Una leggera
nebbiolina si alzava dal sentiero, che conduceva nel bosco in piena fioritura e
fremente di vita.
Il giovane stregone, dall’ aitante figura, camminava immerso
in cupi pensieri, tanto da non rendersi quasi conto della bellezza e dall’
energia sprigionata dalla natura in piena primavera.
Nonostante la giovane età, i suoi capelli erano candidi come la neve.
Era incanutito precocemente e portava la folta chioma legata in una lunga coda,
che andava a ricadere sulle sue spalle poderose. I lineamenti erano fini,
regolari ed esprimevano tutta la giovinezza, il fascino e il vigore della sua
persona. Indossava una corta tunica color cioccolato, con rifiniture dorate dal
fruscio leggero, tipico della seta preziosa, su larghi pantaloni svolazzanti.
Il completo era fine e gli conferiva un aspetto esotico e un insieme raffinato.
Tuttavia, una ruga profonda segnava in quel momento la sua fronte,
mentre si dirigeva nel folto del bosco, guidato dal suono melodioso del flauto
e da quello soave dei violini. Quelle note erano nella sua mente da sempre e
avevano scandito ogni avvenimento importante della sua vita.
Kandir, questo era il nome dello stregone bianco, camminava
speditamente verso una destinazione che ignorava lui stesso. Nelle sue vene
scorreva una parte di sangue elfico ereditato da una sua antenata, che molto
tempo prima si era innamorata di un umano e aveva abbandonato la comunità degli
Elfi per andare a vivere con il suo uomo.
L’ Elfa era stata poi ripudiata e di lei, gli abitanti di quel
villaggio, avevano cancellato sia il nome che l’ esistenza.
Oltre il sangue e i capelli candidi, Kandir aveva ereditato dalla
bisavola le orecchie a punta e i tratti del viso finissimi, ma lui non si era
mai sentito veramente un Elfo, nemmeno per una minima parte e preferiva credere
di appartenere in tutto e per tutto alla razza umana. A volte, tralasciava
anche di guardare il suo riflesso pur di non soffermarsi troppo sulle orecchie
e sui suoi tratti somatici che, evidentemente, ricordavano quelle misteriose
creature.
Del resto, non ne aveva mai conosciuto uno in vita sua e quel poco
che sapeva, non glieli rendeva simpatici. In realtà, non sapeva nemmeno se
esistessero ancora e dove vivessero. Erano anni che non se ne vedevano più in
giro e forse erano emigrati in chissà quale punto lontano della foresta. Le
sole nozioni che aveva di quella strana stirpe era che, senz’ altro, fluiva nel
loro sangue il potere della magia, che si trattava di un popolo schivo e poco
amante degli esseri umani.
“ Per il bene degli abitanti della foresta spero proprio che
abbiano abbandonato questi luoghi di pace e che si siano trasferiti altrove.
Possiamo fare a meno di gente bizzarra e dagli strani usi e costumi.” pensò con un
mezzo sorriso.
Eppure, di quella stirpe aveva ereditato caratteristiche fisiche
che, in alcuni casi, si erano rivelate determinanti. La prima di queste qualità
era la vista. Con gli occhi riusciva a squarciare l’ oscurità della notte come
alcuni animali; un’ altra era l’ udito finissimo e un’ altra ancora era l’
estrema agilità delle membra. Kandir si muoveva elastico come un gatto e
riusciva a compiere balzi e giravolte come solo un felino. In cuor suo
sopportava l’ dea del sangue elfico solo per questi motivi.
Poi, un ricordo improvviso gli balenò nella mente e la figura
esile di sua madre gli apparve nitida.
“Mamma, non voglio avere queste orecchie a punta e
questo viso così scavato. I miei amici mi prendono in giro per questo!”
La donna lo aveva guardato con espressione mesta mentre rispondeva
con pacatezza:
” Nessuna creatura al mondo può rifiutare di essere
quello che è. Nemmeno noi!”
Allora Kandir si era soffermato sui bei lineamenti della madre,
fini ma non certo elfici e i suoi capelli
neri come l’ inchiostro.” Io però non ti assomiglio molto.
Perché?”
“ Tu assomigli alla nonna, ma nelle nostre vene scorre lo stesso
sangue.”
