Fantasia

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martedì 1 giugno 2021

Il monastero del Canto del Vento (4a parte)

 


Istintivamente, cercai con lo sguardo quello dell'imperatrice e lo ritrovai, puntato su di me, leggendovi un’inquietudine senza fine. Strinse a sé i piccoli, avvolgendoli il più possibile nel suo caloroso abbraccio.

I lupi apparvero all'improvviso, come materializzati dal nulla. I nostri archi erano già tesi con le frecce incoccate e diedi l'ordine di lanciare.

Tutto quello che accadde dopo lo vissi come al rallentatore. Sotto la prima raffica di frecce, caddero almeno cinque lupi, ma con una sola occhiata mi resi conto che non si trattava di un piccolo branco, bensì di un'intera orda famelica.

Dopo il primo tiro, nessuno di noi ebbe il tempo di incoccare, per cui sfoderammo le spade.

Ma se noi sguainavamo le temibili spade ricurve, le belve sfoggiavano zanne altrettanto spaventose. E dopo il primo attimo di sbandamento dovuto al nostro tiro micidiale, l'audacia dei lupi aumentò e iniziarono ad avanzare con cupi brontolii.

Uno dei miei compagni fu aggredito da tre belve contemporaneamente, creando un vuoto nella nostra difesa. Sentii l'urlo unanime dei principi terrorizzati e quello altrettanto angosciante dell'imperatrice.

Accecato dalla neve sferzante e dal furore della battaglia, la vidi di sottecchi mentre balzava in avanti, come fosse stata lei stessa una belva, ma in quel momento non realizzai cosa stesse facendo. Poi, il mio sguardo cadde davanti a lei e constatai con orrore cosa fosse accaduto. Un lupo era riuscito ad afferrare tra i denti un lembo della tunica di uno dei bambini e stava trascinando via il piccolo terrorizzato, mentre la madre, alla pari di una leonessa che difende i suoi cuccioli, tentava in tutti i modi di strapparglielo dalle fauci.

             

        

Quella scena mi ghiacciò il sangue nelle vene. Reagii in un battibaleno, gettandomi con la spada sulla famelica belva.  Sferrai   un colpo netto e violento con la mia lama e la sentii affondare nelle carni della bestiaccia ringhiosa. La sentii guaire e capii che aveva abbandonato la presa sul piccolo, che trovai abbandonato sulla neve con gli occhi sbarrati dall'orrore, e con l'urlo rimasto strozzato nella gola. Perlomeno era incolume.

Lo sollevai velocemente, e senza nemmeno porre il caso alla delicatezza, lo restituii alla madre, scortandoli al centro del cerchio difensivo.

Ricevetti in cambio un mesto cenno del capo e tornai a combattere, trovandomi ancora una volta, spalla a spalla con i miei compagni, ad affrontare zanne e artigli e fauci bavose.

Se fosse stato solo per la mia vita, non mi sarei preoccupato più di tanto, ero stato addestrato ad affrontare ogni tipo di situazione e di pericolo. Era piuttosto il pensiero di lei e dei bambini che in quel momento mi angosciava.

Scrollai la testa da inutili dubbi. Non potevo fare altro che combattere e mi preparai, ergendomi in modo imponente, molto simile a un grande orso furioso. Se avessero prevalso, a quei lupi sarebbe costata molto cara la vittoria. Incitai i miei compagni a fare altrettanto, urlando per sovrastare gli ululi del vento e i ringhi del branco.

Sconcertati dal tono e dall’improvviso cambiamento in atto, le belve esitarono. Vi fu qualche attimo di stasi e ne approfittai per studiare la situazione. Altri lupi si erano aggiunti a quelli già presenti ed erano tanti, da non riuscire nemmeno a contarli. 

In quel momento il capobranco emise un lugubre ululato, che preannunciava un nuovo attacco.  

 Eravamo giunti alla resa dei conti e mancava poco alla fine. Alla nostra fine! Non esisteva possibilità di salvezza, perché loro erano in troppi. Ed evidentemente il branco lo presagiva, pregustando la vittoria e la ormai prossima scorpacciata di carne.

