La magica creatura
Il cielo era ormai
una distesa sterminata di stelle luminescenti quando la luna risaltò al suo
centro, in tutto il suo splendore.
“Bella tra le belle!
Dovrebbe essere plenilunio tutti i giorni!” pensò Mark, disteso a riposare su
di un improvvisato giaciglio ricavato da un mucchio di soffice paglia.
Il ragazzo si era
fermato nelle stalle per assistere al parto ormai prossimo di una delle
giumente arrivata al termine della gravidanza. Mentre attendeva il momento se ne stava
disteso supino ad ammirare lo spettacolo offerto dalla notte attraverso uno
spiraglio del tetto un po’ sconnesso.
«Bella» ripeté tra sé
senza nemmeno rendersi conto che il suo pensiero aveva intrapreso un sentiero
silvestre dove, in un sogno frequente, gli appariva l’immagine di una fanciulla
dagli occhi verdi e i lunghi capelli neri che piroettava leggiadra.
«Ma chi sei, regina
dei miei sogni?» domandò nel buio «Perché mi perseguiti in questo modo?»
Le stelle palpitarono
nel cielo e a Mark parve che gli stessero ammiccando, mentre la luna gli sembrò
prendere vita assumendo un’espressione sorniona. Il ragazzo emise un profondo
sospiro di petto e i suoi pensieri sconfinarono nuovamente, catturati dalla
danza di una diafana creatura.
Poco distante, nella
vecchia stalla, Gylldor scalpitava inquieto, come sempre gli accadeva durante
le notti di plenilunio. In quel momento, l’unicorno avvertì l’avvicinarsi di
una minaccia e sbruffò scartando, sempre più inquieto.
Gylldor non era
ancora consapevole della sua natura magica, ma era stato proprio per quel
motivo che era riuscito a percepire la sensazione di pericolo. Gli zoccoli
batterono nervosamente sull’impiantito ricoperto di paglia mentre scandagliava,
tutti i sensi tesi allo spasimo, la penombra che avvolgeva la stalla.
Un attimo prima d’intravedere
la minaccia, un lungo brivido percorse il suo manto, i fianchi poderosi
tremarono e il pelo gli si rizzò. Dall’oscurità era emersa una figura imponente
che appariva mostruosa.
Il giovane unicorno
rimase immobile, come basito. Tra lui e l’uscita dalla stalla vi erano soltanto
una decina di metri, ma nel momento stesso in cui si riprese e tentò la fuga,
si rese conto di essere ormai circondato.
Il locale era pieno
di creature misteriose dalle movenze minacciose. «Chi siete? Cosa volete da
me?» domandò, rendendosi conto di poter comunicare facilmente con quegli esseri
misteriosi.
Un silenzio di piombo
scese, mentre nell’ambiente risuonò inquietante una cacofonia di sibili e un
gran raschiare di gola. «Non è stato affatto facile trovarti, ma alla fine ci
siamo riusciti. Il nostro sovrano ne sarà molto lieto.»
«Il vostro sovrano?»
«Zephar, il Signore
delle Terre del male! Il nostro padrone e da oggi anche il tuo!»
«Io non ho un
padrone! Andatevene e lasciatemi in pace!» provò a obiettare il puledro, ma fu
costretto a prendere atto di essere stato messo alle strette. Dietro di lui
soltanto la nuda parete della stalla e le uniche due uscite, situate ai due
lati opposti della lunga costruzione, erano presidiate da altri sgherri. Il terrore che quelle creature sconosciute
gli suscitavano gli morse dolorosamente lo stomaco. “Devo fuggire! Ma come?
Mark, dove sei, amico mio?” implorò Come fare a fuggire?” ormai in preda
all’ansia e alla paura.
Con tono reso rancido
dalla malvagità, l’aggressore non gli diede tregua: «Sei una creatura maligna!
Il tuo posto è tra noi nel regno del male.»
«Vi sbagliate!»
riuscì ancora a replicare Gylldor, un attimo prima che un magone gli impedisse
di proseguire «Io sono nato libero e non appartengo al vostro regno malvagio!»
Nell’aria si espanse
il suono gracchiante di quella che doveva essere una risata di scherno. Gylldor
scosse il lungo collo eburneo e il corno che spiccava sulla sua fronte luccicò
al buio. La trasformazione dovuta al plenilunio era ormai giunta al culmine.
«Come, non ti accorgi
delle ali che porti al tuo fianco? Non vedi quanto è nero il tuo manto? E non
avverti il tuo sangue ribollire nella brama di vedere scorrere altro sangue?»
Il puledro si guardò.
Effettivamente quello che diceva quell'essere poteva essere in parte vero. Il
colore del suo manto era nero come la notte buia, o come la pece del più infido
inferno, e delle ali pendevano ai suoi fianchi. Ora poteva vederle con
chiarezza, come il corno che gli svettava in modo imperioso sulla fronte.
