Il Cavaliere del Falco
Le scimmiette alate saltellavano giocose
tra il colonnato dell’antico tempio quasi del tutto ricoperto e soffocato dalla
vegetazione. Erano felici di rivedere il loro principe.
E Ramroch, così si chiamava il ragazzo, era
felice di rivedere loro.
Conosceva bene quella radura. Vi si recava
da sempre, soprattutto quando aveva bisogno di pace. Nessuno avrebbe disturbato
la sua meditazione in quel luogo ritenuto sacro nell’antichità, ma ora abbandonato,
perché considerato per superstizione, abitato da spiriti maligni. Ramroch, in
questo caso, era grato per l’ignoranza dimostrata dal genere umano.
«Salute a te Principe Ramroch! - lo
salutò quella che sembrava la più autorevole tra le scimmie presenti - È molto
tempo che non ti vediamo in questi luoghi!»
Ragghin era molto diversa dalle altre creature della sua specie, innanzitutto perché era molto intelligente e possedeva il dono della comunicazione. Aveva inoltre comportamenti del tutto simili alla stirpe umana e amava coprire il suo corpo con abiti comodi e pratici. Ramroch si era sempre chiesto da dove fosse arrivata quella strana creatura che gli aveva sempre dimostrato affetto e simpatia. Aveva dubitato che venisse da un altro pianeta o, forse da una dimensione sconosciuta, ma alle sue domande, Ragghin aveva sempre opposto un ferreo riserbo.
«Salute a te, Ragghin la Saggia e la testarda!
Ti ho ripetuto innumerevoli volte che non sono un principe!»
«Per me lo sei ragazzo! Il più temerario,
il più ardito di tutti i principi che io conosca!»
«Va bene Ragghin! In fin dei conti, so
che non conosci poi molti! Sono venuto per riprendere gli allenamenti. Sei
pronta?»
La scimmia guardò con grande
tenerezza quel giovane dai riccioli e dagli occhi neri come l’ebano tagliati a
mandorla, che spiccavano in un volto ardito e fiero. Ragghin lo conosceva da
quando era uno scricciolo alto meno di un metro e lo aveva visto crescere,
maturare e diventare adulto e ora ne ammirava la figura aitante. Per la indole ribelle
e dinamica, che il ragazzo aveva mostrato sin da piccolo, alla scimmietta era
occorsa una pazienza infinita per allenarlo alla Sacra Lotta ma, alla fine Ramroch
aveva imparato ogni trucco e memorizzato ogni segreto diventando lui stesso un
maestro di quell’arte marziale.
Col tempo, il giovane era diventato
veloce come solo una scimmia poteva essere e le sue mosse erano talmente rapide,
che un occhio umano quasi non riusciva a cogliere. Il ragazzo era uscito
vincitore parecchie volte dai loro ultimi combattimenti.
Ragghin si posizionò al centro del
piazzale del tempio con le zampe divaricate e le mani a taglio, in attesa del
suo avversario, che prendeva tempo studiandola e girandole lentamente attorno.
La scimmia, veloce come un lampo sferrò il suo attacco balzandogli addosso. Lui
scansò il colpo e, con una velocissima capriola in aria riuscì a evitare la presa.
Ragghin sorrise tra sé: l’allievo aveva
superato la maestra.
Lottarono per un po’, in un susseguirsi
di attacchi e parate, calci volanti e pugni e alcune mosse segrete di cui solo
loro erano a conoscenza, perché ideate da Ragghin. Seguì una pausa di riposo e di
meditazione quindi, un’altra ora di ginnastica tutti insieme e quando infine si
sedettero circondati dalla fresca quiete della radura solitaria, la creatura
della foresta ruppe il silenzio e parlò con tono grave:
«Ti aspettavo da tempo, mio principe, per
parlarti di gravi presagi e ammonimenti.»
Ramroch si volse a guardarla: «Hai
consultato le stelle, dunque! E qual è il responso?»
Ragghin era una creatura straordinaria,
dotata non solo del dono della parola ma anche quello della preveggenza.