La rabbia e la frustrazione mi accecarono e fui il primo a lanciarmi contro il capobranco, che si protendeva, ringhiando e sbavando proprio davanti a me. Le sue dimensioni e la sua ferocia mi sorpresero. Per un istante ci eravamo squadrati, ed entrambi avevamo compreso di essere noi i capi e che dovevamo sfidarci. Per noi sarebbe stata vita o morte e la vittoria dell’uno o dell’altro avrebbe comportato la resa immediata del suo seguito. Durante i lunghi anni di addestramento al monastero, avevo imparato che, se privato di una guida decisa e coraggiosa, un intero esercito può finire allo sbando. Evidentemente, era una nozione che, per istinto, conosceva bene anche il mio avversario a quattro zampe.  

Con uno scatto possente la belva divorò la distanza che ci separava ma, proprio in quel momento, un cupo e profondo boato esplose, come cento tuoni fragorosi nell'aria.

Quel rumore assordante ci paralizzò sul posto, lasciandoci basiti. Non avevo mai sentito nulla di simile! I lupi volsero il loro sguardo atterrito alla cima della montagna e dopo solo un attimo di esitazione, scattarono, fuggendo come tanti demoni e dileguandosi nel marasma della bufera.

L’urlo mi salì dal cuore: «Una valanga! Presto! Dobbiamo toglierci da qui!»

Senza badare ai modi abbrancammo sotto le nostre braccia i ragazzini e iniziammo la nostra folle corsa verso la salvezza seguendo la direzione dei lupi, sapendo che gli animali, per istinto, ci avrebbero guidati in salvo.

Fu la disperazione e l’istinto di sopravvivenza a darmi la forza e la velocità necessaria a sfuggire alla valanga di neve che si stava riversando dal pendio. Affondavamo sì nella neve ormai alta, ma niente e nessuno sembrava in grado di fermarci.

Sentivo la slavina dietro le mie spalle come fosse stata una belva mostruosa e famelica. Ero in grado di capire, quasi contare ogni masso e ogni tronco divelto e raccolto dal suo abbraccio mortale e trascinato con violenza verso valle. Ero in grado di intuire dal fragore, quanti metri ci separavano da essa. Pochi! Troppo pochi! Con uno sforzo sovrumano urlai, spronando i miei compagni, e cercando di non perdere contatto con coloro che avevo mandato alla ricerca del rifugio. Purtroppo, mi accorsi ben presto che non potevano sentirmi per il marasma causato dalla tempesta e perché l’ansia della salvezza ci aveva distanziati di parecchi metri.

Per fortuna, però, avevano raggiunto un punto abbastanza al riparo dalla valanga e quella constatazione mi donò un po’ di sollievo, poi fui costretto a guardare in avanti e li persi di vista.

In certi momenti di quella folle discesa mi ritrovavo accecato dal turbinio della neve, ansante e disperato, senza la possibilità di scansare eventuali e improvvisi ostacoli. Trasportavo i due ragazzini come fossero fantocci senza peso e loro non reagivano. Non ne avevano più la forza, poverini!

A un certo punto, però, mi sembrò persino che qualcuno mi avesse sollevato e che stessi volando e con un brivido mi resi conto che, nonostante tutti i miei sforzi, il grosso della slavina ci aveva raggiunto e io mi ritrovai di nuovo nei guai.

Alle mie spalle un mostro dalle dimensioni immani ruggiva, protendeva le sue fauci e tentava di ingoiarmi. Per un attimo sentii venir meno il mio spirito battagliero. Ero di nuovo allo stremo e sarebbe stato facile lasciarsi andare cercando l’oblio, ma ero responsabile della vita dei bambini e se avessi ceduto, anche solo per un attimo, sarebbe stata la fine. Scacciai quel dubbio e mi schiarii le idee ponendo più attenzione a quello che accadeva intorno.

La neve che precipitava dal colle mi aveva sollevato da terra e rischiavo di cadere da un momento all’altro. Mi concentrai. Nulla mi doveva distrarre, né la miriade di tronchi divelti né i massi che mi rotolavano intorno rischiando di investirmi. Cosa potevo fare se non cercare di evitarli?