Inoltre, sentiva effettivamente il suo sangue ribollire, ma non perché sentisse
il bisogno di veder scorrere altro sangue. No! La sola idea lo faceva stare
male!
Guardò terrorizzato
quegli esseri mostruosi, che incombevano assediandolo pericolosamente vicini, così
tanto da poterne percepire l’alitare mefitico.
Gylldor volse il capo
disgustato e in quel momento realizzò che non si sarebbe mai arreso e che non
sarebbe mai diventato una creatura del male.
La paura e l’angoscia
gli fecero salire l’adrenalina a mille e la sua indole mansueta si dissolse
come neve al sole. Il puledro avvertì la collera ribollire come un fiume in
piena e montare e montare fino a dilagare e impadronirsi della sua coscienza. Ora
era pronto a combattere a costo della vita pur di non perdere il bene più
prezioso che sentiva di possedere: la sua libertà! Non si sarebbe arreso facilmente alla
cattura; non finché avesse avuto un briciolo di energia!
Ma un attimo prima di
buttarsi a capofitto contro il primo degli aggressori nella stalla si udì la
voce di Mark: «Che succede, Gylldor?»
Percepito il
trambusto che gli giungeva dalla stalla e preoccupato per l’amico, il giovane
stalliere aveva lasciato la partoriente per verificare cosa stesse avvenendo,
ma non si era ancora accorto della grave minaccia che stava in agguato
nell’oscurità. Mark avanzò di qualche
passo in direzione del box in cui aveva lasciato il puledro.
L’avvertimento emanato da Gylldor gli giunse con un attimo di ritardo: Sta lontano, vattene ragazzo!
Le creature maligne
si gettarono d’istinto sul nuovo venuto e fu con un urlo di raccapriccio che il
giovane vide i musi dei suoi aggressori.
Il sangue gli si gelò
nelle vene: «Golem?» riuscì a biascicare, ricordando alcune raffigurazioni
delle mitiche creature ideate dalla fantasia di qualche estroso autore.
Quello che sembrava
il capo degli aggressori scrutò il ragazzo dall’alto in basso con
un’espressione ottusa, mentre gli si avvicinava per studiarlo meglio.
Qualsiasi cosa siano dobbiamo liberarcene! suggerì Gylldor, buttandosi con furia contro la creatura che minacciava
l’amico.
L’impatto tra i due
fu micidiale e, forse perché il gigante era malfermo sulle gambe, o forse solo
per pura fortuna, Gylldor nello scontro ebbe la meglio e riuscì a sbilanciare
l’altro, tanto che tra gli aggressori si creò un varco improvviso. Per qualche
secondo quelli rimasero sconcertati, intimoriti dal corno micidiale e dagli
zoccoli del giovane unicorno che battevano furiosamente sull'impiantito. In fin
dei conti si trattava di creature ardimentose finché erano compatte e formavano
massa, l’esitazione di una coinvolgeva le altre riducendo il gruppo a un branco
di timide pecore. Davanti alla furia di Gylldor esitarono, retrocedendo di
qualche passo. Si tirarono indietro per quel tanto che bastava perché il
puledro ne approfittasse per lanciare il suo richiamo: Salta in groppa Mark e filiamocela!
Il ragazzo non se lo
fece ripetere, e con un unico, agile balzo si mise a cavalcioni del suo amico.
Gylldor si impennò,
nitrendo furiosamente verso le sinistre figure, quindi con una spinta di reni
poderosa si lanciò al galoppo.
Tieniti forte, Mark!
«Vai, Gylldor! Corri
col vento!»
Tra lo sconcerto
generale bastarono poche falcate per uscire e allontanarsi dalla scuderia. Ma
gli sgherri di Malefico si ripresero in fretta e recuperarono le cavalcature,
tanto velocemente, che i due giovani amici ben presto ne sentirono gli ansimi
trafelati e i versi disumani alle spalle.
«Cavalcano delle
creature alate come te, Gylldor, e sono troppo veloci! Non possiamo farcela!»
Anche l’unicorno si
disperava per come si stavano mettendo le cose. Ma per quanto si sforzasse, per
quanto spingesse al massimo le sue falcate, intuì di non avere nessuna
possibilità di distanziare gli inseguitori, e quando vide avvicinarsi
inesorabilmente un burrone innanzi a sé, capì che la loro fuga era giunta al
termine. Tuttavia, era troppo tardi per tornare indietro, ma troppo tardi per
fermarsi e per salvare il ragazzo, in effetti era troppo tardi per qualsiasi
azione. Il burrone si spalancò improvvisamente davanti a loro, come le fauci di
un essere mostruoso pronte a inghiottirli.
