Ines
si volse sorpresa da quel gesto e i loro occhi s’incontrarono rimanendo
incatenati in modo arcano.
Una
voce dolce e mielata le fiorì nella mente:
“Mia
cara ragazza, ascolta la voce della ragione!”
Ines
sobbalzò, impaurita, sgranando i suoi occhi sulla gattina.
“Non
guardarmi come fossi un mostro. Non lo sono, anzi, ti sono amica e sono qui per
aiutarti.”
La
gattina ammiccò strofinando il musetto sulla guancia vellutata della giovinetta,
che per istinto e diffidenza si ritrasse.
“Non
aver paura di me. Non c’è ragione, credimi!” le suggerì ancora Giada, che poi
tacque per permetterle di metabolizzare il fatto che riuscisse a comunicare con lei tramite una strana connessione mentale.
Confortata
dallo sguardo franco del felino, Ines smise di tremare ed emise un sospiro.
"Una
giornata davvero particolare questa! Ora riesco anche ad immaginare di percepire i pensieri degli
animali." pensò, immaginando di aver avuto le traveggole.
“Non è poi una cosa così anomala come credi tu. In fin dei conti sono una creatura intelligente.” le comunicò ancora Giada.
Questa volta Ines sobbalzò e si ritrasse, provocando l'abbandono dalla sua spalla da parte del felino.
" A momenti mi facevi cadere, ragazza! A volte sei davvero troppo brusca." la rimproverò Giada aggrottando il musetto.
"Continui ad aver paura di me, mentre ti ho appena dato dimostrazione della mia amicizia."
Ines la scrutò a lungo prima di permettersi una risposta: « Per te sarà una cosa naturale parlare con gli umani, per me, invece non lo è!»
Sul musetto simpatico di Giada balenò una sorta di sorriso:" Sarà anche strano, però lo stai facendo!" concluse sorniona.
Solo allora Ines si rese conto di quanto assurdo fosse il suo comportamento e rise di gusto, finalmente a suo agio.
«Va bene...ammettiamo pure che riusciamo a comunicare...»
Giada la interruppe:“Vorresti
davvero denunciare al Magistris ciò che quei delinquenti avevano in animo di
fare su richiesta del Doge?”
«E
con chi altri potrei parlare se non con lui? Non è lui la massima autorità
genovese?»
“Non
credo che sia una cosa saggia. Rifletti. Quanto credito possono avere le
dichiarazioni di una ragazzina travestita da maschiaccio, che osa gettare
discredito su un personaggio importante come il Doge veneziano? Ce le hai le
prove di quanto vorresti denunciare?”
Ines
rifletté. No, non aveva nessuna prova. Le aveva scaraventate lei stessa nel
mare. Si arrese a malincuore all’evidenza dei fatti.
«Cosa
mi consigli di fare?»
“Per
il momento non fare nulla. Teniamo per noi quello che abbiamo visto e sentito e
rimaniamo in attesa degli eventi. Forse il Doge tenterà qualcosa d’altro e compirà
un passo falso, ma noi staremo ben attente e se possibile, agiremo di
conseguenza.”
«Va
bene! Farò come suggerisci.»
“Brava ragazza! Ma ora ascolta. Questa regata è alla vostra portata. Tu e i tuoi compagni potete vincerla. Gli altri equipaggi cercheranno in tutti i modi di ostacolarvi, anche facendo uso di scorrettezze. Ma se v’impegnerete, attingendo a ogni stilla di energia dentro, potete vincere, ma solo credendoci fino in fondo.
Ines
sorrise. Il pensiero della gara imminente le fece sentire un brivido di
eccitazione. L’adrenalina ricominciò a scorrere forte incutendole una sorta di
frenesia. Non vedeva l’ora di salire a bordo.
«Tu,
vieni con me, vero Giada?
“No, ragazza! Questa è una battaglia che devi combattere da sola. Non posso guidarti, ma ricorda! In te vi è la forza. Devi solo cercarla quando sarà il momento, e attingervi. Io torno al castello. Ti aspetto là! Va! E torna vincitrice.” le disse, quindi ammiccò con quei grandi occhi di smeraldo, com’era solita fare, scuotendo lentamente la lunga coda, poi con pochi passi felpati, si dileguò tra gli edifici del molo.
La
ragazza la guardò allontanarsi con rammarico, poi si riscosse. Aveva sentito
davvero la voce di Giada, o faceva parte tutto di un lungo e strano sogno?
Intanto
la pioggia era cessata del tutto e sul molo della Lanterna si era riadunata di
nuovo la folla festante.
Il vento pareva volesse spazzare le ultime nubi dal cielo.