“ Perché, mamma? Perché? Io non voglio essere un…”
Non riusciva mai a terminare la frase e lei lo riprendeva:” La stirpe da cui
proveniamo non è mai stata malvagia. Si tratta di un popolo dalle
abitudini strane e dalla cattiva nomea, ma niente affatto malvagia. E poi in te
sono distinguibili solo le caratteristiche fisiche e non quelle spirituali. Tu
sei più un umano che un Elfo.”
Quelle parole non erano servite a rincuorarlo ma, anzi, si era
lasciato andare in un pianto disperato” Non è vero, mamma
e tu lo sai bene. Io vedo dove gli
altri non vedono e sento quello che tanti non sentono. Odio queste
orecchie! Odio i miei capelli bianchi! Odio come sono fatto!”
La madre si era abbassata alla sua altezza e lo aveva guardato
dritto negli occhi:” Quelle sono qualità e non difetti
e se imparerai a sfruttarne le potenzialità, da adulto potrai diventare una
creatura speciale, imbattibile, imprendibile e inimitabile. Nessun altro sarà
speciale come te.”
La stessa scena si era ripetuta più volte e in quelle occasioni la
madre lo prendeva tra le braccia e lo consolava accarezzandolo.
Kandir tornò al presente con la voce di lei che lo calmava,
intonando una dolce ed esotica melodia. Dolce donna la sua mamma. Con poche,
semplici parole era state in grado di rasserenarlo.
Un velo di profonda commozione e altrettanta nostalgia permeò il
cuore dello stregone.
I ricordi continuarono a fluire nella sua mente come l’ acqua in
un quieto ruscello.
Crescendo, aveva sempre cercato di nascondere le orecchie sotto la
copertura dei lunghi capelli e lo aveva fatto fin quando era stato grande
abbastanza da potersi difendere dai dileggi dei compagni.
Lo stregone sospirò. I ricordi che riguardavano la sua infanzia
non erano del tutto felici e gli causavano ancora delle sgradevoli sensazioni.
Guardò ancora una volta il medaglione d’ oro finemente inciso, che
portava al collo, con l’ immagine dipinta in acquarello di una giovane donna
bellissima: Aster, la Ninfa del bosco, di cui era segretamente innamorato.
Aster aveva un viso dolcissimo dall’ ovale perfetto. Occhi grandi
con taglio decisamente a mandorla, in cui spiccava netto il colore del mare in
burrasca; un verde intenso, brillantassimo, ma a volte fosco come i marosi più
alti e più violenti.
In quel momento, la bocca dalle labbra carnose sembrava atteggiata
in un broncio deciso, malinconico. I lunghi capelli neri erano scarmigliati e
l’ intera immagine, in genere limpida e netta, dava ora l’ idea di essere
ricoperta da una patina grigia, che offuscava la deliziosa effigie. Le labbra
della giovane ninfa si mossero come se stesse parlando, ma nessun suono
fuoriuscì dall’ immagine e, forse, rendendosi conto di non essere capita, lo
sguardo le si incupì in modo desolato.
Kandir se ne rammaricò. In precedenza, molte altre volte erano
riusciti a comunicare in quel modo, anche a decine e decine di chilometri di
distanza, si erano connessi mentalmente e visualmente ricorrendo alla magia di
entrambi e se in quel momento non riuscivano, significava solo che qualcosa di
grave era accaduto.
Se avesse dovuto descrivere la sensazione che gli offriva in quel
preciso istante il medaglione, Kandir avrebbe detto che non si trattava di un
finissimo manufatto, ma di un antico quadro in bianco e nero, che il tempo trascorso
aveva ingiallito con una patina sgradevole ricoprendolo di crepe.
Lo sguardo del giovane stregone si corrucciò diventando grave.
Si domandò cosa fosse accaduto al ciondolo da renderlo così grigio in
così breve tempo.
Nell’ altra mano stringeva la lampada arcana. Un globo che emanava
una luce soffusa e che avrebbe acceso con un gesto magico appena fosse scesa l’
oscurità e non perché gli occorresse, la sua vista da Elfo riusciva a
squarciare le tenebre, ma lui era sempre riluttante a usufruire di quei poteri
arcani e la luce emanata dalla lampada gli serviva per fugare le ombre più
inquietanti, scese all’ improvviso sul suo animo in ambascia.