Mark lanciò un urlo
di terrore e serrò gli occhi per non vedere mentre si aggrappava con tutte le
sue forze alla folta criniera. Gylldor, sentì la terra mancargli sotto gli
zoccoli e un gran senso di vuoto lo avvinse allo stomaco.
Il terrore ghiacciò
il sangue a entrambi e i due rimasero per pochi, interminabili secondi sospesi
nell'aria, quindi accadde un evento straordinario: le ali del puledro si
spiegarono come grandi vele al vento, e l'unicorno si trasformò in una magica e
meravigliosa creatura alata.
La brezza sibilò
nelle loro orecchie e strapazzò la lunga criniera del puledro solleticando al
volto il suo cavaliere.
Gylldor volse il lungo collo all’indietro con lo sguardo illuminato da una nuova luce: «Apri gli occhi, Mark, e guarda!» gli suggerì,
percependo il suo terrore.
Il ragazzo si fece
coraggio e, con grande stupore, lasciò che il suo sguardo spaziasse sul mondo
sottostante, che grazie alla luce emessa dalla luna era perfettamente visibile.
«Non siamo precipitati!
Ce l’hai fatta! Stai volando, Gylldor!» constatò, estasiato da quella nuova
sensazione di totale libertà.
«Sì, mio giovane amico! Stiamo
volando!» gli rispose con lo sguardo velato di lacrime.
Le urla degli
inseguitori si smorzarono lentamente, fino a che si persero nell’aria, dietro
le loro spalle.
«Bravo Gylldor! Li
abbiamo seminati!»
Il pegaso non
rispose. Le sue ali si piegavano e si distendevano con un movimento aggraziato
e ritmico, e al ragazzo, che ne poteva ammirare dall’alto la grazia e la
sincronia perfetta, suggerivano l’immagine del volo di un angelo nero. Mark
rimase affascinato a guardarne le cadenzate movenze. «Dimmi che non sto
sognando!»
«No! Non è un sogno!
Stiamo volando!» rispose il pegaso.
Poi, vennero
catturati da una corrente calda ascensionale e Gylldor vi si affidò smettendo di
battere le ali.
Il puledro non aveva
ancora piena dimestichezza col volo e nemmeno conoscenza o padronanza delle
correnti, ma agiva d’istinto e si lasciava semplicemente trasportare, godendosi
il volo. Le stelle e la luna sembravano molto vicine.
«Forse se allungo una
mano riesco a catturarne una, Gylldor!» esclamò entusiasta Mark. L’amico
sorrise, indulgente e comprensivo. D’altronde, quello che stavano ammirando era
uno spettacolo mozzafiato. Poi i due giovani si lasciarono cullare dalla voce
maestosa del silenzio celeste, che li tenne incatenati nella sua malia.
Purtroppo non durò
per molto, perché quello stesso silenzio fu rotto dalle voci e dai versi
inumani degli inseguitori alle loro spalle. Gylldor nitrì forte la sua paura e
il suo avvertimento. Il ragazzo si volse istintivamente, e la visione che gli apparve
gli fece accapponare la pelle. Li avevano raggiunti. Per qualche minuto si
erano crogiolati nella speranza di avere seminato gli inseguitori, ma non era
così! Una decina di creature alate, molto simili a
Gylldor, sbattevano freneticamente le loro grandi ali nere, istigate e
pungolate dai loro cavalieri, provocando vortici d’aria impetuosi intorno ai
propri corpi possenti. Le bizzarre creature che le cavalcavano ghignavano
soddisfatte, evidentemente già sicure di avere la preda in trappola.
E avevano ragione! Il
vantaggio dei due fuggitivi andò lentamente ma inesorabilmente a ridursi,
finché vennero accerchiati in volo.
Gylldor tentò in
qualche modo di sottrarsi alla cattura sgroppando e scalciando ma Mark lo stava
cavalcando a pelo e, per non provocarne la caduta, fu costretto a desistere.
«Mi dispiace, Mark.
Sono in troppi! Non possiamo evitare la cattura.»
Con un groppo in gola
il ragazzo annuì poi posò la sua fronte sulla testa del pegaso in un gesto
d’affetto e di conforto.
Con una manovra
spericolata degli inseguitori in contemporanea, i due furono costretti a
scendere di quota e infine gli zoccoli del pegaso toccarono nuovamente il
terreno.
L’umore del pegaso
mutò nello stesso momento e Mark ne intuì la rabbia e la frustrazione.
Che Gylldor fosse
furioso, lo poteva percepire sentendone il corpo, già possente, rabbrividire
sotto di sé. La lunga criniera era irta sul collo e sciorinava al vento, le
froge fremevano e gli zoccoli scalpitavano, battendo sul terreno e sollevando
sbuffi di polvere.
