Mi guardai intorno facendo segno ai compagni di
fare altrettanto, ma non ve n’era bisogno. Anche loro avevano percepito il
cambiamento e il pericolo incombente.
Feci radunare i bambini e per precauzione
formammo il solito cerchio difensivo.
I minuti passarono lenti nel totale silenzio e
per un po’ non vedemmo nulla.
Poi, all’improvviso, ci attaccarono.
Gli uomini, gli stessi che ci avevano seguito fin sul ponte, avevano poi aggirato
il burrone, ed essendo più veloci ci avevano preceduti, tendendoci l'agguato.
Erano in tanti, forse una quarantina, e anche
molto agguerriti. A giudicare dall’aspetto sembravano freschi e non erano certo
provati come lo eravamo noi. La loro discesa sull’altro versante era stata sicuramente
meno travagliata della nostra e non avevano dovuto affrontare tutte le
disavventure vissute dal nostro gruppo.
Ero seriamente preoccupato e in quel momento mi
sembrò che il mondo mi crollasse addosso. Disperavo di farcela questa volta.
Dieci contro quaranta! Per quanto addestrati e valorosi quanto avremmo potuto
resistere alla superiorità numerica?
Con un’occhiata circolare avvolsi la famigliola
in un abbraccio unico e pietoso. Per noi, per loro, le probabilità di sopravvivere
erano ridotte al lumicino ma, nonostante tutto, noi monaci guerrieri, ci eravamo
assunti un compito delicato e avremmo tentato di portarlo a termine a tutti i
costi.
Scambiai un’occhiata eloquente con tutti i miei
compagni e nel loro sguardo e nel loro atteggiamento lessi la mia stessa
determinazione.
«Siamo con te!» mi disse Tien e quella frase
stava a significare “Insieme, fino alla morte!”
Ci accingemmo dunque a una strenua difesa.
Avevo già affrontato alcuni di quegli uomini, e
sapevo che erano addestrati bene alla lotta, ma non come lo eravamo noi.
Ci attaccarono tutti insieme, come un’orda di
lupi e proprio come mi aspettavo facessero.
Finché ci fu abbastanza distanza facemmo uso
delle catene da combattimento, che lanciavamo come bolas o abbattevamo come
sferze sui corpi dei nemici e, considerata l’abilità e la mira, ne abbattemmo subito
parecchi. Ma erano in tanti e quella
loro superiorità rischiava di schiacciarci in una manciata di minuti.
Oltretutto, avevamo la preoccupazione dei bambini. Il cerchio difensivo intorno
a loro non doveva assolutamente allargarsi troppo.
Quando non fu più possibile usale le catene da
combattimento sfoderammo i bastoni e me la ritrovai accanto all’improvviso! Maylinn
si era messa al mio fianco brandendo una delle nostre armi e fronteggiava il
nemico con espressione impavida e di sfida.
Bella come una dea e determinata come una
Walkiria!
Ci scambiammo un’occhiata, ma io ero confuso.
Cosa aveva intenzione di fare?
«Anche io sono con te, comandante!» scandì con
un piglio indiscutibile.
«Maylinn…» mormorai, ma non ebbi il tempo di proseguire
perché entrambi ci trovammo costretti a respingere l’attacco di due nemici. Ero
preoccupato per lei e con la coda dell’occhio la osservai combattere, pronto a
intervenire.
Parava, stoccava e infliggeva bastonate come
uno di noi. Si intuiva che aveva ricevuto un addestramento e combatteva come
una veterana. Era agile e fluida nei movimenti e nello stesso tempo precisa e
determinata, non solo a difendersi ma anche a prevalere sull’avversario. Nonostante
fosse molto più esile dell’altro balzava di qua e di là con la stessa grazia di
una libellula, ma schivando e colpendo con la giusta energia, quindi con poche
stoccate si liberò dell’assalitore.
Per me fu altrettanto semplice prevalere e
questa volta la guardai con profonda ammirazione. Lei sorrise, con il volto
appena arrossato dalla fatica ma con negli occhi un’espressione maliziosa. Era
felice di avermi sorpreso ma poi ci ritrovammo impegnati in un altro
combattimento e la persi di vista. Ogni tanto la sentivo gridare, un po’ per la
foga che metteva nel battersi ma qualche volta perché veniva colpita e in quei
momenti il mio cuore cessava di battere.
Parecchie volte fui sul punto di intervenire
per aiutarla, ma lei riusciva sempre a cavarsi d’impiccio da sola e non potei
che ammirarla per questo.