Lei ne ricambiò lo sguardo e Ramroch ne
ammirò gli occhi dorati, profondi e arcani. Quello sguardo lo aveva sempre
messo a disagio e anche in quel momento tentò di evitarlo, spostandolo altrove,
ma lei non glielo permise. Gli prese il mento tra le dita e lo costrinse, con
estremo garbo, a volgere il capo: «Guardami, principe Ramroch e ascolta. Venti
di guerra soffiano, minacciando questa terra gloriosa. Gli spiriti del male devono
essere fermati se non vogliamo che s’impossessino di queste terre.»
Ramroch aveva ascoltato con attenzione,
sapeva che quello poteva essere solo il prologo del discorso che la sua amica
aveva certo intenzione di fare. La conosceva bene. Se parlava in quel modo, dovevano
essere ben oscuri i presagi ricevuti.
«Cosa possiamo fare?» domandò semplicemente.
Lei gli liberò il mento: «I popoli che
abitano queste terre devono unirsi e compattarsi in un unico intento. Combattere
le forze del male fino a distruggerle, ma sarà un compito arduo. Nel responso
ricevuto dalle stelle ho letto morte e desolazione.»
Ramroch rabbrividì. La sua amica e
maestra le aveva predetto il futuro tante altre volte, anche per avvertirlo che
gli sarebbero accadute cose spiacevoli, ma mai aveva usato quel tono.
Ragghin percepì il suo disagio e
ammorbidì il tono: «Hanno anche lasciato un piccolo spiraglio di luce. Se non
perdiamo di vista quella luce, se combattiamo con tutte le nostre forze, ebbene,
forse esiste ancora una speranza di salvezza. Ti ho addestrato e preparato per anni,
in previsione di un momento come questo, perché avevo già letto nelle stelle il
tuo destino.»
Ragghin fece una pausa lasciandogli il
tempo di metabolizzare quella brutta notizia.
«Non mi hai mai parlato del mio destino,
Ragghin. Perché? Cosa mi hai tenuto nascosto finora?»
«Vuoi sapere il vero motivo per cui mi
ostino a chiamarti principe?»
Il ragazzo rimase in attesa, con lo sguardo
intento su lei, che riprese: «Sei destinato a diventare il Signore di questo
popolo e il Capo Supremo dell’esercito difensore.»
Ramroch trasalì dalla sorpresa: «Cosa?
Io Capo Supremo dell’esercito? Di quale esercito parli. Sono anni che non si
vede un guerriero da queste parti!»
Ragghin annuì: «Vero! Sono anni che non
si vede un guerriero e il tuo compito sarà proprio quello di formarne uno, che
sia in grado di affrontare quello dell’usurpatore con coraggio e
determinazione.»
«No! Stai scherzando! Se anche riuscissi
a racimolare un manipolo di pazzi e li convincessi a seguirmi, cosa credi riusciremmo
a fare contro un intero esercito?» obiettò Ramroch.
La scimmia si sollevò e lo fulminò con
uno sguardo duro: «Ti ho allenato per renderti un uomo forte e coraggioso,
pronto a sfidare il mondo intero pur di difendere la tua vita, la tua libertà e
la tua gente. Tu riuscirai là dove molti altri hanno fallito finora, perché è
stato scritto nelle stelle e non puoi rifiutarti di ubbidire.»
Poco convinto Ramroch annuì, ma solo
perché aveva visto una luce selvaggia accendersi negli occhi dell’amica.
«Il mio non voleva essere un rifiuto,
Ragghin, te lo posso giurare.»
«Ti credo, mio principe, ma ora che sai,
è giunta l’ora di svelarti i segreti di queste rovine. Seguimi e ti consegnerò
quello che è tuo di diritto e ti attende da innumerevole tempo.»
Ragghin precedette il giovane fino a un
grande rettangolo inciso nella roccia, su cui erano scolpiti quelli che
parevano geroglifici, insieme a segni e rune di un’antica, arcana civiltà.
La scimmia scandì in modo solenne e fluente
la frase incisa e il portale iniziò a scorrere di lato, con un gran cigolio d’ingranaggi.
«Sono passato una miriade di volte qua
davanti e non ho mai sospettato fosse un portale.»
«Nessuno avrebbe mai dovuto sospettarlo.
Questa montagna è la custode dei segreti del tuo popolo.»