Doveva affrettarsi a trovare la sua insegnante, nonché carissima
compagna di tante avventure, Smeraldine, la saggia civetta. Se avesse trovata
lei, si disse, di sicuro con il suo aiuto avrebbe presto trovato anche le
tracce dei rapitori della giovane ninfa. Sempre che fosse stata rapita e nella
speranza che non le fosse accaduto nulla di grave.
In quel momento, le sue mani sfiorarono l’ amuleto che teneva al
collo, insieme al ritratto della ninfa. Per un misterioso motivo li aveva messi
insieme, e tenuti così da quel momento.
Il piccolo talismano di smeraldo gli era stato regalato proprio
dalla civetta. L’ amica mutante, cara e fedele, con occhi verdi simili alla
pietra preziosa, dalla quale derivava il suo stesso nome.
Mentre fissava il grazioso amuleto gli occhi del rapace
baluginarono, ammiccando per un attimo.
Kandir lo interpretò come un buon auspicio e riprese la sua
ricerca nel bosco.
Mentre avanzava, emanò alcune volte il richiamo che aveva studiato
e stabilito insieme all’ amica. Un fischio modulato, che ricordava il richiamo
di quella specie tanto bistrattata e tanto temuta dai superstiziosi.
“E se anche Smeraldine fosse stata rapita insieme ad
Aster?” Il sospetto gli passò come un lampo nella mente e lo costrinse
di nuovo a fermarsi. Forse, la scomparsa della sua amica era da correlare al
rapimento della Ninfa del bosco?
Come poteva essere? Erano entrambe creature magiche e la loro
magia era molto potente. Nessun mago, stregone o negromante aveva possibilità
di prevalere sulle loro forze unite. Kandir stesso aveva trovato mille
difficoltà a superarne il potere quando, in passato, le due creature avevano
deciso di metterlo alla prova per testarne l’ energia e il valore.
Eppure, erano ormai ore che le cercava e, o l’ una o l’ altra,
avrebbe già dovuto rispondere ai suoi richiami.
Il fastidioso dubbio stava germogliando come zizzania in un campo
di grano e rischiava di contaminare i suoi pensieri con note negative, mentre
avrebbero dovuto mantenere un po’ di relativa positività.
Occorreva reagire e non pensare al peggio.
“ Non esiste nessuno tra i tanti stregoni e le streghe al mondo,
in grado di trarre in inganno la mia insegnante. “ si disse per
incoraggiarsi. “Né tantomeno, potrebbero ingannare
la Ninfa del bosco.”
Il volto di Aster le riapparve nella mente, delicato come mai gli
era sembrato prima.
“ Smeraldine è forte ed energica, mentre Aster è fragile ed è
sensibile. Se qualcuno in malafede le domandasse aiuto, lei si farebbe in
quattro pur di offrirgli tutto il suo supporto. Ed è in questa sua grande bontà
che si cela il suo punto debole.”
Kandir rabbrividì al pensiero che Aster fosse in pericolo e si
augurò che Smeraldine fosse con lei.
“Insieme posseggono la Forza!”
A un tratto esitò e per la prima volta nella sua vita, si sentì
confuso e smarrito.
Era per qualcosa che era cambiato intorno a lui.
Si guardò intorno cercando di captare le sensazioni trasmesse
dalla natura, ma quello che avvertì fu solo un gelo profondo.
Cosa stava accadendo? Perché quel silenzio calato improvviso come
una mannaia a stroncare ogni segnale di vita?
Nel bosco, sempre pieno di rumori, versi di animali grandi e
piccoli, richiami dei vari uccellini sui rami, il fruscio del vento tra le
fronde degli alberi…
“Ma quali fronde? “ si domandò,
ormai sconcertato mentre il gelo s’ infiltrava, fastidiosamente, in tutte le
fibre del suo essere.
Il paesaggio era mutato e non esistevano più foglie sui rami ora
scheletrici. Eppure, si era a primavera inoltrata! Kandir scrutò in ogni angolo
possibile, fin dove giungeva il suo sguardo. Inutile cercare vita e vigore
nella natura. Il bosco, in quel punto, era desolatamente morto.
Nemmeno in pieno inverno si poteva ravvisare un simile squallore.
Gli animali che non andavano in letargo, con la loro presenza riuscivano ad
animare la selva anche nella stagione più rigida. Lasciavano tracce evidenti
del loro passaggio, mentre ora, non vi era nessun segno di vita.