Nella confusione, ogni tanto ci ritrovavamo
vicini e, in quelle occasioni, combattevamo proteggendoci a vicenda, spalla a
spalla, come avrebbero fatto due camerati affiatati, anzi, a onor del vero, in
un paio di occasioni fu proprio lei a evitarmi ferite mortali.
Tenemmo testa bene al nemico, mettendone fuori
combattimento subito, almeno una decina con i bastoni, quando non fu più possibile
usare quelli combattemmo a mani nude.
Pare incredibile, eppure, la nostra forza e
determinazione, sommati al duro addestramento, risultarono vincenti. Gli aggressori
caddero come mosche.
Guardai con orgoglio i miei compagni che si stavano
facendo onore. Di quel grosso manipolo di manigoldi, in poco tempo ne rimase in
piedi solo una ventina e con nostra somma meraviglia, li vedemmo dileguarsi
nella macchia boschiva.
Non mi illusi, come credo non si illusero gli
altri, perché non emisero grida di giubilo per quella ritirata, ma solo sospiri
di sollievo per la momentanea fase di riposo.
Avevamo tutti il fiato corto! Il rumore dei
nostri afflati si confondevano e si condensavano in nuvolette che si
espandevano per aria. Maylinn era ancora
al mio fianco.
Aveva combattuto come una leonessa combatte per
difendere i suoi cuccioli ed era degna di tutta la mia ammirazione.
Avrei voluto esprimere l’emozione che sentivo ma
le circostanze me lo impedivano. Mentre Tien mi si avvicinava, riuscii solo a
mormorare un ringraziamento: «Ti sono grato, mia signora. Senza il tuo
intervento avrei corso un brutto rischio.»
Era sudata, trafelata e con i capelli in
disordine eppure, nessuna mi era mai parsa tanto bella quanto lei in quel
momento.
Come al solito annuì dolcemente e mi sorrise: «Hai
fatto lo stesso per me e i miei bambini e sono io a doverti eterna riconoscenza,
comandante.»
«Hui…. mi chiamo Hui.» riuscii a sussurrare,
arrossendo per la mia sfacciataggine, un attimo prima che il mio amico ci
raggiungesse.
«Hui» mormorò lei e il cuore mi si gonfiò di
felicità.
Se anche Tien percepì la mia emozione non lo
diede a vedere e io gliene fui grato.
Il mio amico si profuse in un profondo inchino davanti
all’imperatrice palesandole la sua ammirazione: «Ti ho veduta combattere, mia
signora e non posso che essere fiero e onorato di avere una sovrana così abile
e coraggiosa!»
Ingoiai un moto di stizza e di collera. Non ce
l’avevo con Tien bensì con me stesso. Avrei dovuto e voluto essere io a
complimentarmi con lei e invece, mi ero fatto precedere.
Ma forse la mia era solo gelosia.
Il mio amico sorrise in modo ironico. Ancora
una volta non disse nulla a tal proposito, ma era chiaro che aveva compreso
quello che stavo passando.
«Credo che torneranno.» affermò invece: «Si
nota un certo movimento in quella macchia di verde.»
«L’ho notato anche io.» lo rassicurai,
guardandolo un po’ torvo per avermi letto dentro ma già proiettando i miei
pensieri ai prossimi scontri: «Teniamoci pronti!»
Gli altri compagni mi guardavano in attesa di
ricevere disposizioni. Li ammirai. Avevano combattuto senza mai perdere la
speranza e senza mai arretrare di un passo davanti al nemico e ai pericoli che
avevano dovuto affrontare durante la lunga ed estenuante fuga. Si erano fidati
di me e avevano eseguito senza discutere i miei ordini e in quel momento erano
di nuovo pronti a morire pur di salvare gli eredi al trono.
Li radunai intorno a me e con le braccia li
strinsi tutti in un abbraccio solidale e affettuoso. Ci univano i lunghi anni
di addestramento, di studi e di avventure. Nulla e nessuno poteva distruggere
la nostra amicizia.
Risposero con un unico, unanime abbraccio e
rimanemmo così uniti per alcuni lunghi e intensi secondi.
Sentii il mio petto gonfiarsi di commozione.
Non occorsero parole d’incitamento. Non avrei
nemmeno potuto parlare. Un nodo alla gola me lo impediva. Ci sciogliemmo dall’abbraccio
assestandoci pacche cameratesche gli uni agli altri.
L’emozione era palpabile ed era evidente in molti
sguardi lucidi.
Eravamo pronti a morire per i nostri ideali e
per salvare l’impero.
Poi i nemici riapparvero e innanzi a tutti c’era
un guerriero dall’aspetto imponente e l’espressione autoritaria.