Il grande masso che fungeva da portale
si era completamente spalancato, lasciando intravedere un atrio ampio e oscuro.
Ragghin si affrettò ad accendere due
torce e consegnatane una al giovane, si addentrò nel sottosuolo.
«Vienimi dietro e bada bene a dove metti
i piedi, il terreno è particolarmente insidioso. Sono secoli che un umano non
entra qui.»
Ramroch era troppo sorpreso per poter rispondere,
seguì in silenzio la sua amica, e dopo un tempo che gli parve interminabile, attraverso
gallerie che s’intersecavano l’una con l’altra, come in un labirinto senza
fine, sbucarono finalmente in una grande grotta.
Il ragazzo si lasciò sfuggire un verso
di meraviglia: «Siamo in un luogo incantato!» esclamò, guardandosi intorno.
La volta di quella che avrebbe potuto
essere una grande sala per cerimonie, era sostenuta da grosse colonne naturali.
Enormi stalattiti e stalagmiti si univano, fondendosi dall’alto verso il basso
e viceversa. Stupefacenti erano le pareti dell’immensa grotta.
Ragghin, con la sua torcia, aveva dato
fuoco all’olio riposto in un grande braciere che, a sua volta collegato a un
ingegnoso sistema di accensione e grazie al terreno in discesa, aveva dato il
via alla combustione in altri candelabri d’appoggio. La luce emessa dalle
fiamme rifletteva riverberi sulle formazioni calcaree più trasparenti
rimandando la luce di una miriade di pietre preziose.
La scimmia si diresse verso la grande
ara scolpita in un blocco di opalina. Sulla parete dietro l’altare e sul
soffitto, tra una stalattite e l’altra, brillarono una miriade di luci
intermittenti. Ramroch aprì la bocca emettendo un verso soffocato. Qualche
artista, dal tocco magico, era riuscito a impressionare su quelle rocce e, vividamente,
un cielo stellato, che sembrava brillare come fosse vero.
«Bello, vero?»
«Co…come è possibile? Sembra quasi di…di
potervi galleggiare. E quelle cosa sono Ragghin?» domandò confuso e in preda a
una profonda emozione indicando delle sfere di varia grandezza, che si muovevano
roteando senza interruzione. Una delle più grandi era circondata da una serie
di anelli e si muoveva più velocemente delle altre.
«È la simulazione dello spazio siderale,
mio principe e forse un giorno, riuscirò a svelartene i segreti.»
«Spazio siderale? Di cosa si tratta?»
«Dell’universo di cui tutti noi facciamo
parte. - gli spiegò con pazienza. - Ma non siamo qui per una lezione di
astronomia, quanto piuttosto per mostrarti questo.» gli disse, indicandogli un
contenitore dall’aspetto prezioso.
Ramroch però stava ancora ammirando il
girotondo dei pianeti e degli astri raffigurati tridimensionalmente dietro l’altare
e lei lo riprese.
«Chiudi quella bocca, mio principe. L’hai
tenuta aperta abbastanza e le sorprese per te non sono ancora finite. Guarda
qui!»
Sull’ara cerimoniale poggiava uno scrigno
preziosissimo e Ragghin ne sollevò solennemente il coperchio.
La luce che emanò la grande pietra
custodita al suo interno, abbagliò per un attimo Ramroch.
«Questa è la pietra in cui si cela il
Potere, ma come puoi vedere è solo una parte dell’amuleto e così com’è non
contiene nessuna energia particolare, ma accostata alla parte che la completa,
emana un bagliore temibile, la cui potenza non conosce rivali a questo mondo. È
stata divisa secoli addietro in due parti, perfettamente combacianti, proprio
per evitare che finisse nelle mani sbagliate. Ora è giunto il momento di
ricongiungerle. Il compito di trovare l’altra, è affidata a te Ramroch.»
Il giovane accolse tra le sue mani la
pietra e la scrutò controluce con attenzione. Da una parte il contorno era liscio
e arrotondato, mentre la metà, che avrebbe dovuto essere la centrale, era
irregolare.
All’interno era incisa la figura di un falco
a metà con un’unica ala spiegata e un occhio rosso sangue, che poteva essere un
rubino.
