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I soldati dell’
usurpatore irruppero nel villaggio ancora immerso nel sonno e iniziarono la
loro opera distruttiva appiccando il fuoco alle prime capanne. Il vento gelido
che soffiava sulla steppa alimentò le fiamme, che in pochi minuti si
propagarono scatenando l’ inferno.
Destati dalle
urla e dal fumo acre, gli abitanti uscirono precipitosamente all’ aperto
cercando scampo nella fuga e tentando di mettere in salvo gli anziani e i
bambini.
Purtroppo, i
soldati lanciati nel folle galoppo fecero una strage.
Un nugolo di
frecce e di giavellotti, si abbatté a pioggia sui fuggitivi. Ben pochi furono i
superstiti e solo ai più giovani e alle più belle tra le ragazze venne
risparmiata la vita, ma solo con l’ intento di renderli schiavi.
Tuya, una
ragazzina di appena undici anni, si salvò grazie all’ intervento di suo padre,
lo stregone del villaggio. Le urla lo avevano strappato bruscamente al sonno e
l’ uomo aveva subito intuito che vi era un attacco in corso. Aveva raccolto in
fretta le vesti e alcune cose nella capanna e, svegliata la ragazzina l’ aveva
sospinta all’ esterno esortandola alla fuga. Giunti al recinto dove venivano
custoditi i cavalli, l’ aveva poi costretta a montare in sella.
« Tuya,
guardami!» le aveva detto con urgenza ponendole nelle mani un involucro, mentre
lei si disperava:
« No padre, vi
prego! Non voglio lasciare il villaggio! Permettetemi di restare con voi!»
Il tono dell’
uomo si era fatto grave, severo:
« Non c’è tempo,
Tuya! Ascoltami! La profezia incisa sulla Roccia Sacra dai nostri antenati, si
è verificata. Il nostro destino è stato scritto molto tempo prima che tu
nascessi e noi vi stiamo andando inesorabilmente incontro. A te è stata
affidata la missione più importante e la devi portare a compimento. Devi
salvarti figlia mia e se gli dei vorranno, con te si salverà la nostra stirpe,
la nostra storia e i segreti del nostro popolo.» L’ anziano pose una carezza
sul volto della ragazzina in preda al panico, poi le porse una tracolla e un
involucro di seta: « Prendi questo, Piccolo fiore e portalo al monastero di
Chuulun Damba. Là conoscerai la verità. Salva la tua vita e il nostro popolo
ritornerà a vivere grazie a te!»
Le fiamme e il
fumo già si propagavano e le urla dei feriti e dei fuggitivi si espandevano,
coprendo ogni altro rumore e contribuendo a confondere e terrorizzare l’ animo
della ragazzina.
Con gli occhi
colmi di lacrime, Tuya tese le braccia verso il padre per abbracciarlo e
stringersi al sicuro sul suo petto, ma l’ uomo la respinse con decisione,
afferrandola per i polsi. « Sii forte!» le disse con sguardo severo.
« Non conosco la
strada, padre!» mormorò, confusa dall’ atteggiamento duro del genitore.
« Affidati a
Soffio Impetuoso. Lui saprà dove portarti» le disse, carezzando il manto scuro
del magnifico stallone. L’ animale volse il lungo collo sull’ anziano e
muovendo su e giù la testa sembrò annuire.
Lo stregone
sorrise debolmente. « L’ ingresso alle donne è interdetto in quel luogo sacro e
dovrai aver pazienza e attendere un po’ di tempo, ma non ti dovrai scoraggiare.
Quello che ti ho consegnato è il tuo lasciapassare. Ricordati di cingerlo sulla
fronte e le porte del monastero si spalancheranno per lasciarti entrare. Mi hai
capito?»
« Sì, padre.»
mormorò la ragazzina.