Notai che indossava la nostra divisa da combattimento,
brandendo le nostre stesse armi.
Intuii subito che fosse un avversario esperto e
temibile.
Avanzava divorando con decisione la distanza
che ci separava, fissandomi negli occhi e quando fu a pochi passi da me, con cipiglio
arrogante prese a scrutare la mia figura in ogni dettaglio. Ricordo il suo
sguardo da serpente, come ricordo con fastidio la morsa che mi attanagliò lo
stomaco.
Forse percepì il mio disagio perché proclamò con
una voce stentorea: «Hai combattuto bene Hui e fatto quello che hai potuto, ma
ora siamo giunti alla resa dei conti. O ti arrendi e mi consegni la famiglia reale
o tu e i tuoi uomini non vedrete il sorgere di un nuovo sole.»
Conosceva il mio nome e mi domandai chi gli
avesse fornito quell’informazione.
Non potei fare a meno di notare la grande scimitarra
intarsiata che pendeva al suo fianco in un fodero d'argento, e che solo a un Gran
Maestro era concesso portare. Pensai che quell’individuo l’avesse rubata. Non
poteva essere un uomo sacro. Un Venerabile non avrebbe mai compiuto azioni così
efferate come l’attacco alla residenza imperiale.
Sorrisi amaramente e gli risposi, ostentando pacatezza
ma in modo sprezzante: «Non so chi sei…anzi in realtà lo so benissimo! Sei uno
dei monaci rinnegati che ha tradito la famiglia reale e l’impero! Forse sei
stato proprio tu a organizzare tutto. Ma in questo momento non m’interessa,
come non m’interessa conoscere il tuo nome. I vili non hanno bisogno di essere
nominati, bastano le loro azioni e la loro nomea a rappresentarli. Sappi soltanto
che non abbiamo fatto tanta strada e patito tante sofferenze per cedere i
nostri protetti al primo vigliacco che profferisce minacce!»
Lo vidi sussultare. Lo avevo ferito nell’orgoglio
davanti ai suoi uomini. Lui che si dava tante arie di superiorità.
Il suo volto si trasformò in una maschera di
odio e di ferocia, ma ignorai il suo livore e lo sfidai ancora. Avevo
intenzione di portarlo al parossismo e forse, accecato dalla collera, avrebbe
commesso un passo falso.
«Veditela con me. Dimostra ai tuoi uomini che
hai abbastanza coraggio per affrontare da solo un maestro!»
Non era vero che fossi un maestro. Perlomeno,
non ancora. L’attacco alla residenza aveva impedito la mia nomina, ma lui mi
guardò sorpreso. Non si aspettava certo di dover affrontare un esperto supremo della
Sacra Lotta.
I suoi
uomini mormorarono, allargandosi intorno a noi, certi che il loro capo avrebbe
accettato la sfida e lui non poté evitare di farlo. Sarebbe stato un disonore.
«Maestro o no, morirai tra atroci sofferenze!»
esclamò, attaccando.
Decisi per una tattica difensiva finché non avessi
capito il reale valore del mio avversario, valutando la sua potenza fisica. Purtroppo,
sin dalle prime mosse, dovetti rendermi conto che anche lui era esperto in
quella disciplina.
Per la prima volta da quando ero diventato guerriero
mi assalì il dubbio della sconfitta.
Fece ricorso a molti trucchi pur di disarmarmi
ma io, nonostante la stanchezza, prevenni e parai ogni mossa.
Gli tenni testa per qualche drammatico minuto
non senza difficoltà, riuscendo anche a mettere a segno qualche colpo violento
con il bastone, ma diversamente da me, lui era fresco e riposato. Aveva
deliberatamente mandato avanti i suoi uomini nel precedente attacco evitando di
stancarsi per avere un vantaggio e la sua tattica stava funzionando.
Purtroppo, riuscì a disarmarmi ben presto.
Sul mio gruppo scese un gelido silenzio.
Il suo viso si storse in un ghigno malvagio
mentre sguainava la sua lama d'acciaio brandendola al mio viso. In quel momento
capii di essere a un passo dalla morte.
E l’avrei accettata perché un vero guerriero
non teme la fine della vita terrena ma nella reincarnazione. Era la nostra
religione e ci era stato inculcato fin da bambini quel concetto.
Guardai con rassegnazione la spada puntata su
di me, ipnotizzato dai bagliori che emanavano la lama.
Un richiamo improvviso lacerò i miei pensieri
strappando da quella letale apatia.