«Un minerale trasparente come l’acqua di
sorgente e azzurrina, come il cielo di primavera. Non ho mai visto nulla di
simile.» mormorò Ramroch.
«La pietra di Taishir, Ramroch. Per
troppo tempo è rimasta rinchiusa nello scrigno e ora è giunto il momento che si
ricongiunga all’altra metà.»
«Non so…la missione che mi affidi è
molto ardua, Ragghin. Sarà come cercare un ago in un pagliaio.»
«Le stelle ti sono amiche, principe
Ramroch e guideranno i tuoi passi illuminandoti la via da seguire.» lo rassicurò
lei, dirigendo la torcia in un angolo rimasto in penombra e mettendo in luce un’intera
armatura.
Su di un manichino di legno era posata una
corazza articolata di cuoio, completa di elmo e di scudo. Sia sul pettorale che
sullo scudo era raffigurato un falco in atto di librarsi in volo.
«Che significato ha, Ragghin?»
Lei gli si avvicinò, porgendogli una
spada e un bastone.
Ramroch osservò le rune incise su
entrambe le armi.
«Queste armi e questa armatura
appartenevano a un antico guerriero morto da secoli, le cui gesta eroiche sono
passate alla storia. Lo chiamavano il “Cavaliere del Falco” e guidò il suo
popolo alla riconquista della sua terra e della propria libertà, beni messi in
discussione dall’invasione dei mongoli. I tempi sono tornati oscuri come allora
ed è giunta l’ora di far risorgere quel coraggio, quell’orgoglio e quella
determinazione, che portò alla vittoria l’esercito tibetano guidato dall’eroico
condottiero. Ramroch, tocca a te far rivivere il mito del Cavaliere del Falco.»
Il giovane avrebbe voluto obiettare che la
responsabilità era troppa e che non se la sentiva, ma nello sguardo di Ragghin
si era accesa una luce quasi ferina e lui non ebbe il coraggio di rifiutare l’incarico.
Ramroch pose la mano destra sul cuore e si inchinò con devozione davanti alla sua insegnante.
La gemma di Taishir
A Chuulun Damba, i giorni si
accavallarono ai giorni diventando mesi, e i mesi si tramutarono in anni, mentre
la giovinetta passava gran parte del suo tempo a studiare nella grande
biblioteca, gli antichi testi con i monaci addetti a dispensare sapienza e
saggezza. Il corpo della ragazzina
minuta ed esile sbocciò in quello avvenente di una giovanissima donna.
Tuya aveva scoperto sin dai primi giorni
che i monaci non si dedicavano soltanto alla meditazione e alla preghiera, come
invece aveva creduto, ma che erano anche esperti nelle arti marziali.
Monaci guerrieri, dunque, che
praticavano una lotta antica tanto quanto quel monastero, dove non era previsto
l’uso di nessun tipo di arma, ma solo quello delle mani, del corpo e dei piedi
e della cui conoscenza ben pochi civili avevano accesso.
Gansuk venne nominato suo istruttore. Il
giovane monaco, nonostante avesse molti dubbi in proposito, si affezionò subito
a quella ragazzina dall’aria sparuta e fu ben lieto di prendersene cura e di
istruirla, addentrandola nell’arte e nei segreti della lotta.
All’inizio furono soltanto semplici
esercizi ginnici e di meditazione, oltre a ripeterle come un mantra le regole
principali di quella disciplina:
1)Rispettare il proprio maestro
2)Preservare nella pratica
3)Unire tutti gli stili senza rifiutare
gli altri
4)Essere accoglienti e non maltrattare i
deboli
5)Purificarsi e non essere lussuriosi
6)Seguire la legge e non disturbare la
società
7)Aiutare la giustizia
8)Trasmettere le arti solo ai più meritevoli
Tuya ripeteva le regole come in un
ritornello e solo quando mostrò di averne compreso bene il significato e di averle
memorizzate, Gansuk iniziò a insegnarle le mosse più difficili.
Il tempo passò in fretta tra le mura del
monastero e Tuya fece anche amicizia con un giovane monaco addestratore di
falchi e di aquile.
