Mi maledissi per la mia stupidità e con i miei
compagni saggiammo la consistenza dell’enorme tappo venutosi a creare, usando le
lame delle nostre spade, ma capimmo subito quanto quella barriera fosse insuperabile.
La nostra speranza di salvezza si infranse in
quel terribile, tragico momento. Non avevamo nessuna possibilità di uscire da
quella prigione di ghiaccio.
«Che facciamo?» mi domandò con aria lugubre il
mio amico Tien.
Cercai di non farmi suggestionare dal tono e mi
guardai intorno.
I bambini e l’imperatrice erano svegli e a
causa del gelo tremavano come foglie al vento cercando di scaldarsi restando
abbracciati. Le loro labbra erano già livide e mi guardavano, domandando con
occhi speranzosi di trovare una soluzione.
Dovevamo accendere un fuoco se non volevamo che
morissero di freddo.
Che importanza aveva se le fiamme avessero consumato
l’ossigeno nella caverna? Il nostro destino era ormai segnato. Senza viveri
quanto avremmo potuto resistere tutti quanti?
Le fiamme avvamparono subito, e noi ci sedemmo
tutti attorno al fuocherello ottenuto, cercando un po’ di calore. Il mio sguardo
venne catturato dal gioco di luci e ombre che si riflettevano lungo le pareti
rocciose, e all’improvviso mi avvidi della direzione che prendevano le lingue
di fuoco.
I miei compagni notarono lo stesso fenomeno: «Guarda
Hui! La fiamma si muove verso il fondo!»
Balzai in piedi: «C’è una corrente d’aria!»
Le nostre speranze rinacquero come il fuoco che
stavo guardando.
«Vieni con me, Tien!» ordinai, lasciando gli altri
guerrieri a badare ai bambini.
Accesi una torcia di fortuna e cominciammo ad
esplorarla, facendo sempre attenzione al movimento della fiamma.
La caverna era molto grande e s’inerpicava in
salita. Il percorso era irto di stalagmiti che spuntavano all’improvviso ostacolando
il nostro cammino mentre, dall'alto, pendevano stalattiti del tutto calcificate
o cristalline e trasparenti. Uno spettacolo mozzafiato, da apprezzare e
ammirare in situazioni meno drammatiche.
Camminammo a lungo, stando bene attenti a non
scivolare su quel terreno insidioso.
E finalmente cominciammo ad avvertire il sibilo
del vento. Quando infine, superata una curva nella roccia sentii l'aria gelida ghiacciarmi
la pelle, capii che non saremmo morti come tanti topi in trappola.
E quando poco dopo uscimmo tutti all'aria
aperta, l'alba rischiarava appena con un chiarore rosato a oriente. Respirammo
a pieni polmoni l'aria pulita.
Della valanga, da quella parte del versante,
non c’era traccia.
Rifacemmo il percorso a ritroso con lo spirito
più sollevato, tornando a riprendere la famiglia reale per scortarla in salvo.
Monastero
Del Canto Del Vento
Smisi di raccontare la storia di mio padre e mi
guardai attorno. Il mio sguardo sfiorò a uno a uno gli astanti. Mi accorsi che
nell’aria aleggiava un senso d’incredulità misto a stupore. Mi venne naturale chiedermi
quanti di loro credevano effettivamente a tutto ciò che stavo narrando, quando
vidi il Gran Maestro alzarsi e venirmi accanto.
Aveva indovinato chissà come i miei pensieri,
raccogliendo tutti i miei timori, per questo prese la parola.
«Tutte queste disavventure le ho vissute di
persona. Su alcune degli eventi narrati questa sera, nella mia memoria era sceso
il velo dell’oblio. Ma sono rimaste sempre lì sopite, forse, ma pronte a
risorgere in modo fulgido nella mia mente. Rielaborare le nostre avventure
narrate in modo così avvincente da questo giovane aspirante guerriero, mi ha
colmato il cuore di profondo trasporto e commozione. Credo che dovremmo essergli
grati tutti quanti, perché ci sta rendendo partecipi dei ricordi di un eroe,
dei ricordi di suo padre.»