« Allora addio,
figlia mia! Le stelle sono con te e illumineranno il tuo cammino!» esclamò l’
uomo, quindi assestò una lieve manata alle terga del cavallo spronandolo a
muoversi. Soffio Impetuoso rispose al comando con un balzo in avanti e Tuya
dovette aggrapparsi con tutte le sue forze alla lunga criniera per non cadere.
Sotto lo sguardo
preoccupato dello stregone, la figura della ragazzina a cavallo scomparve,
inglobata dalla nebbiolina mattutina, che si stava propagando sulla steppa.
Tuya si accasciò
sul collo del cavallo e si lasciò trasportare con la mente condizionata dagli
orrori vissuti.
Le urla disumane
degli assalitori e quelle più flebili e agghiaccianti dei feriti e dei
moribondi risuonarono per qualche minuto ancora e quando infine il silenzio l’
avvolse come in un bozzolo gelido, un’ abulia ipnotica, senza sogni né incubi
l’ accolse in un limbo senza senso.
Era come se
avesse perso la cognizione del tempo e del luogo, o forse a causa del trauma
subito dall’ assalto spietato e dalla fuga precipitosa, era caduta in un
deliquio senza rendersene conto.
Il tempo divenne
una cosa relativa e quando si riprese dopo alcune ore, il sole toccava ormai lo
zenit e lei, ancora accasciata sulla criniera del cavallo, avanzava inerte
attraverso l’ esteso altipiano.
La notte scese
all’ improvviso e lei si ritrovò immersa nella più completa oscurità. La
temperatura era scesa sensibilmente e Tuya prese a tremare per il freddo ma
anche per la paura. Il silenzio, rotto solo dal tonfo degli zoccoli sul terreno
e dal sibilo del vento, si era colmato di tanti rumori, suoni e richiami di
animali usciti dalle tane a cercare cibo. Era soprattutto l’ ululato dei lupi a
incuterle terrore e quella zona era infestata da orde fameliche e selvagge.
La disperazione
s’ impossessò del suo animo innocente. Invocò suo padre odiandolo per qualche
istante perché l’ aveva costretta ad allontanarsi, anche se in cuor suo sapeva
che l’ aveva fatto per salvarle la vita. Tuya tremò visibilmente. In poche ore
aveva perso tutti i suoi punti di riferimento e le poche certezze che avevano
caratterizzato la sua vita. Non che ne avesse avuti molti. La madre era morta
quando lei era ancora molto piccola e ne ricordava vagamente il sorriso e,
inoltre, era figlia unica. Nessun fratello o sorella con cui condividere
giochi, ricordi e situazioni particolari.
In realtà, Tuya,
non ricordava un luogo specifico in cui aveva vissuto abbastanza da quando era
nata, ma tanti viaggi e tanti luoghi diversi in cui si erano fermati e
assemblato la miriade di yurte, tende tibetane, che formavano il loro villaggio
itinerante.
La loro era stata una fuga continua, ininterrotta per evitare di finire in schiavitù.
Si domandò cosa
ne erano stato dell’ accampamento e dei suoi abitanti e pianse.
Avrebbe
desiderato smontare da cavallo e cercare un riparo sicuro per improvvisare un
giaciglio in cui distendere le membra esauste, ma gli inquietanti rumori si
erano moltiplicati e ogni tanto intravedeva la luminescenza di occhi che la
spiavano nel buio.
La tensione per
un po’ la tenne impegnata e con la mente vigile, ma alla lunga la stanchezza
ebbe il sopravvento. Tentò in ogni modo di rimanere sveglia perché non voleva
ritrovarsi circondata dai lupi ma, nonostante gli sforzi, gli occhi le si
chiusero e lei crollò ancora una volta sul collo del cavallo.
Tuya non se ne
rese conto, che Soffio Impetuoso si diresse al riparo tra le rocce e che piegò
i garretti fino ad accucciarsi a terra per raccoglierla al caldo e al sicuro
contro il suo ventre.