Il puledro stronfiò
girandosi più volte e, per la prima volta da quando si conoscevano, il ragazzo
ne ebbe timore. Non riconosceva più l’amico e compagno di tante corse e
avventure.
Gylldor si era trasformato
in una creatura aliena, sconosciuta e potenzialmente pericolosa. Ma la cosa che
più preoccupò Mark era il fatto di essere circondato da almeno una decina di
creature simili, cavalcate da altrettanti esseri alieni e terrificanti.
Gli aggressori brandivano
lunghe lance dalle punte acuminate e alabarde dalle lame affilate. Indossavano
spesse corazze di cuoio articolate. Le teste erano enormi, proporzionate ai
corpi imponenti e dalla muscolatura possente. I volti erano grotteschi, del
tutto glabri e dallo strano colorito verdastro, come il resto del corpo; gli
occhi erano grandi, dorati e sporgenti. Mark rabbrividì guardandoli. Non
avevano nulla di umano. Dalle bocche di quei mostri fuoriuscivano due zanne
acuminate, dalle punte ricurve e affilate come armi.
Uno degli esseri si
avvicinò e afferrò Gylldor per la criniera costringendolo a fermarsi.
Per timore di essere
toccato Mark si ritrasse.
«Smetti di girare. Mi
fai venire il voltastomaco!» sbraitò la creatura, sputando un grumo di saliva
rappreso al lato.
Gylldor nitrì per il
dolore e si acquietò all’istante. Perlomeno, così sembrava.
Nessuno poteva
intuire la lotta interna che dovette sostenere per dominare il battito
forsennato del cuore e per calmare il respiro affannoso.
«Scendi, Mark, e
tornatene alla scuderia» suggerì all’amico con un sussurro.
«Rimani in sella e
non ti muovere!» intervenne il capo delle creature, fulminando con lo sguardo
il giovane stalliere.
«Lasciate che il ragazzo
se ne vada in pace, lui non ha nulla a che vedere con me!» disse Gylldor nel
tentativo di un’ultima, disperata difesa del suo giovane compagno
d’avventure. Mark scrutò l’amico con
aria stupefatta.
Gylldor parlava e in
quel momento si stava prodigando a difenderlo.
Il ragazzo non sapeva
in cosa realmente si fosse trasformato, ma unicorno o pegaso, o qualsiasi altra
creatura, Gylldor era rimasto lo straordinario essere dal cuore buono che lui
aveva tanto amato sul dal primo giorno.
Il destino aveva
voluto farli incontrare; due esseri così diversi esteriormente, eppure così
simili nei sentimenti.
Ma in quel momento fu
il tono sgradevole di un aggressore a risuonare tenebroso e a strapparlo dai
suoi pensieri.
«Questo umano verrà
con noi! Sarà Zephar a decidere la vostra sorte. Seguiteci e non tentate altri
scherzi o colpi di testa. Vivi o morti, vi porteremo davanti al nostro
sovrano!»
Mark e Gylldor si
scambiarono uno sguardo colmo d’angoscia e di rassegnazione. «Mi dispiace
averti messo in questa brutta situazione, Mark!»
«Non è colpa tua, e
comunque siamo amici. Qualsiasi cosa ci prospetta il destino, l’affronteremo
insieme, Gylldor» lo rincuorò il ragazzo prima di essere costretto in malo modo
a tacere.
Così, mentre
osservava ogni movimento degli aggressori, ebbe anche modo di immergersi nelle
sue riflessioni. Prendendo atto dell’esistenza di una dimensione arcana
parallela a quella terrena iniziò a porsi domande sul suo futuro e quello del
suo amico.
Chi era quel Signore
del male che aveva ordinato il sequestro di Gylldor e quali erano le sue reali
intenzioni? Il suo potere doveva essere immenso se riusciva a travalicare i
confini irreali tra le due dimensioni. Si poteva contrastare una creatura così
tanto potente?
All’improvviso, come
un raggio di sole che squarcia una fitta coltre di nembi, nella mente di Mark
apparve il viso incantevole di una fanciulla dagli occhi smeraldo e dalle
movenze leggiadre. La ragazza aveva mani
delicate e i gesti che faceva lo invitavano a reagire, a non arrendersi. Per
qualche istante, estraniandosi dal presente, si perse in quel sogno a occhi
aperti e forse sorrise proprio come un ebete, perché uno degli aguzzini,
schernendolo, lo pungolò in un fianco con la punta della sua lancia.
Mark sobbalzò,
emettendo un gemito di dolore.
I cavalli alati
scalpitavano intorno a loro. La brama di riprendere il volo li faceva
stronfiare nervosamente, con gli zoccoli che battevano con vigore sul terreno;
i loro biechi cavalieri stentavano a trattenerne la foga.
«Muoviamoci!» ordinò
lo sgherro e tutti si prepararono alla partenza.