«Ehi
ciao Ignazio!» la salutarono in coro gli amici, quando videro arrivare quello
che sembrava a tutti gli effetti un monello di strada «Sei pronto per la gara?»
«Ormai
credevamo che non arrivassi più!» disse Francesco, l’unico che conoscesse la sua
vera identità, strizzandole l’occhio.
«Non
ci avrei rinunciato per niente al mondo a questa gara!» rispose lei, irrobustendo
un po’ la vocina esile. Le sorrisero tutti con simpatia, tutti tranne Angelo, uno
dei vogatori più anziani che, appena salì a bordo dell’imbarcazione, le assestò
uno scappellotto sulla nuca, ma senza molta convinzione. Più che un gesto
violento, lo si poteva considerare una dimostrazione di rude affetto. Quel ragazzetto
dall’aria esile e gracilina era considerata la mascotte dell’equipaggio e lo trattavano
tutti come un fratellino minore.
«Ehi!! Tieni le mani a posto tu, brutta palla di lardo!» disse con voce burbera il ragazzetto allo scaricatore di porto. L’uomo grande e grosso era una montagna di muscoli, con delle mani che sembravano pale. E la protesta veemente dell’esile monello diretta all’energumeno suscitò uno scoppio d’ilarità unanime sulla barca.
Ines
si sistemò al suo posto a poppa della barca e da quel momento cercò di parlare
poco, come faceva di solito, per evitare di potersi tradire con qualche
affermazione buttata là per caso. Ci teneva troppo a far da timoniere a
quell’equipaggio e fare bella figura in quell’importante competizione.
Era
sicura che nessuna ragazza né prima né dopo di lei avrebbe mai ricoperto un
ruolo così importante e di prerogativa maschile e se l’avessero scoperta
sarebbero stati guai grossi sia per lei, che per l’equipaggio. Come minimo c’era
il rischio di far estromettere i genovesi dalla gara e quel pensiero la faceva
star male.
Eppure, la voglia di partecipare attivamente alla regata era talmente grande, che la ragazzina cercò di scacciare quel pensiero molesto dalla sua mente. Solo Francesco era a conoscenza del suo segreto e non l’avrebbe mai svelato a nessuno. L’idea del travestimento l’avevano studiata insieme, anche se la vera ideatrice era stata proprio lei. All’inizio Francesco si era opposto ma poi, dietro le sue insistenze, aveva ceduto.
Erano
mesi che si preparavano all’evento. Annunciato
dagli araldi che andavano in giro per le piazze di tutte e quattro le repubbliche
partecipanti.
Lei
e l’equipaggio si erano allenati tanto. I vogatori a remare per ore nelle acque
tranquille appena al di fuori del porto, con lei sulla poppa della snella
imbarcazione a battere il ritmo della voga sul tamburo e guidandoli nella
direzione giusta con le sue urla, che dovevano servire anche da sprone. Uno dei
suoi compiti era anche quello di segnalare all’equipaggio tutti i movimenti
delle altre barche.
L’emozione
era tanta e man mano che si avvicinava il tempo della partenza saliva anche l’eccitazione.
La
folla assiepata sui moli era festosa. Per la maggior parte erano genovesi
accorsi ad acclamare l’armo rossocrociato.
Ogni
imbarcazione era riconoscibile da lontano attraverso i colori con cui veniva dipinta, dalle polene poste sulla prua che raffiguravano l'animale simbolo di ciascuna città e dai
vessilli che garrivano alti al vento, appesi sullo specchio di poppa. Il colore di Amalfi era l’azzurro, con il vessillo e la
polena raffigurante un cavallo alato, quello di Genova era il bianco con la croce rossa e la polena era il
drago di S. Giorgio, quello di Pisa era il rosso, con la polena dell'aquila e quello di Venezia era il colore verde con il leone alato.
La
regata si sarebbe svolta su un percorso lungo due chilometri tracciato con boe
di segnalazioni, che partendo dalla collina Promontorio, nei pressi della
Lanterna, si sarebbe diretta a ponente e dopo un chilometro esatto e un giro di
boa, le barche sarebbero tornate indietro verso i Magazzini del cotone,
costeggiando il Molo nuovo.
Il
sorteggio delle corsie era già avvenuto pochi minuti prima. Tutto era pronto. Il Magister che aveva scritto le regole della
gara, le scandì agli equipaggi con aria seriosa. Aveva stabilito in precedenza che
era vietato invadere la corsia di una barca avversaria, pena la retrocessione
all'ultimo posto decretata dalla giuria. Era permesso, invece, il cambio del
numero d'acqua, ma solo nel caso in cui un equipaggio si fosse portato di
un'imbarcazione avanti, rispetto all’avversario. Queste erano le poche,
elementari regole da rispettare.