I lupi li raggiunsero
dopo pochi istanti e nell’ aria si espansero ringhi e latrati. Soffio Impetuoso
si rialzò, sbattendo gli zoccoli sul terreno e stronfiando con vigore, quindi,
sollevandosi sulle zampe posteriori e scalciando violentemente l’ aria, levò il
suo alto nitrito di ammonimento.
I lupi
squadrarono il maestoso cavallo selvaggio ancora qualche istante, poi si
dileguarono nell’ oscurità, alla ricerca di una preda più facile.
Il cavallo quella
notte vegliò sulla ragazzina abbandonata in un sonno profondo e ristoratore.
Alle prime luci
dell’ alba Soffio Impetuoso si scrollò rialzandosi solo un attimo prima che la
ragazzina si destasse.
Tuya si
stiracchiò. La mente ancora un po’ intontita dal sonno, ma dopo pochi istanti
riprese coscienza di quanto era accaduto il giorno prima.
I morsi della
fame si fecero sentire e Tuya frugò nella tracolla consegnatele da suo padre.
All’ interno vi trovò della carne secca e un pezzo di pane, che lei addentò,
voracemente.
Soffio Impetuoso
le si avvicinò, piegando i garretti per facilitarle la salita e la ragazzina,
con un sospiro rassegnato, montò in groppa.
Dopo qualche
minuto, galoppavano lungo la steppa, in direzione della corona di colli e monti
che si stagliava all’ orizzonte e i ricordi tornarono prepotentemente ad
assillarla. Quanto tempo era passato dall’ attacco al villaggio? E chi erano
gli aggressori? Suo padre le aveva raccontato molte volte degli invasori e
della loro pretesa di dominare il popolo tibetano e soltanto le abitudini
nomadi della sua gente li aveva salvati dall’ occupazione.
D’ istinto
avrebbe spronato il cavallo a ritornare indietro, ma le immagini dei morti e
dei feriti le impedirono di farlo.
« Dove mi stai
portando Soffio Impetuoso?» sussurrò, stremata dal trauma e dalla stanchezza.
Non era abituata a cavalcare così a lungo come il giorno prima e già sentiva la
schiena e le gambe a pezzi.
Lo stallone nitrì
e, come se avvertisse la debolezza della sua giovane amazzone, ridusse l’
andatura al trotto.
Tuya si guardò
intorno. Immagini di pace scorrevano ora sotto i suoi occhi, con mandrie di yak
e di armenti al pascolo, mentre il fruscio del vento sferzava la sua pelle
brunita. I lineamenti erano ancora fanciulleschi, le guance rotonde e rosee ma
gli occhi erano grandi, neri e luminosi e i capelli lunghi e scuri sciorinavano
alle sue spalle smossi dalla brezza. Il suo risveglio, la notte dell’ attacco,
era stato brusco e precipitoso e Tuya non aveva avuto il tempo di farseli
intrecciare dalla sua ancella, come era solita fare.
Sentiva di non
avere più lacrime da versare, ma una ferrea determinazione di arrivare al
monastero era subentrata al gran dolore.
Le mura dell’
austero edificio arroccato sulla cima di una ripida collina le apparvero da
lontano e, lei, intuì di essere arrivata a destinazione.
“ Chuulun Damba
Monastyr! Il monastero della Roccia Sacra! Il mio viaggio è terminato. Ora non
mi resta che aspettare.” pensò, preparandosi moralmente a una lunga attesa.
La ragazzina
smontò da cavallo e si stirò le gambe, che sentiva anchilosate.
Soffio Impetuoso
prese a pascolare e lei portò la sua attenzione al pendio ripidissimo. “ Come
farò a salire lassù?” si domandò, scrutando le alte mura dell’ edificio a
strapiombo sulla vallata.
“ Non vedo
nessuna via d’ accesso. Forse l’ ingresso è dall’ altra parte.”
concluse, ripromettendosi di riposare un po’ e poi girare intorno alla collina
per una verifica.
Alte strida
attirarono la sua attenzione.
Il volo possente
ed elegante di un piccolo stormo di falchi salutò il suo arrivo.