All’improvviso mi venne un’idea. L’unica possibilità era adattarsi alla complicata situazione come l’acqua che si adatta al suo contenitore. E allora mi allacciai entrambi i miei fardelli al collo raccomandando loro di tenersi forte, poi allargai le braccia e seguii il montare dell’onda nevosa che si gonfiava sempre di più ritrovandomi al suo apice e cavalcandola come fosse quella del mare. 

Non era affatto semplice mantenere l’equilibrio con i due bambini avvinghiati ma, mi lasciai trasportare, scivolando e cercando in tutti i modi di non affondare. Per qualche momento, addirittura, la sensazione provata fu esaltante. Nonostante il fragore terrificante provocato dalle tonnellate di neve che precipitavano a valle insieme a me, io riuscivo a volare. In quella sciagurata situazione riuscii anche a sorridere.

Non so come, ma ce la feci a deviare e a uscire dalla traiettoria della slavina e, a un certo punto, me ne ritrovai fuori.  

Mi fermai senza fiato, con i bambini abbarbicati tenacemente alla mia persona. Poveri piccoli! Mi guardavano con occhi sgranati senza un lamento e senza una lacrima. Poi, il più piccolo mi sorrise e per me fu come un raggio di sole che si fa largo tra le nuvole.

Era un sorriso birichino, incredulo, come solo i bimbi sanno fare quando ricevono un regalo insperato.  Posai per terra entrambi e li guardai. L’altro strizzò gli occhi e li sgranò, poi scoppiarono a ridere e allora compresi che i due si erano divertiti. Per loro si era trattato di un gioco!

Sorrisi a mia volta ringraziando gli dei perché i piccoli non avevano compreso l’entità della catastrofe che li aveva visti protagonisti e per non averli fatti penare durante la rocambolesca discesa.

In un moto di tenerezza li strinsi ancor di più a me e poi li guidai nella risalita alla ricerca degli altri compagni.

Li trovai a poche centinaia di metri che mi stavano aspettando.

Tien mi venne incontro facendosi carico dei bambini e poi ci riunimmo al gruppo.

Feci la conta con un nodo alla gola. Eravamo rimasti in pochi. Una decina di guerrieri e l’imperatrice, più i bambini.

Cercai lo sguardo di Maylin e questa volta lo trovai colmo di lacrime di sollievo. Abbracciò i suoi figli con trasporto e i monelli presero a raccontare, saltellando gioiosamente, quanto era avvenuto.

Il mio amico mi diede una pacca sulla spalla: «Credevamo di avervi perso! Ma tu sei stato in gamba, come sempre!»

Gli risposi con un cenno e quasi caddi sulla neve per la stanchezza. Mi tremavano le gambe. L’adrenalina fluita nelle mie vene per tutto il tempo della fuga aveva lasciato uno strascico di grave paralisi nella mia fibra. I muscoli dei polpacci mi bruciavano per il grande sforzo subito e mi cedettero. Tien mi afferrò e mi costrinse ad appoggiarmi a lui, poi mi sostenne fino a quando arrivammo alla caverna.

Ci sistemammo come meglio potevamo e io mi lasciai cadere avvolto in una coperta, lasciando agli altri il compito di provvedere ai bambini.

Sentii il fragore della slavina scemare lentamente, finché nell’aria rimase solo il sibilo del vento, quindi un terribile silenzio avvolse il mondo all’esterno del nostro rifugio.

Avrei voluto dormire per recuperare un po’ di energie, come del resto facevano gli altri,  ma ero troppo stanco e irrequieto. Pensavo alla discesa che dovevamo affrontare l’indomani.

E inevitabilmente la cercai con lo sguardo.

La vidi supina, con i piccoli stretti al suo corpo. Il suo volto era tanto pallido da apparire diafano. Aveva gli occhi chiusi, e il pensiero che stesse male o, peggio ancora, che fosse morta, mi colpì come uno schiaffo e il mio cuore perse un battito.

Dimenticando la spossatezza mi trascinai vicino a lei. Non dava segni di vita.  