Il cerchio intorno ai
due amici si allargò e Gylldor ebbe modo di spiegare le ali. Con una spinta
poderosa dei fianchi si alzò in volo, prontamente circondato da un nugolo di cavalli
alati.
«Coraggio! Non tutto
è perduto! Essere insieme sarà sempre la nostra forza!» riuscì a sussurrare
Mark prima di essere presi dall’impetuoso vortice d’aria provocato dal
movimento sincrono delle innumerevoli ali. Erano talmente numerose che per i
prigionieri divenne difficile distinguere i dintorni. Sopra di loro il cielo si
estendeva cupo e bigio; il vento che si era rinforzato all’improvviso ululava
fastidioso, scompigliando la lunga criniera dell’unicorno e i capelli e le
vesti del ragazzo, che si aggrappò con tutte le forze al lungo collo del suo
amico.
L’angoscia e
l’incertezza per il futuro gravavano sull’animo dei due giovani, quando davanti
ai loro occhi esterrefatti si aprì una voragine nel cielo plumbeo.
Gylldor d’istinto si
bloccò, sospeso nell’aria, ma venne immediatamente pungolato dai suoi aguzzini.
«Non ti fermare! Continua a volare!»
«Co… Cos’è quel buco
nero?» ebbe la forza di chiedere Mark a un componente della scorta. Lo sgherro
guardò con sufficienza il ragazzo, quindi si rivolse all’unicorno: «Come fate a
ignorare una cosa del genere? Come credi di essere arrivato in questa
dimensione?»
«Non rammento nulla
del mio arrivo qui. Forse perché ero troppo piccolo. I miei primi ricordi
iniziano alla fattoria» rispose prontamente Gylldor.
«Beh, non starebbe a
me spiegarti! E nemmeno ho la pazienza necessaria per farlo. Ti dico solo che
quello che vedi è il portale attraverso il quale faremo ritorno nel mondo
arcano. Ma ora basta con le domande, volate e fate silenzio!» concluse
l’aguzzino con sguardo feroce.
I due amici tacquero
intimiditi. Gylldor continuò il volo cercando di resistere e di contrastare le
raffiche che diventavano sempre più violente, tuttavia, quando furono nei
pressi dell’immenso portale, ai due giovani parve di trovarsi davanti a una
bocca spalancata pronta a ingoiarli. All’improvviso, mentre nell’aria si espandeva
un sonoro ruggito, si levò una folata ancor più impetuosa delle altre ed
entrambi vennero sospinti verso l’oscuro ingresso, quindi, risucchiati da una
forza sconosciuta, finirono nelle orribili fauci.
Con il fiato sospeso Mark
si aggrappò con forza alla criniera, serrando spasmodicamente le gambe attorno
al corpo dell’amico. Gylldor nitrì, opponendo resistenza ma, ben
presto, furono circondati dall’oscurità.
Prigionieri
Affranti ed esausti
arrivarono nella dimensione arcana, e nello specifico, nel regno di Zephar il
Malefico.
L’atmosfera era assai
pesante, e la densa bruma in cui era avvolto il paesaggio non contribuiva ad
alleggerirla. A un tratto la nebbia si dissipò e i due amici scoprirono di star
sorvolando una distesa verde e cristallina. Solo in seguito avrebbero scoperto
che si trattava del Lago Smeraldo, un vero spartiacque tra i regni di Zephar e
della Dama del Bosco.
Ma sia Gylldor che
Mark non erano in vena di ammirare lo spettacolo offerto dalla distesa
cristallina che si estendeva sotto di loro. Un timore profondo per quello che
sarebbe stato il loro destino tormentava i due prigionieri. In modo
particolare, era Gylldor che non si dava pace al pensiero di dover essere
assoggettato, senza più alcuna volontà.
Chi era e cosa voleva
il misterioso Signore del male, sovrano di quei luoghi? Voleva trasformarlo
come aveva fatto con le creature alate che li avevano scortati attraverso il
portale?
Gylldor rabbrividì per
l’ennesima volta. Gli occhi di quelli
che erano stati unicorni come lui lo avevano squadrato con gelo, e il puledro
aveva avuto l’impressione di non essere nemmeno riconosciuto come appartenente
allo stesso genere. Aveva tentato un contatto mentale ma la sensazione ricevuta,
era stata raggelante. Quelle creature sembravano non avessero un’anima, una
coscienza o forse l’avevano persa con la trasformazione.
Possibile che fosse
condannato a una simile fine lui stesso e che, da allora in avanti, sarebbe stato
causa involontaria del male fatto a tanti altri innocenti? Esisteva un modo per
evitare quella tragedia?
Durante il breve
tragitto compiuto con Mark aveva persino pensato di compiere un gesto insano,
estremo. Smettere semplicemente di volare, lasciandosi cadere così, nel vuoto.