Il
Magister fece una pausa d’effetto, squadrando con cipiglio autorevole gli
equipaggi allineati nelle loro corsie, quindi, augurando “Buon vento” si
allontanò, lasciando la scena al passaggio del corteo storico genovese.
Le
trombe squillarono annunciando l’ingresso sulla scena del corteo.
Lo
aprivano gli alfieri con i vari vessilli: il gonfalone di Genova, quello di S.
Giorgio, quello dell’Embriaco e quello non meno importante dei Doria, Signori
della città. Poi venivano i nobili con
le nobildonne graziosamente appoggiate alla mano del loro compagno e di seguito
tutti gli altri. Alla cittadinanza presente sembrò uno dei cortei più belli e
più fastosi tra tutti quelli che avevano partecipato alla manifestazione, e
probabilmente lo era, considerato che erano i genovesi i padroni di casa e che ci
tenevano a fare bella figura.
Sul
molo dei magazzini del cotone, che arrivavano quasi a ridosso dell’imponente
mole della Lanterna, stavano assiepate migliaia di persone, mentre di fronte
allo scalo del ponte Doria, ne stavano assiepate altrettante. La gente sentiva
la competizione, e non erano pochi quelli che ne avevano approfittato per
mettere su un giro di scommesse.
Le
imbarcazioni con i loro equipaggi erano già allineate e aspettavano solo il via
da una delle barche che le avrebbe seguite dappresso, con i giudici di gara come
passeggeri.
Le
urla della gente salirono ancor prima della partenza.
Gli
equipaggi si studiarono a lungo, squadrandosi in tralice. Ognuno degli uomini
prendeva in giro questo o quel membro dell’equipaggio avversario, cercando di
sminuire al massimo gli altri. Per questo motivo, quando un rematore della
barca veneziana vide l’esile timoniere, già pronto con il tamburo tra le mani,
scoppiò in una risata dileggiante:
«I
genovesi hanno messo un sacchetto di pulci striminzito alla guida della loro
tinozza!» Nessuno dei rematori genovesi rispose alla provocazione.
«Ma
dove volete che vi guidi, quel ragazzetto? A Boccadasse?» fece eco un pisano. Boccadasse
era uno dei borghi marinari più suggestivi della città di mare e si trovava a
poca distanza dall’arrivo delle barche, ma comunque molto fuori rotta.
«Ridete,
ridete pure!» sussurrò il piccolo timoniere «Sprecate pure tutto il fiato che avete
in gola, che a noi ne verrà il tornaconto durante la gara. Ridete stupidi
marinai di acqua sporca!» ripeté quasi tra sé, con evidentemente riferimento
alle acque stagnanti che bagnavano la bella Venezia. Poi, non ebbe il tempo di aggiungere altro,
perché il giudice diede il via alla gara sparando in aria un mortaretto.
L’urlo
unanime della folla accompagnò la partenza.
Ines
si concentrò e iniziò a dare la cadenza alla voga, con un ritmo sostenuto quel
tanto, da non perdere il contatto con le altre imbarcazioni. Fu subito chiaro
che gli equipaggi avrebbero dato il meglio di loro stessi e che nessuno avrebbe
concesso all’altro il benché minimo vantaggio.
L’imbarcazione
dei pisani cercò gradatamente di occupare lo specchio di acqua dei genovesi, ma
lo fece in modo così lento, che i giudici che precedevano le imbarcazioni in
gara, non se ne resero conto subito. E quando i sostenitori dei padroni di casa
riuscirono ad attirare l’attenzione di uno di loro, ormai il danno era fatto e
non era più riscontrabile, né penalizzabile.
Ma
se i pisani risultarono scorretti, gli amalfitani presero subito uno slancio
imprevedibile. Con pochi, ma efficacissimi colpi di voga, durante i primi
cinquanta metri si portarono alla distanza di una barca dalle altre
imbarcazioni e dopo nemmeno duecento metri, il vantaggio era salito a due
barche.
Ines
cercava di tenere sotto controllo i vari equipaggi, ma aveva capito sin dai
primi minuti di gara che non erano certo i pisani o i veneziani quelli da
temere, ma solo e soltanto l’imbarcazione di Amalfi che aveva sin dal primo
minuto di gara dato un ritmo di voga impressionante.
C’era
da domandarsi per quanto tempo i campani avrebbero potuto sostenere quel ritmo.