«Hui…no!» Era la voce di Maylinn. Nello stesso
tempo udii il rimbalzare dell’acciaio sul terreno al mio fianco e agendo d’istinto
mi precipitai ad afferrare la spada che Tien mi aveva gettato.
Ma il mio avversario non me lo permise. Aveva
assaporato il gusto della vittoria e non ci stava a farsela sfuggire con un
nuovo combattimento.
Abbassandomi per raccogliere l’arma rimasi del
tutto alla sua mercé offrendogli la possibilità di colpirmi in pieno.
Aveva mirato al mio collo, e solo per la prontezza
di riflessi riuscii ad evitare che la mia testa spiccasse dal corpo. Scartando
di lato con un guizzo velocissimo riuscii a salvarmi la vita.
Purtroppo, però, non riuscii a scansare del
tutto la lama, e subii l’atroce menomazione. Avvertii un dolore lancinante al
braccio sinistro, e con orrore lo vidi volare via dal mio corpo con un getto di
sangue.
Ricordo le urla, quelle mie di dolore e quelle
dei bambini e dell'imperatrice.
Ricordo che ebbi ancora qualche secondo di lucidità
prima che il dolore e l’orrore dilagassero nel mio animo ottenebrandomi la
mente.
Ero caduto in ginocchio e lui ancora una volta
brandì la spada all’altezza del mio collo. Avvertii il peso dell’acciaio
gravare nell’unico braccio rimastomi. La mia mano destra stringeva ancora l’elsa
della spada e la sua figura, per quanto incombesse minacciosa su di me,
rimaneva del tutto indifesa.
Prima che lui infierisse e con l'ultima stilla
di energia sollevai la lama contro il suo ventre e l’affondai.
Un attimo prima che l'oscurità pietosa
scendesse su di me, vidi il traditore accasciarsi senza vita.
Quando mi risvegliai ero del tutto scioccato. Non
riuscivo nemmeno a capire dove fossi e che ci facessi disteso per terra, con i
volti preoccupati dei miei compagni chini su di me.
La ferita mi doleva da morire, ma ancora non
avevo realizzato l’enormità di quanto mi era accaduto. Il trauma mi aveva
annebbiato la memoria e mi guardavo intorno confuso. Tentai di sollevarmi ma il
mio amico Tien mi trattenne: «Stai fermo, Hui. Hai già perso sin troppo
sangue.»
«Che mi è successo?» domandai, cercando di
sbirciare, ma la schiena di uno dei soccorritori mi copriva del tutto la
visuale. Sentivo che trafficavano intorno al mio braccio, laddove avvertivo un
immenso dolore e dove tra l’altro, stranamente, pensai molto più tempo più tardi,
sentivo ancora di avere un arto, mano compresa.
La sciabolata che me lo aveva troncato di netto
era scomparsa dalla mia mente, né i miei compagni mi avevano già spiegato l’accaduto.
Maylinn, che era rimasta silenziosa e in
disparte fino a quel momento, mi si inginocchiò accanto: «Mi permetti,
comandante Hui?» domandò, mostrandomi una salvietta umida. Non capii cosa
volesse fare ma a lei avrei concesso tutto. Annuii e lei iniziò a detergermi il
volto dal sangue e dal sudore con estrema delicatezza.
Nei suoi occhi lessi una pena infinita e fu
allora che iniziai a ricordare.
Le immagini dello scontro emersero pian piano e
la prima cosa che mi sovvenne fu la mia spada piantata nel ventre del traditore.
«L'ho ucciso!» mormorai sofferente e a denti
stretti.
Lei annuì: «Sei stato molto coraggioso, comandante! E per merito tuo il resto della banda è fuggito!» Ma in quel momento il suo sguardo si colmò di pianto e all'improvviso ricordai il mio dramma.
«No!» urlai, tentando di liberarmi da tutte quelle
braccia che mi trattenevano a forza.
«Sta calmo, Hui! Siamo appena riusciti a cauterizzare
il moncherino e a fermare l'emorragia.» disse Tien stringendomi con più vigore.
Ero disperato, sconvolto. La tragica realtà si
era abbattuta su di me come una mannaia straziandomi l’anima, così come mi era
stato straziato il corpo. Ero un guerriero e avrei dovuto essere preparato a
una simile evenienza ma, evidentemente, non era così. Sbattei la testa a destra
e a sinistra rifiutando il pensiero di essere rimasto menomato e Tien me la
afferrò per impedirmi di causarmi altro male.
«Voglio vedere! Fatemi vedere!» quasi li implorai,
consapevole che finché non avessi appurato la verità con i miei occhi non avrei
mai iniziato ad accettare la mutilazione.