Ma non aveva potuto mettere in atto il suo proposito suicida. Mark era con lui
e mai e poi gli avrebbe provocato del male. Non era nella sua natura privare un
altro essere della possibilità di vivere. E allora?
Ma ormai erano giunti
al lungo viale che immetteva all’ingresso del palazzo reale, e Gylldor tornò al
presente. Tormentato da una miriade di dubbi si ripromise con ferrea
determinazione di stare sempre all’erta, accorto e pronto a cogliere ogni
minima possibilità di fuga almeno finché non lo avessero privato della
possibilità di pensare e di agire con la sua testa. Forte di questa grande
risolutezza, si apprestò dunque ad affrontare i nuovi e tragici eventi.
La notizia del loro
arrivo era giunta molto prima, e lungo l’ampia strada alberata si erano
assiepate due folte schiere di sudditi indemoniati. Gente che un tempo era
stata pacifica ma, con l’arrivo del nuovo sovrano, si era trasformata. Con
l’animo segnato e plagiato da innumerevoli angherie, dalle violenze e dai soprusi
subiti da quando il tiranno era salito al potere. I più esagitati e quelli con
l’animo più esacerbato si erano messi in prima fila, pronti a rivalersi sui due
nuovi arrivati.
Il corteo di guardie sulle creature alate, con
i prigionieri stretti al centro, percorse al piccolo trotto il viale alberato,
e le grida di giubilo della miriade di sgherri, schierati a trattenere la
folla, furono annullate da quelle più altisonanti di scherno e di minaccia.
Sui due amici iniziò
una pioggia di oggetti vari: verdura, uova e frutta marcia, nel migliore dei
casi, ma in aggiunta arrivò a segno anche qualche pietra. Le guardie non fecero
nulla per impedire l’umiliazione, limitandosi a ripararsi dietro i loro scudi e
ad accelerare il passaggio del piccolo corteo verso la residenza reale.
“Perché tanta crudeltà?
E soprattutto perché ce l’hanno con noi?” si domandò Mark, cercando di
ripararsi alla meglio dalla pioggia di proiettili morbidi e duri che piovevano
da tutti i lati.
Il ragazzo ignorava che
per la delusione e la frustrazione dovute all’esito infruttuoso della loro
ricerca, sia il sovrano che gli sgherri avevano infierito contro la gente
comune. E il benvenuto che la folla stava riservando loro era solo la logica
conseguenza del tanto male subito.
Per Mark e Gylldor fu
un’esperienza traumatica e ne uscirono segnati fisicamente e psicologicamente.
Scortati da alcune
guardie con passo marziale, fianco a fianco, attraversarono la sala del trono
tra due ali di cortigiani dagli sguardi truci e dall'atteggiamento scostante,
quindi furono obbligati a inchinarsi davanti al sovrano.
Zephar, dal canto
suo, gongolava. Aveva adocchiato da lontano la fiera figura dell’unicorno, che
già prometteva di diventare imponente, superando di una buona spanna la mole
delle altre cavalcature. “Ho fatto bene a insistere per averlo!” si congratulò
tra sé, non smettendo mai di studiare il puledro. “Ha sangue reale nelle vene,
e si può percepire nella stazza, nell’eleganza e nella postura. Diventerà il
numero uno delle mie scuderie” concluse con orgoglio, alzandosi.
I cortigiani
osservavano con attenzione il bel volto del sovrano aspettandosi di leggervi
soddisfazione per il felice esito della missione sulla Terra, tuttavia rimasero
delusi: nessun muscolo si muoveva, nessuna emozione trapelava dal viso di
Zephar.
Il tiranno scese i
gradini, ordinando con gesto secco di lasciare spazio. Gli sgherri si
allargarono, cosicché il sovrano ebbe l’agio di osservare i prigionieri da
vicino. Il sovrano sovrastava di tutta
la testa il prigioniero e Mark si trovò costretto ad alzare il volto per
guardarlo ma se ne pentì all’istante. In
quelle iridi nere, come la notte più tragica e oscura, si sentì annegare.
Il ragazzo smarrì
l’ultima briciola di coraggio rimastagli e tentò di sfuggire guardando altrove,
ma ebbe l’impressione che un legame invisibile lo tenesse ancorato a quella
temibile essenza. Doveva essere una creatura sovrannaturale quella che lo stava
scrutando poiché si sentì scandagliare e perforare l’anima. Per qualche istante,
soggiogato dalla prestanza di quella figura dall’apparenza divina e
onnipotente, rimase inerte e privo di volontà.