Ines pensò che fosse una tattica quantomeno temeraria, perché la gara era ancora
lunga, ed era meglio conservare un po’ di fiato per lo sprint finale. Si limitò
allora a non perdere il contatto con Amalfi, facendo sì che il vantaggio di due
lunghezze di barche tra loro, non andasse ad aumentare.
Al
giro di boa, ormai a metà gara, Ines vide i magazzini del cotone avvicinarsi, e
decise che era il caso di riprendere i rivali.
Iniziò
a cadenzare una voga più veloce, senza nemmeno considerare la barca di Pisa e
quella di Venezia e commise un errore di valutazione che mise quasi fine alla
gara.
I
veneti avevano giocato bene le loro carte misurando le loro forze a ogni
vogata. Infatti, dopo il giro di boa, sciolsero la loro voga facendo fare alla
barca un velocissimo balzo in avanti.
Ines era stata così impegnata a inseguire Amalfi da accorgersi del pericolo soltanto quando il
leone della polena veneta era quasi alla pari della loro barca.
Si
diede della sciocca per aver sottovalutato gli altri armi. In quel momento il leone alato minacciava seriamente quella che era la loro seconda posizione.
Per
alcuni minuti aveva creduto di potercela fare a superare Amalfi, che come lei aveva
previsto, aveva ceduto vistosamente ma ora, la vera minaccia era rappresentata
da Venezia.
Ines
urlò, incitando i suoi rematori, che risposero imprimendo più forza nella voga. Aveva visto i veneti passare di quasi metà imbarcazione davanti a loro, ma era riuscita a riacciuffarli.
Mancavano
solo duecento metri all’arrivo e le due barche navigavano appaiate,
alternandosi di pochi centimetri l’una dall’altra alla testa della gara.
I
metri si ridussero a cinquanta e Ines percepì che gli uomini stavano cedendo.
Anche lei avvertiva la tensione e la stanchezza. A furia di urlare non aveva più fiato, né forza nelle
braccia. Sentiva la gola bruciare dallo sforzo di incitare ora questo, ora quell’altro
compagno in difficoltà. Le dolevano persino le braccia per lo sforzo di battere
sul tamburo, ma cercò di resistere.
“Non
posso cedere proprio adesso che siamo alla fine” si disse e urlò ai compagni: «Non
dovete cedere! Mancano pochi metri! Forza che ce la facciamo!»
Sentiva ormai l’urlo immane della gente
assiepata sul molo, sembravano tutti impazziti, allora con un ultimo disperato
urlo d’incoraggiamento verso i suoi compagni, accompagnò la loro voga spingendo
addirittura con le reni in avanti per gli ultimi dieci metri.
Quando
arrivarono ai magazzini di cotone la gente tacque, borbottando. La vittoria era
dubbia e la folla si ammutolì in attesa. Per qualche minuto i giudici
confabularono tra loro. Gli atleti di entrambi gli armi iniziarono a innervosirsi.
Era poco chiaro quale delle due polene avesse toccato per prima il molo e risultò
difficile stabilirlo.
Gli
equipaggi si guardavano in cagnesco sfidandosi a vicenda e lanciandosi insulti con il poco fiato che rimaneva loro. Le voci erano affannate. Era stata una gara dura e nessuno voleva cedere la gloria.
Si
fecero avanti anche gli emissari del Doge per tentare di avvallare la vittoria
di Venezia, ma i giudici respinsero con decisione ogni interferenza.
Per pochi, concitati minuti regnò un silenzio assoluto, poi venne decretata la vittoria di Genova.
Un
urlo immane, che diventò boato portato dal vento e raccolto dall’eco, risuonò a
lungo tra le colline che dominano la bella e fiera città di mare.
Castello
d’Albertis 2004
Agnese
si svegliò di soprassalto. Si era addormentata profondamente. Doveva aver dormito parecchio tempo a
giudicare dall'oscurità in cui era immersa la stanza, oscurità rotta solo dal
fascio di luce della Lanterna, che a intervalli regolari penetrava nella
torretta del castello.
La
ragazza si riscosse, accorgendosi di aver ancora Bastet acciambellata sulle sue
gambe. Si soffermò ancora qualche istante ad accarezzarne il pelo soffice,
mentre la sua mente riandava al sogno appena fatto. Possibile, si chiese? Era
stato tutto talmente reale, che aveva l'impressione di averlo vissuto attimo
dopo attimo. Ricordava la sensazione d'orrore provata alla vista dei topi infetti,
come ricordava il batticuore dovuto alla tensione, alla paura quando era salita
di nascosto sul galeone. E poi la corsa trafelata sotto la pioggia battente, la
fuga e ancora la gara. La regata combattuta fino all'ultimo e senza esclusione
di colpi da parte degli equipaggi avversari.