Le cercai le pulsazioni sul bianco collo esile e le trovai. Seppur in modo appena percettibile, il suo cuore batteva. Era svenuta, forse per la stanchezza o per il troppo stress subito a causa della morte del marito e a tutte le disavventure vissute da quel momento.

Provai una grande pena per lei e il suo futuro ma, nel contempo, tirai un sospiro di sollievo e mi apprestai a rianimarla con piccoli schiaffetti gentili sulla sua mano.

Per qualche secondo ne studiai la reazione e percepii il mio cuore carambolare nel petto.  Avendo l’opportunità di guardarla da vicino potei rendermi conto di quanto fosse giovane, di quanto fosse indifesa in quel momento e di quanto fossero fini e delicati i suoi lineamenti. Aveva una pelle di porcellana e labbra ben delineate, rosee…labbra da baciare.

Solo allora realizzai la profondità del sentimento che in quei giorni, era maturato per lei nel mio cuore. Non me ne resi nemmeno conto, ma il mio volto si avvicinò pericolosamente al suo e mancò un soffio che la mia bocca sfiorasse la sua.

In quel momento i suoi occhi si aprirono con un battito di ciglia, come il frullo di ali di farfalla, e a me parve di annegarvi dentro.

I suoi occhi mi parlavano con una dolcezza infinita e io, in quei brevi istanti persi la mia anima in quella soave della splendida creatura.

Lei, percepì tutta la mia emozione perché arrossì, scostandosi, quindi nascose il suo sguardo in un gesto discreto abbassando il bel volto.

«Come ti senti, mia signora?» le domandai con premura.

Lei sorrise dolcemente: «Molto meglio, comandante» sussurrò, con un filo di voce «Dev’essere stata la stanchezza.» 

Annuii. Le sue guance stavano riprendendo colore e, rassicurato, ricambiai il suo sorriso. Poi mi ricomposi, tornando a essere il guerriero che ero ma, in una tacita promessa, le dedicai la mia devozione per sempre.

Tornai al mio posto e questa volta mi addormentai con il suo sorriso impresso nella mente.

Con la notte l’oscurità piombò nella caverna. Il fuoco che avevamo acceso per tenerci al caldo andò a smorzarsi lentamente, senza che nessuno fosse in grado di ravvivarlo. Era come se ognuno di noi avesse dovuto sostenere un furioso combattimento per un’intera giornata. Dormivamo tutti e non ci rendemmo conto di quello che accedeva fuori.

All’esterno la bufera infuriò per molte ore e solo al mattino smise di nevicare. 

Purtroppo, quando ci svegliammo, trovammo una brutta sorpresa.

Per proteggerci dalla bufera e dal vento gelido, ci eravamo rifugiati in un anfratto, il più lontano possibile dall’ingresso. Come capo spedizione avevo anche ritenuto inutile mettere un uomo di guardia, anche perché eravamo tutti esausti e non era il caso.

Di conseguenza nessuno di noi si accorse che i rumori della tempesta si attutivano perché l’ingresso veniva lentamente ostruito da tonnellate di neve ghiacciata, fino a rimanere del tutto sigillato.

Eravamo prigionieri e quel ghiaccio era la nostra lastra tombale.

continua...

                                                                      


Racconto pubblicato nel 2012 da Garcia edizioni

immagini Phoneky e Pinterest

                                                   

                      

6 commenti:

  1. E' sempre un grandissimo piacere, vivere la speciale atmosfera, dei tuoi racconti fantasy...
    Buona festività e un abbraccio, mia cara,silvia

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  2. Un bel racconto molto ben scritto e coinvolgente ricco di pathos e suspence. Molto apprezzato nella sua stesura. Un saluto cordiale. D.F.

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  3. Muy agradable disfrutar de tu relato.
    Tus letras son bellas.
    Te deseo un feliz mes de Junio.
    Un abrazo.

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  4. Molto bello e coinvolgente dall'inizio alla fine. Complimenti.

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  5. Bellissimo e coinvolgente racconto che attrae il lettore. un caro saluto Vivì, grazia!

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