Tuya era abituata
a vederne volteggiare sul suo villaggio. La sua gente era conosciuta per l’
abilità con cui da millenni addestravano aquile e falchi. Per il suo popolo, i
rapaci avevano un alto valore simbolico, oltre che pratico. Venivano infatti
addestrati alla caccia a specie volatili commestibili, ma erano anche
considerati simbolo di fierezza, forza e libertà.
La ragazza seguì
rapita il volo a planare, quindi poco dopo, lo vide sparire all’ orizzonte e
solo allora si accorse che c’ era gente sulle mura.
La stavano
osservando e lei alzò una mano per salutare. Perlomeno, ora aveva la certezza
di essere stata notata e questo era già una cosa positiva.
Le persone
sparirono e lei sospirò. Suo padre le aveva assicurato il suo ingresso in quel
luogo sacro e Tuya sapeva che non le aveva mai mentito.
Si cercò un posto al riparo tra le rocce e si preparò alla lunga attesa.
I monaci
guardiani erano andati ad avvertire il Gran Maestro della presenza della
ragazzina ai piedi del dirupo.
Narambaatar, il
monaco a capo del monastero, ascoltò con aria indifferente:
« Perché ti
preoccupi, fratello? Non è un problema nostro.»
Gansukh s’
inchinò in modo rispettoso: « Sì, maestro, ma quella ragazzina sembra
determinata a rimanere là, fintanto qualcuno non le concederà udienza.»
« Si stancherà
presto e se ne andrà -rispose l’ altro- Torna alla tua occupazione fratello!»
Il monaco
guardiano sospirò, rassegnato, poi si inchinò e lasciò la sala delle cerimonie
immersa nella semioscurità.
Le ore passarono
con lentezza esasperante. Sulle mura, Gansukh, teneva costantemente d’ occhio
ogni mossa della ragazzina, immobile tra le rocce, dove si era eretta un
effimero riparo, per proteggersi dal vento e dal sole.
I falchi
continuavano a sorvolare la zona e ogni tanto si lanciavano in picchiata
emettendo alte strida.
Un paio di volte
Tuya tentò di superare la barriera costituita dalle rocce, ma la natura franosa
e l’ arrampicata erano ardue e pericolose per una ragazzina.
Dall’ alto della
sua postazione, Gansukh l’ ammirò per la tenacia e il coraggio che la piccola
dimostrava.
“ Tra poche ore
sarà buio. Che farai lì da sola, piccola vagabonda? Monta a cavallo e vattene!
“ pregò in silenzio.
Tuya in quel
momento lo stava guardando e gli fece un cenno, come per invitarlo ad aiutarla.
Allora lui le urlò, sporgendosi dalle mura: « Vattene via, piccola testarda!
Non puoi entrare nel monastero.»
« Non posso
andarmene! - gli urlò di rimando lei - Mio padre mi ha indicato questo luogo e
io gli ubbidirò!»
Il monaco si
meravigliò: « Da dove vieni? Sei forse straniera? Tuo padre ignora il fatto che
al monastero l’ ingresso è interdetto alle donne?»
Tuya rimase in
silenzio. Possibile che suo padre si fosse sbagliato? E se non poteva entrare
nel monastero, dove avrebbe potuto andare da sola?
La ragazzina
iniziò a tremare, non poteva rimanere sola ancora lungo. Aveva bisogno di
qualcuno che sia occupasse di lei. Alla sua età non era in grado di badare a se
stessa.
La mente di Tuya
tornò indietro nel tempo. Non ricordava chiaramente, però, scavando nella memoria,
emergeva il viso dolce di sua madre e in quel momento le balenò alla mente la
sua voce: “ Tu sei una ragazzina speciale, Tuya. Le stelle hanno scritto il tuo
destino e tu lo affronterai con forza e determinazione. Sarai la guida e la
salvezza per il nostro popolo e un giorno riuscirai a sconfiggere l’
usurpatore. “
La stessa frase
pronunciata dal padre. La ragazzina tornò al presente e strabuzzò gli occhi.