Fui profondamente grato al Venerando, per il
suo intervento in mio favore, poiché quando guardai nuovamente i presenti, mi
accorsi che una nuova luce brillava nei loro occhi. Con gran dispiacere di
tutti, ripresi il mio racconto solo la sera dopo.
Montagna
Sacra 20 anni prima
“Ci incamminammo ancora una volta gli uni
legati agli altri, tenendo i piccoli al centro della colonna. La neve era caduta
abbondantemente quella notte, e noi affondavamo fino alle ginocchia. Per i
piccoli principi il cammino risultò estenuante, eppure, ebbi modo di ammirare
il loro coraggio, perché seppure esausti, non diedero mai segnali di debolezza.
La nostra faticosa marcia nella neve durò per
buona parte della mattinata, ma quando riuscimmo a venirne fuori, decisi che
era ora di andare a caccia. Lasciammo dei compagni di guardia alla famiglia
reale e ci avviammo. Tutti quanti noi avevamo bisogno urgente di cibo.
In quelle condizioni così estreme, non era
certo facile trovare qualche preda da cacciare. Per questo una volta
individuata, non potevamo permetterci di fallire il colpo.
Eravamo in tre armati di archi e lance. La
nostra mira era considerata da tutti infallibile.
Ognuno di noi, grazie all’addestramento
durissimo e selettivo, aveva la capacità di amalgamarsi perfettamente alla natura
che ci circondava. Ognuno di noi era in grado di diventare parte della natura
stessa scomparendo, mimetizzato in una macchia boschiva, un tronco d’albero, o
addirittura un animale della stessa specie cacciata, grazie a un provvidenziale
camuffamento.
Avevamo avvistato un alce di montagna dal grande
palco palmato. La carne di quell’esemplare adulto sarebbe risultata sicuramente
troppo coriacea per i nostri piccoli, ma mi dissi che essendo la stagione degli
amori, quel grande maschio ci avrebbe condotto dalle femmine e dagli esemplari
più giovani dalle carni tenere e succulente. Decisi così di seguirlo, non prima
però di esserci messi controvento, e non prima di aver mimetizzato il nostro
aspetto, con fronde e piccole corna legate sulla testa. Le stesse corna che il
maschio era abituato a vedere nel branco e che noi avevamo recuperato dai resti
scheletrici di animali morti da parecchio tempo. Dopo aver coperto il pallore
dei nostri visi sporcandoli con il fango guardai i miei compagni. Con le coperte
di lana grezza legate sui dorsi, il travestimento era perfetto, e anche se
l’alce si fosse accorto di noi, in mezzo alle ombre naturali del sottobosco,
sarebbe risultato difficile non scambiarci per qualche creatura silvestre.
Così iniziammo a seguire l’animale.
L’alce venne allarmato parecchie volte da
qualche rumore sospetto provocato da noi, e ogni volta aveva smesso di brucare,
drizzando all’improvviso il testone e, allungando poi il lungo collo elegante,
cercava di captare ogni segnale di pericolo. Ma noi eravamo entrati a far parte
della natura circostante risultando pressoché invisibili, cosicché il maschio
ogni volta era tornato tranquillamente a brucare, e a dirigersi con il piccolo
trotto verso il resto del branco.
Lo seguimmo in silenzio finché non arrivammo a
una piccola radura dove ci apparve improvvisa un’immagine paradisiaca. Una piccola
mandria, formata dalle femmine con le corna aggraziate e dai manti color
caramello, con accanto i piccoli voracemente attaccati alle mammelle gonfie di
latte.
Immagini di quiete e di serenità dopo tante travagliate
vicissitudini. Incoccai una freccia nel piccolo arco da combattimento, non
senza chiedermi se fosse veramente giusto quello che stavo per fare.
Scacciai quel pensiero molesto adducendo che se non l’avessi fatto le persone che mi era state affidate avrebbero
patito gli stenti. I più piccoli avevano bisogno di nutrimento al più presto.
Fu così che adocchiata una giovane femmina senza cerbiatto accanto, presi la
mira.
La freccia partì con un sibilo, che risuonò nel
silenzio e fece allarmare il resto del branco, ma era troppo tardi. L’alce da
me colpita stramazzò al suolo e io le corsi accanto.