La ragazza non capiva come fosse
possibile che le due specie selvagge e antagoniste in natura, riuscissero a
convivere in cattività e a dividere gli spazi aerei ma, Saikhan, per le sue
arcaiche abilità falconiere, era riuscito a fare anche quel prodigio.
In compagnia dell’addestratore e dei
suoi rapaci, Tuya faceva lunghe escursioni nella steppa. La ragazza aveva
ritrovato Soffio Impetuoso, che non aveva mai abbandonato la zona e che l’attendeva
alle pendici della collina, per galoppare insieme nel vento.
Saikhan le aveva insegnato a non temere le
sue creature e, ogni volta che uscivano dalle mura, le consentiva di portare un
falco o un’aquila. Le aveva donato uno spesso bracciale di cuoio imbottito, che
le copriva tutto l’avambraccio e che impediva agli affilati artigli di
penetrare nella sua pelle.
L’addestratore l’aveva abituata a
portare il peso dei volatili in modo graduale, iniziando con gli esemplari più piccoli,
finché i muscoli della giovane amazzone si erano rinforzati tanto da sostenere
a lungo quello di un’aquila o di un falco adulto. Alla fine, la ragazza aveva
imparato anche l’arte falconiera.
Tuya adorava gli occhi dorati delle
aquile e dei falchi e in essi ravvisava una arcana intelligenza. In quei
momenti galoppava felice, libera, divertendosi a lanciare in aria i volatili,
che aveva imparato ad amare e rispettare, come amava e rispettava tutte le creature
terrene.
Quando compì quattordici anni, il Gran
Maestro domandò alla ragazza di indossare gli abiti cerimoniali e di cingere la
sua fronte con la Sacra Fusciacca, quindi la ricevette, con il massimo della gravità,
nella sala delle cerimonie.
Il suo arrivo venne annunciato dai dunghchen,
i lunghi corni tibetani, che fecero sentire la loro cupa e roboante voce
attraverso la valle e dal gong, suonato soltanto in occasioni speciali.
Uno dei monaci le porse un fior di loto,
simbolo di purezza e sacralità, e gli altri si disposero su due file, gli uni
di fronte agli altri, formando un corridoio che indicava il percorso sacro alla
vestale.
Tuya avanzò solennemente, seguita da un
monaco che ne riparava la figura con un gdugs, il parasole cerimoniale simbolo
della regalità e della potenza spirituale. I
rimanenti monaci si inchinarono con devozione al suo passaggio.
Profondo e altamente suggestivo fu il
canto che intonarono con voci baritonali, mentre il Gran Maestro accoglieva la
vestale con un’antica formula di preghiera e la consacrava.
«Le stelle sono con te, Raggio di Sole.»
le disse con un sorriso. «Oggi è giorno di gaudio per il nostro popolo, che ha
ritrovato la sua guida spirituale.»
La giovane vestale abbassò lo sguardo in
modo pudico e le guance le si tinsero di rosa. Quello che il Gran Maestro le
stava riservando era un onore che le colmava il cuore di orgoglio ma che un po’
la intimoriva.
Naranbaatar ne lesse i dubbi sul bel
volto e tentò di rincuorarla: «Sono anni che ti addestriamo per questo, Raggio
di Sole. Sapienza, saggezza e conoscenza della Sacra Lotta ti hanno reso una creatura
speciale, dalla forza spirituale immensa, tutta quella che ti occorrerà per
vincere questa guerra.»
Tuya annuì con il capo mentre lui
prelevava una pietra da uno scrigno e gliela porgeva: «La sacra pietra di
Taishir! La pietra del Cavaliere del Falco!»
Tuya accolse la gemma tra le sue mani e notò che era spezzata a metà.
«Il Cavaliere del Falco? Non ne ho mai
sentito parlare, Venerabile Padre. Di chi si tratta?
«Osservala
bene, Raggio di sole.» riprese lui «Guardala controluce.»
«…sembra che ne manchi un pezzo e dentro
è raffigurata l’esatta metà della figura di un falco.»
«Esatto! L’altra metà dovrai trovarla e
fare in modo che si ricongiungano. Solo allora la gemma sacra di Taishir sprigionerà
tutto il suo potere.»
Tuya lo guardò con espressione
interrogativa. Non capiva.