Che significato avevano quelle parole? Le aveva ricordate davvero o
appartenevano a un sogno?
Poi si ricordò
del lembo di stoffa affidatole da suo padre. Si era raccomandato che indossasse
la fusciacca, ma lei se n’ era dimenticata.
Tuya la estrasse
dalla sacca e la scrutò con attenzione. Sulla stoffa di seta nera era incisa
una frase in strane lettere dorate. I caratteri dovevano essere molto antichi
in una lingua sconosciuta e brillavano come avessero vita.
Rimase ad
ammirarla per un po’ cercando di decifrare la frase e poi se la annodò in
fronte.
All’ imbrunire,
Soffio Impetuoso tornò dal pascolo e le si distese accanto.
La ragazzina
sospirò, grata per la presenza dell’ animale e del senso di protezione che le
ispirava. Con lui vicino si sentiva più sicura e dopo pochi minuti si
addormentò.
La notte
trascorse abbastanza tranquilla, a parte qualche sprazzo di incubo relativo
all’ assalto e alla fuga dal villaggio.
Il mattino dopo
fu ancora fratello Gansukh a sporgersi dalle mura.
“ Quella
ragazzina è ancora là! -pensò, seriamente preoccupato -occorre che scenda per
sincerarmi delle sue condizioni. “
Al
monastero si accedeva soltanto con un montacarichi azionato a mano dai monaci
tramite un antico sistema di funi e pulegge, di conseguenza frate Gansukh fu
costretto a domandare aiuto a un altro monaco perché azionasse il marchingegno.
Il montacarichi
si mise in modo con un sonoro cigolio d’ ingranaggi attirando l’ attenzione
della ragazzina, che lo osservò con lo stupore tipico di una fanciulla non
avvezza a simili meraviglie.
Frate Gansukh era
giovane e agile e appena a terra raggiunse in pochi minuti la base della
collina, determinato a farle una ramanzina, ma data la natura franosa del
terreno cosparso di rocce scese con cautela stando ben attento a dove poggiava
i piedi, così si accorse della fusciacca solo dopo averla raggiunta.
Il monaco si
immobilizzò con un’ espressione incredula sul volto, la bocca aperta e un passo
compiuto solo per metà. « Per tutte le stelle!» Non si trattava di una vera
imprecazione, ma se ne pentì all’ istante e si inchinò tre volte e con fervore
verso il monastero.
« Non avrei mai
creduto di vedere una cosa del genere!» esclamò tra sé raggiungendo la
ragazzina. Quel lembo di stoffa era considerato sacro ed era stato perso di
vista da secoli. Nessuno al monastero sapeva che fine avesse fatto, si sapeva
soltanto che un giorno era scomparso misteriosamente dalla teca in cui era
conservato da tempo immemore e se ne erano perse le tracce.
Lui ne aveva
potuto ammirare le raffigurazioni sul libro sacro del monastero e sugli antichi
papiri conservati nella “ Sala della Sapienza” e in quel momento era lì, sotto
i suoi occhi, a cingere la fronte di una piccola vagabonda.
Gansukh si
riprese a fatica dalla sorpresa e domandò:
« Ieri mi hai
detto che ti ha mandato tuo padre. Dove si trova adesso e come si chiama?»
Tuya spalancò gli
occhi su di lui rimanendo un attimo in silenzio. Sembrava turbata e prossima
alle lacrime, poi l’ emozione la travolse e balbettò:
« Arjun, mio
padre si… chiamava ... Arjun.»
Il monaco intuì
che doveva essere accaduto qualcosa di terrificante altrimenti, la ragazzina
non avrebbe usato il passato riferendosi al padre.
Non volle
forzarla con ulteriori domande, tanto la sua decisione l’ aveva presa: avrebbe
condotto la fanciulla alla presenza del Gran Maestro, anche se questo avrebbe
comportato infrangere la legge millenaria del monastero.
« Vieni con me!»
le disse, porgendole una mano.