“È un demone!” sentì
una voce trascinarsi rauca e sgradevole dilagare nella sua mente e nella sua
coscienza, ma subito dopo si rese conto che erano le arpie rinchiuse nell’enorme
gabbia situata accanto al trono a gracchiare un po’ sottotono. “È un demone, un
demone, un demone!” ripeterono in coro, trascinando le ultime lettere. Quella
tonalità era gracchiante e strideva sulla pelle come unghie affilate sui vetri.
Il sovrano si volse a
guardarle e sorrise: «Ti piacciono le mie amiche, ragazzo? Non esiste la loro
razza nella vostra dimensione, vero?»
Mark sbarrò gli occhi.
La voce del demone era profonda e imperiosa e si adattava perfettamente alla
sua stazza imponente.
A Zephar non era
sfuggito la smorfia di ribrezzo e di orrore del prigioniero: «Non ti piacciono?
No? Peccato, perché tu a loro piaci molto!» disse con un ghigno.
I rostri di una
decina di semi-uccelli antropofagi sbatterono con uno schiocco sonoro, sinistro
e gli occhi, fissi su di lui, lampeggiarono di bramosia.
Il ragazzo rabbrividì!
Gylldor percepì lo
smarrimento dell’amico e volse il capo, tentando di rassicurarlo.
Zephar rise di gusto
poi rivolse la sua attenzione all’unicorno.
«Finalmente!»
bisbigliò intento, carezzando il manto lucido e la folta criniera soffice di
Gylldor. Poi gli si pose davanti, tastando la muscolatura dei fianchi e del
collo con movimenti esperti.
Il puledro rabbrividì per la repulsione provocata
da quel contatto e tentò di sottrarsi, ma i modi del sovrano si fecero ancora
più autoritari e Gylldor, trattenuto con perfidia alla criniera, dovette
sottostare. Dalla sua gola fuoriuscì un nitrito di ribellione che Zephar
ignorò, costringendo l’unicorno a spalancare le froge, e Mark, riacquisiti un
minimo di coraggio ed energia, si lanciò in suo aiuto.
Inutilmente uno
sgherro tentò di bloccarlo. Il ragazzo sgusciò via liberandosi dalla presa e
proiettandosi contro Zephar: «Lascialo stare! Non ti permetterò di fargli del
male!» urlò con tutte le sue forze, ed
era quasi sul punto di aggredire il sovrano quando questi, intento a guardare
la dentatura di Gylldor, si volse con un unico movimento fluido e afferrò
brutalmente il ragazzo per la gola, sollevandolo di parecchi centimetri da
terra, come se non avesse peso.
Mark si sentì
soffocare e divenne paonazzo. Le sue gambe scalciarono nel vuoto mentre Zephar,
con la presa di un’unica mano, avvicinava il viso del malcapitato contro il
suo. «Come osi?» esclamò, alzando appena il tono e alitandogli sul naso. «Non
sei altro che un piccolo essere insignificante e hai la presunzione di
sfidarmi? Sei forse pazzo, umano?» Mark quasi non capì le parole di quel che
ora gli appariva davvero come un demone.
Tentò inutilmente di
sottrarsi alla presa, ma ormai era sul punto di svenire.
Gylldor avrebbe
voluto correre in soccorso del suo giovane amico, ma due sgherri lo
trattenevano a forza.
«Lascialo!» pregò il
sovrano con un filo di voce «Faremo tutto ciò che desideri senza creare
problemi, te lo prometto, ma lascia andare il mio amico!»
Zephar non si volse
nemmeno, continuando a osservare in modo indecifrabile il volto del giovane
ormai livido. I muscoli della mascella si contrassero mentre il sovrano
digrignava i denti. Ora sembrava indeciso sul da farsi.
Le immagini si
confusero davanti agli occhi di Mark, che si rovesciarono, mentre il suo corpo
si accasciava. Un attimo prima che perdesse i sensi, il re mollò la presa e il
ragazzo crollò come un sacco di patate sul pavimento. Boccheggiando, tossì e
sputò; l’aria che gli entrò nei polmoni gli parve un toccasana. In modo lento e
graduale si riprese. Il collo gli doleva, ma il suo respiro tornò normale,
quindi Mark si sentì afferrare in malo modo e rimesso in piedi da uno sgherro.
«Che questo ti serva
da lezione, umano!» lo ammonì Zephar tornando poi a rivolgersi all’unicorno.
«Mark…Il mio nome è
Mark… signore!» si sentì scandire a stento ma con orgoglio nel silenzio
generale.
Ancora una volta,
nella sala il gelo si fece tangibile. Era veramente folle quel giovane
straniero? Dove trovava tutto quel coraggio?
Sorpreso lui stesso,
Zephar si volse, incenerendolo: «Non provare a sfidarmi. Non sai a quali rischi
vai incontro e per questo non punirò la tua arroganza. Ma ricordati che qui non
sei altro che un insignificante escremento e come tale verrai trattato. In
quanto a te» proseguì rivolgendosi all’unicorno «spero proprio che tu non crei
dei problemi e ti sottometta alla mia volontà, come fanno tutti, del resto, in
questo regno.»