Era ancora viva e commisi l’errore di
soffermarmi a guardarla negli occhi lacrimanti.
Ero consapevole, sin da piccolo, di possedere
un dono naturale. Ero in grado di percepire le emozioni degli animali e di
tutto ciò che riguardava il mondo vegetale. Questo perché ero convinto che
persino gli alberi, i fiori e addirittura un filo d’erba, avessero cognizione
del mondo in cui esistevano, fossero cioè, a loro modo, creature senzienti. Nello
sfiorare una pianta captavo le vibrazioni che emanava e percepivo il piacere o
il dispiacere che essa avvertiva al mio tocco.
Non avrei mai immaginato, però, quello che mi
accadde nel momento in cui la femmina, ormai agonizzante, sollevò il lungo
collo ferito verso di me e mi scrutò come se volesse raggiungere la mia anima.
In quell’istante ebbi la sensazione che mi domandasse il motivo della mia ferocia.
Quei pozzi scuri e liquidi, colmi di lacrime e
di dolore, mi fecero stringere il cuore in una morsa.
Ero un guerriero duro, addestrato all’autodifesa
ma, soprattutto, a infliggere la morte durante i combattimenti ma, in quel
momento il mio cuore era senza corazza, privo di ogni elementare difesa e i miei
occhi si velarono di pianto.
Non avrei voluto, ma avevo sei piccole vite che
mi attendevano, affamate e speranzose.
Distolsi lo sguardo con l’animo in subbuglio e
preso il coltello la finii, non senza essere dilaniato dal naturale rimorso che
coglie una parte dei cacciatori quando infierisce sulla preda con il colpo
mortale... e io ancor di più.
I miei compagni si accorsero del mio disagio e
forse lo compresero o forse no. Non lo so! So soltanto che ognuno evitò di
parlare e proseguimmo la caccia.
Tornammo all’accampamento con due animali legati
sui dorsi. Con quella scorta di carne la nostra compagnia poteva sfamarsi per lungo
tempo.
Il nostro ritorno fu salutato da urla di giubilo,
e la festa improvvisata si prolungò davanti a un falò approntato per tenerci al
caldo e per arrostire la carne.
I bambini mangiarono a sazietà, e si ripresero
un po’ dalle fatiche del lungo viaggio ma, sul far della sera, ricevemmo
l'ennesima doccia gelata.
continua...
Un brano intenso, e molto avvincente, che non può non emozionare chi legge...
RispondiEliminaBuon sabato carissima, silvia
Avventuroso emozionante. Complimenti.
RispondiEliminaCiao Vivì Scusa l'assenza ma queste ultime settimane sono stato molto impegnato. Ora cerco di recuperare le letture perse. Intanto ti dico che questo racconto è molto appassionante. Aspetto con ansia il seguito. Ciao.
RispondiEliminaAncora altre avventure affascinanti in questo scorcio del canto del vento. Un racconto originale per la sua trama avvincente, brava Vivì, a rileggere a presto il seguito. un affettuoso saluto da Grazia!
RispondiEliminaUn caro saluto
RispondiEliminaGiorgio
Cada vez mas interesante, mando un beso y gracias por el genial fragmento.
RispondiEliminaUn bel racconto, anche se la fine dell'alce mi è dispiaciuta , aspettiamo di vedere quale sarà l'ennesima doccia fredda . . Saluti cari.
RispondiEliminaDescrizione della caccia all'alce (per nutrirsi),con un filo di commozione e rimorso,malgrado la ferocia dell'atto,perfetta.Complimenti.Ciao Vivì.Lu.
RispondiEliminaBuonasera Vivì. Ho letto tutto il racconto fino a qui.
RispondiEliminaChe bello.
Ti sono grata di averlo scritto, mi piace tantissimo.
Attendo con ansia il seguito e ti abbraccio. Ciao.
Buona sera, Vivi!
RispondiEliminaCome stai caro amico!
Amo le storie di guerrieri e cacciatori che si
dirigono verso la pace, la speranza e la giustizia.
Sono storie cosi originali che
lascia tutto il resto nell'ombra.
Tanti baci e abbracci dall'altra parte del mondo