Tuya esitò, lo
sguardo volto verso Soffio Impetuoso. Il monaco ne indovinò la preoccupazione:
« Sta tranquilla. È un cavallo nato selvaggio e molto intelligente se è
riuscito a condurti fino a qui. Saprà cavarsela da solo.»
La ragazzina posò
una mano sul manto dell’ animale, poi accostando la sua guancia sul suo muso,
gli sussurrò: « Grazie per avermi condotta fino a qui e per avermi protetta.
Sono sicura che ci rivedremo presto!»
Il cavallo scosse
la testa su e giù più volte, poi le diede una piccola spinta con il muso e Tuya
affidò la sua mano in quella del monaco.
Il guardiano che
aveva aiutato Gansukh a manovrare il montacarichi rimase interdetto, ma il
giovane monaco gli fece notare la sacra fusciacca e l’ altro, sebbene fosse
stato pronto a contrastare l’ ingresso della ragazzina, capitolò.
Tuya fece il suo
ingresso nell’ edificio seguita dallo sguardo costernato dei monaci, che si
radunarono in fretta formando un improvvisato corteo dietro i nuovi arrivati.
Il Gran Maestro
era già stato informato del loro arrivo e li attendeva nella sala delle
udienze.
Gansukh non
sapeva cosa attendersi dal superiore. Come avrebbe reagito alla presenza
femminile in quel luogo riservato in esclusiva agli uomini?
Da lì a poco lo
avrebbe saputo.
L’ ampio locale
era immerso nella penombra; solo nei punti strategici illuminato dal riverbero
delle molteplici candele accese nei candelabri. Il silenzio era profondo e il
passo dell’ adulto e della ragazzina risuonarono con un po’ di rimbombo sull’
impiantito.
Naranbaatar, il
Gran Maestro, era circondato dai monaci più anziani e dalle loro espressioni
truci sembravano pronti ad attaccare verbalmente il colpevole di quel
sacrilegio.
Il monaco s’
inchinò davanti al superiore, ma questi aveva già lo sguardo puntato sul lembo
di stoffa che cingeva la fronte della ragazzina.
« Oggi è giorno
di gaudio per il monastero. La profezia si è compiuta! Il simbolo della pace e
della saggezza è ritornato tra noi.» scandì con voce altisonante. Il sant’ uomo
porse una mano a Tuya attirandosela con garbo al fianco e mostrandola a tutti i
monaci presenti.
« Fratelli,
inginocchiamoci tutti davanti alla sacerdotessa e custode della pace!»
I monaci si guardarono sbigottiti, poi a uno a uno piegarono le ginocchia a terra, seguendo l’ esempio del loro superiore.
continua...
Bellissima leggenda,buona serata.
RispondiEliminaCiao Vi è un po' che non vengo a leggerti ma ho avuto dei problemi. In compenso ho letto questo nuovo racconto e in un attimo ho finito. Spero che pubblichi presto il seguito. Ciao Leo.
RispondiEliminaLo ammetto che da un po' di anni non ho pazienza per leggere lunghi racconti ma, i tuoi racconti, sono davvero belli, sembra di vivere in prima persona ciò che scrivi. Complimenti
RispondiEliminaChe bello questo racconto....e adesso cosa succede? aspetto trepidante di leggere il seguito 🙂
RispondiEliminaCiao, hola cara amica!! wow, Vivi! potente nuova storia che ha la magia
RispondiEliminal' epopea del fresco e del profondo allo stesso tempo.
Ha tutti quegli ingredienti meravigliosi
che puoi rileggere piu e piu volte senza stancarti.
Tanti baci e abbracci da Buenos Aires, Argentina ⋆.ೃ ࿔ *: ・
Racconto molto bello e suggestivo, attendo il seguito
RispondiEliminaUn caro saluto
Giorgio
P.S. Ho scritto anche io qualche breve racconto o leggenda, se ti interessano per pubblicarli te li posso inviare. Sono volumetti virtuali pubblicati nella biblioteca mondiale "issuu" e leggibili gratuitamente.