Gylldor lanciò
un’occhiata supplichevole verso il suo compagno, quindi annuì al sovrano con un
cenno impercettibile del capo, e Zephar proseguì: «Mantieni la parola di poco
fa, dimentica il tuo sangue reale e andremo d’accordo.»
L’unicorno trasalì:
«Il mio sangue reale? Che significa?»
Il sovrano lo
squadrò: «Nessuno ti ha mai informato che sei l’unico erede di un antico casato
reale ormai decaduto?»
Nella sala del trono
il silenzio divenne palpabile. Persino le creature alate degli sgherri ebbero
un trasalimento e i cortigiani si tesero ancora di più per non perdersi nemmeno
una battuta di quella che era una novità.
Il puledro guardò il
tiranno con aria sbigottita, incredula, poi volse la sua attenzione su Mark,
come per domandare spiegazioni, ma il ragazzo, ancora sconvolto, si strinse
nelle spalle.
«Non ne so niente di questa storia. In realtà
non so nemmeno cosa sono!» Gylldor, ormai in preda al nervosismo e all’inquietudine
alzò il tono di voce. «Allora spiegami tu, sovrano del regno del male. Chi sono
io, e da dove vengo?» domandò.
La reazione ardimentosa
del puledro sorprese Zephar, che non rispose, limitandosi a scrutarlo con
curiosità.
«Ho il diritto di
sapere!» insistette Gylldor.
Il sovrano scosse la
testa.
«I tuoi diritti sono
finiti nel momento stesso in cui hai fatto l’ingresso in questo regno. Ora sei
soltanto uno schiavo, e come tale ti devi comportare. Te lo ripeto un’ultima
volta: dimentica quel che sei stato e servimi con fedeltà, come fa il resto dei
sudditi, e forse sarò magnanimo con te e con il tuo amico.»
Il puledro intuì che per quel giorno non
avrebbe saputo niente di più, e decise, per prudenza, che era meglio non
insistere oltre.
continua...
Racconto pubblicato dalla MorganMiller edizioni
Immagini Phoneky
Magnifico. Attendo il seguito. Ciao.
RispondiEliminaCiao cara amica, come stai!
RispondiEliminaL'animale che amo di piu e che e il mio preferito
e l'*unicorno con il naso rosa* ricordi?
♥️ l'altro e il *fenix* ♥️ e il *drago* ♥️🐉🐲
un intero capitolo di sogno. Happily ever after, cosi sara la vita di Guylldor,
dopo aver attraversato tante prigioni a cielo aperto. 😍🦄
Ti mando tanti baci e abbracci fino alla tua estate italiana,
qui al mio paese fa molto freddo,
piove e nebbiosa e nevica... sembra una notte di terrore️ 😊 🧚♀️
oh, che bella notte!!
Hermosa historia te mando un beso
RispondiEliminaMi fai sempre sognare...
RispondiEliminaPerdona, Vivi, la demora en venir a leerte... Me quedo encantado con esta nueva historia. Los unicornios son seres mágicos de ensueño que estimulan una épica romántica realmente inspiradora. Quedo a la espera de lo que quiera contarnos tu frondosa inspiración.
RispondiEliminaAbrazo hasta vos.
Beautiful
RispondiEliminaBeautiful blog
RispondiEliminaSono davvero curiosa di sapere dove trovi ispirazione per i nomi... Zephar Gylldor... è ovvio che non sono copiati però mi piacerebbe sapere cosa li abbia ispirati.
RispondiEliminaGrazie per le tue domande...Allora, riguardo i nomi faccio ricerche in internet con l'intento di trovarne di originali, caratteristici delle terre in cui sono ambientati i miei racconti. Nel caso specifico, Zephar, se non ricordo male, è il nome di un demone, mentre Gylldor è proprio inventato. Se non trovo nulla che mi soddisfi sul web uso la tecnica degli anagrammi, inversione o sostituzione di lettere o vocali. Per quanto riguarda il tuo commento sulle favole per bambini, come ben avrai visto, l'altro mio blog è dedicato ai più piccoli con tante mie favole e filastrocche , oltre che leggende estrapolate dal web e da me elaborate. Se vuoi dare un'occhiata al terzo blog appena aperto puoi trovare alcune delle mie pubblicazioni tra le quali anche alcune favole per bambini. Ti ringrazio molto per la tua attenzione e per le tue domande alle quali ho risposto ben volentieri. Ciao e buona serata!
EliminaBella anche la terza parte… comunque tutto ok sono riuscita ad entrare sul link che mi avevi dato. Buona domenica
RispondiEliminaMagnifico. Attendo il seguito. Ciao.
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