Non
potevano essere solo sensazioni quelle vissute. Doveva essere successo qualcosa,
non sapeva bene cosa, che l'aveva trasportata nel passato. Agnese si fermò
colpita da un'idea improvvisa. La mano a mezz’aria nell’atto di accarezzare, chiamò sommessa la gattina che ronfava sonoramente:
«Bastet,
guardami!» disse con voce appena percettibile. E mentre la gatta levava gli
occhi color smeraldo su di lei, un’emozione infinita le provocò lunghi brividi sulla
pelle.
«Tu
sai com’è andata a finire per il Doge di Venezia?»
Bastet
si sollevò, sbadigliando e stirandosi, poi scese con un balzo e con passo
felpato si diresse verso lo stipo che conteneva una serie di libri dall’aria
antica.
La
sua coda roteava, battendo in modo particolare contro un tomo.
Agnese
si alzò e prelevò il libro indicato. Il titolo, inciso in caratteri dorati era “Le
quattro Repubbliche marinare”.
La
ragazza tornò a sedersi e iniziò a scorrerne le pagine.
Fine
Racconto di Vivì pubblicato sul sito Scrivere
Un brano intenso, e avvincente, che ho molto apprezzato nella sua densa lettura
RispondiEliminaBuongiorno cara Vivì,silvia
Molto affascinante
RispondiEliminaUn carissimo saluto
Giorgio
Che bella favola!
RispondiEliminaTiene col fiato sospeso dall'inizio alla fine della lettura.
Complimenti Vivì.
Mentre ho iniziato la lettura ho guardato il mio amore a 4 zampe e gli ho parlato, i suoi occhioni mi hanno guardato..era pur sempre una risposta..ed ha continuato a gurdarmi quando gli ho descritto san Giorgio sul drago (è il patrono del mio paese abbiamo quadri e sculture) distrattamente si è sdraiato in attesa di coccole..capita a volte di fare sogni cosi reali! A volte mi è capitato di aggrapparmi alla sensazione per non svegliarmi..è capitato anche a me di svegliarmi e cercare un libro..un testo lo cerco ancora, un libro vecchissimo una prima edizione di lorenzo stecchetti in arte olindo guerrini
RispondiEliminaUn piacere leggere i tuoi racconti
Ero passata anche per la favola ma non ho trovato una favola nuova
Buona giornata Vivì
È vero che certi sogni si vivono così intensamente da sembrare realtà. Una bellissimo racconto che ci fa quasi vivere una straordinaria manifestazione e... A tratti veniva quasi da fare il tifo. Complimenti per la tua fantasia e capacità narrativa.
RispondiEliminaUn racconto ricco di fantasia e fascino paranormale. In certi punti sono rimasto con il fiato sospeso e la gara finale tutta da vivere. Complimenti Vivì.
RispondiEliminaUna storia che riporta alla vita di centinaia di anni fa. Molto coinvolgente dall'inizio alla fine. Mi è piaciuta molto ed è un peccato che sia già finita. Tornerò di certo a rileggerla. Ciao Vi. Alla prossima Leo.
RispondiEliminaCiao Vivi, era da un pò che non passavo a trovarti e così ho recuperato anche gli altri due post relativi alla "storica regata".
RispondiEliminaChe meraviglia!
Sei proprio bravissima a scrivere, ti faccio i miei più sinceri complimenti.
Grazie mille Stefania...sono molto contenta che ti sia piaciuto. Grazie ancora e a presto per un altro racconto.
EliminaAdoro la prima parte di questo racconto.Leggendolo mi sono trovata in quei luoghi,cosìro particolari e bellissimi della superba Genova.Intorno a me persone attive e vibranti,nella loro vita quotidiana.Emozionante ed esplosiva la gara.Ero lì,presente, a seguirne lo svolgimento con il fiato sospeso a tifare x Genova ma soprattutto x Ignazio.Indimenticabili personaggi!!Ciao Vivì,sei sicura che la tua penna non sia uscita da una magica lampada?.Lu.
RispondiEliminaGrazie Lù...sai che in me si nasconde un Jinn, tanto magico e potente che mi consente di sognare e da quei sogni estrapolare favole e racconti. 😜😜😜 Speriamo che non si stanchi e non si esaurisca mai. Questo Jinn è un vero genio! 😎 Ciao Lù. Un bacione. ❤❤❤
RispondiEliminaOh, finalmente arrivo anch'io!!!
RispondiEliminaBello davvero! E il finale spazzante! Un sogno oppure la giovane ha rivissuto un'esperienza vera di una vita precedente?
Ma lo sai che sei davvero brava???
Ciaooo