E quel silenzio drammatico pesava ancor più dei più assordanti tra
i rumori.
E dove erano finiti tutti i piccoli amici animali primaverili?
Quelli che appaiono all’ improvviso, guardando con curiosità l’ estraneo e che
si dileguano in un istante per la loro timidezza? Svaniti nel nulla?
Lo stregone si volse indietro, ma anche alle sue spalle il
paesaggio era mutato in peggio e un senso di struggente malinconia iniziò a
pesare sul suo cuore e sulla sua mente.
“Devo trovare Smeraldine, e con lei unire le nostre
potenti magie, per far ricorso al più potente degli incantesimi conosciuti e
per permettere così alla vita di tornare a regnar sovrana nel bosco. Per far sì
che la grandiosa magia della vita stessa torni al suo splendore naturale.”
Kandir si esortava da sé perché era perfettamente consapevole che,
se non fosse riuscito nel suo intento, tutto sarebbe stato perduto. Forte di
ciò, fece salire anche più alto e deciso il richiamo per la sua amica.
E proprio in quel momento, in un piccolo cantuccio della sua
coscienza gli parve di rilevare una lontanissima voce in risposta al suo
richiamo. S’ immobilizzò su quella sensazione, cercando di captare e di capire
cosa fosse stato quel lampo.
Rilanciò nuovamente il richiamo convenuto, e ancora una volta gli
sembrò di captare quella voce lontanissima, e questa volta riuscì a capirne le
parole:
« Segui la musica, Kandir! Solo così mi potrai trovare!»
Aveva capito bene? Doveva seguire la musica? Che voleva dire Smeraldine?
Nel frattempo, era giunto al ruscello dove sovente avevano l’
abitudine di sostare lui e la sua mentore, per le abituali lezioni di magia e a
volte anche Aster si soffermava su quelle rive.
La ninfa affermava che non esisteva niente di più incantevole di
quel luogo, che amava definire “ un piccolo paradiso”.
Il giovane stregone si fermò accanto al ruscello e lo trovò
incredibilmente immobile. Sembrava che le sue acque invece di scorrere, com’
era naturale che fosse, si fossero cristallizzate fino a prendere quella forma
solida che appariva ai suoi occhi. Era come se l’ acqua, fosse diventata
ghiaccio. Un fenomeno normale per l’ inverno e non per quella stagione.
Posò il globo di luce accanto a sé e poi con gesti decisi delle
mani richiamò un incantesimo, mentre mormorava la formula magica adeguata.
Una nube bianca scaturì da quel gesto dirigendosi, come sospinta
da una lieve brezza, al di sopra del letto del ruscello. Dentro alla nube andò
materializzandosi una figura dapprima nebulosa ed eterea, che poi prese
lentamente consistenza, trasformandosi.
Senza alcun dubbio si trattava di Aster e non della civetta come
lui avrebbe voluto evocare. Perché?
La giovane ninfa muoveva le labbra come se stesse scandendo
qualcosa, ma la sua voce non gli arrivava e, Kandir, pur concentrando tutta la
sua attenzione, non riuscì a capire.
« Aster, per tutte le stelle. Cosa vuoi dirmi?» le domandò, mentre
la rabbia e la frustrazione lo assalivano.
La visione dell’ amica iniziò a svanire, ma lui fece in tempo a
vederle scuotere più volte la testa, con espressione di rammarico.
Si chiese perché lei gli avesse mandato la sua visione avvolta in
una nuvola e cosa volesse comunicargli.
Quello che era palese era stata la difficoltà sostenuta dalla
creatura magica per connettersi con lui. E cosa o chi le aveva impedito di
esprimersi? Era davvero prigioniera? Pareva proprio di sì! E Smeraldine?
Possibile che le sue amiche fossero state rapite dalla stessa
forza oscura, per poi rendere più difficoltosa la ricerca separandole?
Era tormentato da questi ossessionanti dubbi, quando infine
accadde una cosa che lo lasciò allibito. Se Kandir non fosse stato molto
preparato nel campo della magia, probabilmente ciò che gli apparve e che lo
avvolse, lo avrebbe intimorito.
Ma non per nulla il Consiglio degli Arcani lo aveva investito
della nomina di Custode Silvestre con l’ oneroso incarico di salvaguardare il
bosco e i suoi numerosi abitanti.
