri, e Mark
rabbrividì. Di fronte all’imponenza della creatura, si sentì minuscolo.
«Gylldor!»
chiamò ancora, mentre la disperazione iniziava a farsi strada nel suo animo.
Mark non seppe spiegarsi se lo intimoriva di più il silenzio raggelante che
regnava nello stadio o la luce ferina che brillava negli occhi del pegaso.
Ma la
soggezione del giovane stalliere durò il tempo di un battito di ciglia: «Cosa
fai lì impalato? Sbrigati, ragazzo, salta in groppa prima che la magia si
esaurisca.»
«Ma tu…»
«Le
spiegazioni a dopo… sempre che ne avremo la possibilità. Dobbiamo liberare
Alyser e le creature silvane.»
Senza
indugiare oltre, Mark si aggrappò alla criniera: «Scusa» mormorò, dandosi uno
slancio per montare.
Gylldor
sbruffò, ma non protestò, e con un trotto veloce raggiuse Alyser e le altre
dall’altro lato della pista. La giumenta sembrava incosciente, tuttavia bastò
un deciso tocco del muso per farla riprendere.
«Gylldor…
Mark… ma che è successo?»
«Dopo ti
spiego!» tagliò corto il pegaso «Dobbiamo andare! Sbrighiamoci! Tu ti occuperai
di trasportare la dama, mentre io penserò ai ragazzi.»
Alyser
non ebbe nemmeno il tempo di replicare che Gylldor già si dirigeva verso le
prigioniere.
Chrisell
e la dama erano ancora sotto l’effetto dell’incantesimo, eppure lo sguardo di
Silvestre era vigile e autoritario. Gylldor sfiorò entrambe con il muso e le
due giovani donne si ripresero.
«Affrettiamoci!»
ordinò la dama riacquisendo il senno all’istante e montando con agilità in
groppa ad Alyser, mentre Mark allungava una mano per aiutare la silfide a
sedersi dietro le sue spalle. La delicata creatura gli cinse le braccia intorno
alla vita, e quel contatto scatenò un parapiglia nel cuore del ragazzo,
facendolo rabbrividire.
In pochi
istanti le ali dei due pegasi si spiegarono, quindi la magnifica coppia si alzò
in volo. Ma proprio in quel momento lo stadio intero si destò da quel magico
torpore, e dagli spalti si propagò un lungo brusio di sorpresa.
Il ritorno del sole
Quando si
rese conto di quello che era accaduto e vide i suoi prigionieri allontanarsi in
volo, Malefico s’infuriò.
Lui, che
teneva sempre sotto controllo i nervi e ostentava, per intimidazione, una
marcata pacatezza, perse proprio il lume della ragione ed emise un urlo
inumano.
La folla
si zittì, un po’ per paura della reazione e un po’ in attesa degli eventi. Il
sovrano sollevò una mano e gli arcieri, schierati sugli spalti più in alto,
incoccarono le frecce e presero la mira sui fuggitivi. Quando il braccio del re
si abbassò, un nugolo di dardi infuocati partì sui bersagli, ma il tiro risultò
impreciso, perché troppo frettoloso.
Visibilmente
contrariato, Zephar si rivolse alle arpie: «Andate e riportate a me i
fuggitivi!» Le tre aberranti creature gracchiarono di soddisfazione.
Non
capitava loro spesso di potersi librare libere senza il diretto controllo del
proprio padrone. Così spiegarono le ali come vele al vento spingendo al massimo
per raggiungere i pegasi, che rischiavano di perdere di vista per via
dell’oscurità che regnava in cielo.
Ma lassù
il silenzio era assoluto, e le tre arpie poterono percepire il fruscio
provocato dallo sbattere frenetico delle ali.
Gylldor aveva sopravvalutato la propria
resistenza e la propria capacità fisica dopo tutti quei mesi di prigionia. I
muscoli delle sue ali erano provati dalla lunga inattività, essendosi
indeboliti, e inoltre il peso che portava sul dorso era il doppio rispetto a
quello di Alyser che, tra l’altro, era più fresca e più allenata di lui.
Difatti la distanza tra i due aumentò in breve, a tal punto che i due amici
persero di vista, nell’oscurità, la giumenta e la sua amazzone.
Mark si
accorse subito della difficoltà del pegaso e tentò di spronarlo: «Forza amico
mio, non cedere proprio adesso! Resisti, ti prego! Portaci in salvo!» lo
supplicò.
«Sono
esausto, Mark, non credo di farcela! Devo scendere a terra, altrimenti
rischiamo di precipitare.»
Che la
loro situazione stesse diventando drammatica, Mark lo percepì dal frullio
molteplice e frenetico di ali alle sue spalle, allora il suo cuore tremò.
«Scendi,
amico. Prima che sia troppo tardi!»
Gylldor
annuì. Avevano perso! Dovevano arrendersi. Un misto di emozioni negative assalì
il pegaso. Dolore, amarezza, una collera infinita! Si era ripromesso di
proteggere i suoi amici e aveva fallito! Dunque, aveva sempre avuto ragione Malefico
a considerarlo una nullità! Mentre il sole nel cielo faceva capolino dietro la
luna, il pegaso avvertì una strana sensazione, ma non vi diede peso e puntò
verso la terra.
Ma prima
ancora d’iniziare la discesa, Mark si accorse che una delle arpie li aveva
raggiunti e lanciò l’allarme: «Gylldor!» urlò, tentando inutilmente di scartare
e di proteggere la fanciulla alle sue spalle, ma l’arpia riuscì a piantare,
seppure di striscio, gli artigli nella schiena della silfide.
Chrisell
urlò di dolore, e se non fosse stato per il sostegno di Mark, sarebbe
precipitata nel vuoto.
continua...
Sempre molto coinvolgente!!!!!
RispondiEliminaWowwww!!! Si prospetta un finale con i fuochi di artificio. Sono molta coinvolta e non vedo l'ora di leggere la fine anche se mi dispiace!!!!
RispondiEliminaMe encanta tu historia cada vez más interesante . Te mando un beso
RispondiEliminaCiao Vivì, la tua fervida fantasia e bravura nel raccontare coinvolge il lettore.
RispondiEliminaTi lascio un abbraccio e ti auguro
Serene vacanze
Rakel
Mind blowing post
RispondiEliminaCiao Principessa degli Unicorni e della Fantasia,
RispondiEliminacom'e andata la tua vita!
come e stata la tua estate!
Io, essere elementare della natura,
essere infinitesimale,
sono lieta di leggere il tuo grande cielo stellato,
somiglianza, immagine di mistero,
mi sentivo parte pura dell'abisso,
sono rimasta stupita dal tuo nuovo libro e
il mio cuore si e scatenato nel vento,
nell'oceano,
sono una fata e amo i miei amici
con tutto il cuore le silfidi
e gli unicorni...con il naso rosso!!!!😍🦄🧚
Che dire, sei bravissima. Sei capace di far trepidare il lettore nell’attesa di sapere quel che accadrà, complimenti. Un abbraccio.
RispondiEliminaSempre molto coinvolgente
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