I miei compagni si spostarono e allora mi resi
conto! Il vuoto, quel grande vuoto che vidi al posto nel mio braccio fu come una
pugnalata al cuore.
«No!» urlai ancora con tutto il fiato che avevo
nei polmoni «No! Non è possibile!» Il mondo mi crollò addosso! Il mio futuro di
uomo, la mia fulgida carriera di monaco guerriero, erano finite.
Mi abbandonai senza forze e senza più volontà
di combattere contro il destino. Le lacrime presero a scorrere copiose sul mio
volto e tutti i miei compagni volsero lo sguardo altrove, alcuni a disagio, altri
per nascondere la loro intensa commozione.
Tutti si volsero, tranne lei.
Ancora in ginocchio accanto a me, Maylinn aveva
assistito alla tempesta di emozioni in cui mi ero dibattuto e si chinò. La vidi
avvicinarsi attraverso il velo di lacrime e sentii le sue labbra posarsi sulle
mie, dolcemente.
Monastero
Del Canto Del Vento
L’emozione mi aveva preso alla gola.
Le ultime parole del mio racconto vennero accolte
da un silenzio che si protrasse a lungo.
Sentii molti compagni schiarirsi la gola, o dare
in colpetti di tosse imbarazzati. Capii allora come la storia di mio padre
aveva coinvolto tutti quei guerrieri e pensai con orgoglio quanto dovessi
andare fiero di essere figlio di quell’eroe che aveva salvato la dinastia imperiale.
E capii anche che davvero non esiste coraggio se non si prova paura. Mio padre
aveva dato anche questa grande lezione.
Si alzarono in piedi tutti, aspiranti monaci e
Gran Maestro, battendo l’elsa delle spade sugli scudi, e levandole all’unisono
in un urlo osannante mio padre.
Solo molto più tardi qualcuno ebbe il coraggio
di domandarmi come finì la tenera storia d’amore che l’imperatrice aveva
condiviso con lui, ma io scossi la testa. Risposi che lo ignoravo e che mio
padre era stato talmente discreto, a tal proposito, che la fine era rimasta un
segreto.
Quando lasciai la sala volgendo le spalle ai
compagni, sorrisi. In realtà lo sapevo ma non lo avrei mai rivelato.
Maylinn e Hui si erano amati quei pochi giorni,
ma quell’amore era stato tanto profondo e intenso, che sarebbe durato per tutta
la vita.
Fine
Emozioni a non finire, nei tuoi avvincenti brani, molto apprezzati
RispondiEliminaBuongiorno carissima Vivì,silvia
Chapeau! Finale grandioso. Molto emozionante e coinvolgente. Complimenti tanti e sentiti. Alla prossima.
RispondiEliminaFinale degno di un guerriero.Forte,audace e romantico ma con un pizzico di umana debolezza,che lo rende un vero eroe.Questa versione,rivista e ampliata mi è piaciuta moltissimo.Complimenti Vivì. Un abbraccio.Lu.
RispondiEliminauy que genial final. Eres muy buena escritora. Te mando un beso
RispondiEliminaUna saga.Fantasy molto ben scritta, curata e localizzata. Personaggi ben definiti e verosimili. Mi è dispiaciuto per la menomazione dell'eroe ma ci sta. Peccato che sia finito. Complimenti.
RispondiEliminaFinale molto emozionante, l'amore del grande guerriero e dell'imperatrice. Un racconto che emoziona il lettore per l'ottima struttura usata per porgerlo in una maniera ottima. Molto emozionante in tutte le sue parti. Complimenti Vivì, l'ho molto apprezzato. Un caro saluto da Grazia, abbraccio!
RispondiEliminaBel lavoro, Vivì. Non ti stanca mentre lo leggi.
RispondiEliminaTi auguro buon fine settimana!
Salut! ciao mi bella amica!
RispondiEliminacara maestra, buonasera!
Sono scioccata dalla meravigliosa conclusione, il finale a tutta orchestra dela novela.
Sono davvero commossa; del tuo miglior raccolto, senza dubbio.
Stavo leggendo qui a lungo questa domenica mentre i miei amici gli scoiattoli,
i conigli e il mio unicorno dal naso rosa prendevano il te jajajajaja!
Tanti baci e abbracci e ti auguro di continuare a goderti un'estate cosi gloriosa.
Mando tanti saluti, baci e abbracci, oh, e dimenticavo di dire qualcos'altro,
siamo tutti vaccinati nel mio borgo! la vita e bella.
Molto avvincente fino alla fine!
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