«Mille e più anni fa questo talismano ha
salvato il popolo tibetano dalle orde barbariche che volevano occupare la
nostra terra, poi, per la salvaguardia della gemma stessa, i nostri antenati
decisero che fosse meglio spezzare l’amuleto a metà e che le due parti
venissero nascoste in due luoghi differenti e segreti. I secoli sono passati senza che vi fosse
bisogno di ricorrere alla potenza devastatrice della gemma di Taishir, ma ora,
il male si è risvegliato. La nostra terra e la nostra gente sono di nuovo in
pericolo, Tuya. Occorre che le due parti
si ricongiungano.»
«Come farò a ritrovare la pietra,
maestro? Non saprei da che parte iniziare.»
«I rapaci di Saikhan saranno con te e ti
aiuteranno a trovare il nuovo Cavaliere del Falco. L’altra metà della gemma
sarà di sicuro in suo possesso.»
«Una volta che avrò trovato il Cavaliere
e avremo ricongiunto il talismano di Taishir, cosa accadrà, maestro?»
«Cavalcherete fianco a fianco e
affronterete insieme l'armata mongola!»
Tuya trasalì dalla sorpresa: «Con quale
esercito, maestro?»
Lui la fissò intensamente «I dunghchen
di tutto il Tibet rimanderanno il loro roboante richiamo da monte a monte e da valle
a valle, chiamando a raccolta tutti i monaci guerrieri dei vari monasteri e
tutti gli uomini e le donne di buona volontà disposti a combattere e a morire per
la loro patria e la loro famiglia. A ogni miglio che percorrerete vi faranno
seguito decine, centinaia e infine migliaia di guerrieri infervorati dalla
brama di cacciare l'invasore. Mostra loro la gemma e ti seguiranno fino alla
morte.»
Tuya annuì, quindi chinò il capo con
umiltà accettando il suo destino.
Il mattino dopo galoppava con Soffio Impetuoso seguita da una cinquantina dei monaci guerrieri del monastero.
continua...
Racconto di Vivì pubblicato sul sito Scrivere
Immagini Pinterest
Un carissimo saluto
RispondiEliminaGiorgio
Ciao Vi.Una storia molto bella con immagini esotiche suggestive. Avrei voluto essere anche io un maestro di questa disciplina ma sono nato in Italia e qui non la si conosce. Ciao e tanti complimenti per la tua fantasia.
RispondiEliminaHo letto la storia con piacere. Grazie per aver condiviso la tua inesauribile fantasia.
RispondiEliminaTi auguro un buon proseguimento di serata, Vivì.
Racconto meraviglioso, Vivi, così ben progettato e costruito. Sei una cosa seria, amico, ti faccio i complimenti sinceramente...
RispondiEliminaUn racconto notevole, e molto avvincente, per un sabato all'insegna della fantasia...
RispondiEliminaSereno giorno e un abbraccio, carissima Vivì,silvia
Un racconto che avvince negli intrecci e nella sua intensa lettura, molto bello ed interessante poter conoscere la storia degli altri popoli con abitudini e storie diverse dalle nostre. Complimenti Vivi per la tua fervida fantasia. Sereno week end da Grazia.
RispondiEliminaVìvì anche da me ci sono dei ruderi coperti da rovi e vitalbe, liane. Si racconta che era una fortificazione romana tirata su ai tempi di Catilona e Cicerone. Rimane visibile una croce dove era il tempietto di Marte così dicono. Da noi si dice di ribelli a Roma e non di monaci...furono sconfitti e la rocca messa a fuoco e distrutta.
RispondiEliminaMeravigliosa, questa storia 😍
RispondiEliminaBuon fine settimana e buona festa della donna.
Storia avvincente che suscita immagini fantastiche nella mente di chi legge. Buona settimana e un salutone a te.
RispondiEliminanice story to read....
RispondiEliminaThank you for sharing
Sto recuperando le puntate con la tua coraggiosa Tuya, non vedo l'ora di scoprire che altre avventure e difficoltà abbia affrontato. Certo è che niente resiste al suo candore e alla sua forza di carattere....
RispondiEliminaOk.Incuriosita e affascinata ........leggero' il seguito.Lu.
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