Per questo, nel momento in cui venne avvolto nella nebbia densa e
scura riconobbe all’ istante la magia oscura e reagì creando, con rapidissime
giravolte, una serie di vortici violenti come cicloni, che gli permisero di
disperdere momentaneamente la nube maligna.
Appena libero, Kandir sferrò il contrattacco posizionandosi dritto
davanti alla nube ora ricompattata. La formazione nebulosa pareva fosse una
creatura viva e intelligente, difatti, aveva assunto una vaga forma
antropomorfa, se ne stava immobile e sembrava studiarlo. « Vieni avanti,
creatura oscura. Non ti temo e nemmeno ti stimo!» esclamò, senza perderla di
vista un istante e in attesa di una qualsiasi mossa.
Lo stregone percepì un ghigno e la figura scattò all’ improvviso,
protendendosi e cercando di avvilupparlo con quelle che ricordavano
protuberanze scheletriche.
Allora fece ricorso alla magia e, con la formula sussurrata tra le
labbra, sprigionò il soffio decisivo che avrebbe dissolto definitivamente la
nube. Perlomeno, questa era la sua speranza.
Tuttavia, non fu semplice perché la misteriosa creatura prima si
sfilacciò in una miriade di spirali filamentose, molto simile a volute di fumo
e di vapore nell’ aria, poi si ricompattò e lo stregone dovette emettere più
soffi, alla pari di un mantice che soffia per ravvivare il fuoco. Dopo un tempo
che a lui parve interminabile e uno sforzo immane, l’ oscura figura finalmente
si dissolse nell’ aria.
Molto meglio affrontare un nemico in carne e ossa che quella cosa
vischiosa e gelida, pensò, eppure, venne assalito da un altro dubbio: era stato
impegnativo ma non difficile liberarsi di quel maleficio. Cos’ altro doveva
aspettarsi?
Riprese il cammino più speditamente, emettendo sempre il suo
richiamo, ma per il momento, Smeraldine, sembrava davvero svanita nel nulla.
Ormai era scesa la notte, la luce della lampada magica emanava un
chiarore soffuso, che lui trovò lenitivo e rassicurante per il suo animo
tormentato.
Non si accorse quando ma, a un certo punto, iniziò ad avvertire
una profonda quanto anomala stanchezza, che gli appesantiva le gambe e
intorpidiva i pensieri. Non voleva cedere al sonno, che lo costringeva a
strizzare gli occhi per non addormentarsi, però, forse poteva concedersi un
attimo di sosta per snebbiare la mente.
Decise di fermarsi e quella sua esitazione risultò essere un
errore, che gli costò caro.
I suoi sensi, sovraffaticati dall’ inquietudine, non erano tesi
come invece avrebbero dovuto essere e non percepirono il pericolo.
Una melodia celestiale si era levata intorno a lui rasserenandolo
ed esortandolo a lasciarsi andare con la mente. Stava per cadere in una
strana letargia ma, prima di chiudere in modo definitivo gli occhi, ebbe un
lampo repentino e la figura di Smeraldine gli apparve, riscuotendolo.
“Non ti addormentare! Non è questo il momento!” Era un
avvertimento sibilato con tono ammonitore e Kandir si sentì accapponare la
pelle. Si riscosse un attimo prima di finire prigioniero di un oscuro
incantesimo.
La melodia cambiò istantaneamente di tono trasformandosi in un
rimbombo cupo, come il suono di tanti tamburi cadenzati e una figura
orripilante gli si parò davanti.
Uno Zombrac! Un essere creato dalla magia nera, che vegetava
sospeso in una sorta di limbo molto simile alla morte apparente, ma che
si animava grazie al potere oscuro di qualche negromante.
Era una visione terrificante, che avrebbe soggiogato qualsiasi
umano. Uno qualsiasi, ma non Kandir, che soppesò con attenzione la creatura,
studiandone le caratteristiche fisiche.
Difficile stabilire a quale sesso appartenesse e lo stregone, per
istinto, avrebbe detto che forse era del genere femminile, anche se in effetti
di delicato non aveva nulla.
I radi capelli finivano in un intrico simili a tanti serpentelli
che si contorcevano in volute vorticose simili a disgustosi boccoli, che
ricadevano sulle spalle ossute della creatura.