Ciao Giorgio. Buongiorno e buona domenica. Grazie per l'apprezzamento, mi fa piacere che ti sia piaciuto. Riguardo la tua proposta, su questo blog sono sempre alla ricerca di leggende o personaggi mitologici, come racconti pubblico solo ciò che scrivo io. Riguardo il blog di favole, invece, se trovo qualcosa di carino pubblico anche lavori scritti da altri autori. Se hai qualcosa di tuo da farmi leggere fammelo sapere. Ti saluto con un abbraccio e un sorriso di cuore.
RispondiEliminaUn racconto avvincente, e molto suggestivo, letto con piacere...
RispondiEliminaBuona domenica, carissima Vivì, silvia
Brava. Buona domenica e grazie della visita.
RispondiEliminaPs. Sul mio blog trovi delle leggende tipo su come è nato il lago Wörther di Klagenfurt la parte più larga poi lungo lo stesso ce Velden, Villach, e altri piccoli però il lago fa più parte della capitale della Carinzia che è Klagenfurt. Ho anche scritto leggende di dei nostri laghi. Se ti interessa ti mando il link tu poi prendi spunto se ti piace e scrivi con parole tue. Ciaoo
Ciao Edvige...metti pure il link. Passerò a leggere. Grazie mille.
EliminaBellissimo racconto articolato in tutte le sue parti salienti che, alletta il lettore alla lettura di questa storia che viene da lontano ed ha molto di sacro, riportando le credenze spirituali dei popoli nomadi Tibetani. Splendida la giovane sacerdotessa che è riuscita a portare a compimento la sua delicata missione.
RispondiEliminaComplimenti Vivì, un'altra delle tue appassionanti storie che ho letto con piacere. Complimenti e un caro saluto di serena domenica. Grazia!
Racconto fantastico.Un mondo lontano e una cultura ,a me ,semisconosciuta.Sono convinta che Tuya,incanterà me e tutti i tuoi lettori.Lu.
RispondiEliminaCiao Vivi ... come stai? L'ho letto troppo teso. Per fortuna, cavalcando un cavallo così coraggioso, la bambina Thuya è finalmente sopravvissuta al monastero.
RispondiEliminaSi è scoperto che Tuya non era una ragazzina normale ..
Tuya era destinata a essere una ragazza fantastica, quindi tutti si inginocchiarono a Tuya.
Storia interessante.
Buona settimana
Saluti
Demuestras pasión al escribir y construir impecables bellas historias, prolífica amiga. Tienes el venerable espíritu de los escritores. Te felicito una vez más.
RispondiEliminaAbrazo de corazón!!
Fervida fantasia, Vivì, la tua, che io ammiro molto! Un abbraccio
RispondiEliminaRos
Ciao Vivi'come sempre una bella storia, attendo il seguito.
RispondiEliminaUn abbraccio. fulvio
Ho letto con tanta emozione questo racconto, la storia della piccola Tuya, del suo magnifico cavallo e di tutte le avventure che affrontano insieme.
RispondiEliminaRibadisco, sono contenta che tu abbia scoperto il mio blog perché cosi anch'io ho avuto occasione di scoprire i tuoi blog e le tue meravigliose storie.
P.S: non vedo l'ora di leggere il resto ;)
Ah, seguo il tuo blog da adesso, cosi sono sicura di non perdermi le tue storie ;)
RispondiEliminaHo letto con piacere la leggenda di Thuya. Leggeró il prosieguo della storia di quella ragazzina fantastica.
RispondiEliminaCiao Viví.
Lunghissima, ma meravigliosa questa storia.
RispondiEliminaGrazie, è stato molto bella leggerla di primo mattino, prima di iniziare ad affrontare una lunga giornata di lavoro.
Mi ha rasserenato un pò.
We go out into the world in search of our dreams and ideals. We often put what is at hand in inaccessible places.
RispondiElimina