Gli occhi spiritati erano ridotti a fessure gialle, con l’ iride
allungata come i rettili.
E proprio come alcuni rettili, il suo sguardo dava una sensazione
raggelante.
Kandir evitò si soffermarsi troppo su quegli strani occhi, che
forse possedevano anche un potere ipnotico.
Uno dei particolari che distingueva la creatura dalle serpi, oltre
alla postura eretta, era la pelle che non era a scaglie, bensì costellata di
tante pustole virulente, piene di pus. Tanto da dare l’ idea di una miriade di
piccoli vulcani pronti a eruttare il loro veleno contro tutti quelli che
avevano la sfortuna di sfiorarli, anche solo per puro caso.
La creatura emise un verso muto, di gola e istintivamente Kandir
tornò a fissarne il volto.
Gli occhi luminescenti baluginarono, quasi in modo soddisfatto, e
lui intuì di aver colto nel segno nel sospettare del magnetismo di quello
sguardo inumano. Quel verso era stato un richiamo, un patetico tentativo di
riacciuffare la sua attenzione, con l’ intento di soggiogarlo.
continua...
Racconto pubblicato sul sito Scrivere
immagini Phoneky
Tanta fantasia, in questo brano avvincente, letto con immenso piacere..
RispondiEliminaBuona settimana, carissima, silvia
mi piacciono molto le tue favole che sai scrivere egregiamente!
RispondiEliminaUna favola ben strutturata che stuzzica la curiosità del lettore. Molto apprezzata. Un caro saluto immginifica VIvì. Complimenti da Grazia!
RispondiEliminaOttimo lavoro di questa fiaba!.
RispondiEliminaHo anche sentito la pelle d'oca quando ho letto la scena in cui Kandir incontrava la terrificante creatura Zombrac ..., e sono rimasto incuriosito dalla storia che ne è seguita.
Letto con interesse e curiosità.Lo stregone è ........vedremo alla fine!Lu.
RispondiEliminaЗамечательный талант! Много фантазии и выдумки! Успехов!!!
RispondiElimina
RispondiEliminaSinceramente non ho letto tutta la storia che è molto bella e accattivante ma ho qualcosa da aggiungere
Nei miei boschi nel pomeriggi assolati quando la calma più assoluta regna intorno a me spesso fruscii di foglie e di erbe si muovono intorno e penso che entità siano intorno a me a curiosare il mio fare
Un racconto che promette tanta suspence. Complimenti Vivì
RispondiEliminaDavvero un ottimo lavoro, complimenti!
RispondiEliminaDear Vivi! Good job! Congrats. Theme is amazing, and exciting.
RispondiEliminaAnche questa favola è avvincente e l'ho letta con piacere.
RispondiEliminaGrazie per i saluti che hai lasciato sul mio blog, Vivì!
Ti auguro una buona serata!
Escribes muy bien.
RispondiEliminaMuy agradable seguir tu buen relato.
Un beso.
Buona sera Vivi! mi sei gia mancato. Come stai trascorrendo la bella estate?
RispondiEliminaFa freddo qui ti voglio dire Jajaja!
Sai? una fata si guardo
al lago la mattina
le sue lacrime caddero
e la sua immagine distrutta
e che lo sapeva molto bene nella sua esistenza
qualcuno deve amarli, lo saprai.
Fu un pomeriggio che il mago
camminando nella foresta la vista attraverso
con lo sguardo piu dolce
che in tutta la sua vita non ha mai saputo, Mago bello e romantico!
Adoro le tue storie che ti superano sempre. Mi piacerebbe
essere in grado di leggere tutti ma ... qui nella foresta
sto lavorando duramente contro il male...
si, sto lavorando molto!
La fata de las rosas e il mago vorrebbero essere
solo nella foresta
amarsi sempre e ovunque
ma il male che e sempre esistito, non poteva sopportarlo
vedi tanta felicita tra due esseri* ¸ „„. • ~ ¹ ° ”ˆ˜¨ ♡♡♡ ¨˜ˆ” ° ¹ ~ •. „¸ *
Ti adoro cara scrittora, grazie per essere sempre cosi grande.
Baci e abbracci della Argentina. Muakkk
Tu imaginación es esplendorosa, Vivi. Perdona la demora en venir a leer tus siempre entretenidos bien construidos relatos...
RispondiEliminaAbrazo más que grande.